Una bella serata all’insegna dell’
amarcord, sicuramente, ma forse anche qualcosa di più.
Celebrare gli anni in cui i “metallari” sabaudi si ritrovavano davanti al mitico
Rock & Folk (nella sua sede di via Viotti, era in pratica il “salotto” della
metal militia torinese ...) a discutere della propria passione primaria e farlo attraverso due nomi storici della “scena”, ha inevitabilmente un significato speciale per chi quell’epoca l’ha vissuta in prima persona e ripensandoci dopo “qualche” tempo, non può che vedere sgorgare nel proprio animo un pizzico di nostalgia.
Quando l’
e-commerce, i
social media e i
forum non esistevano e reperire gli album che le poche riviste disponibili (prima la sola
Rockerilla, poi i pionieri specializzati
HM e
Metal Shock) consigliavano si traduceva in una fatica enorme, era proprio il negozio di dischi (ancora pienamente attivo peraltro ...) di
Franco "barba” a offrire un “porto sicuro” (anche a livello di “tutorial” … ricordo ancora quando, intuendo i suoi gusti dalle toppe sfoggiate sul giubbotto di
jeans, evitò a questo imberbe
rockofilo di sprecare i suoi sudati risparmi nell’acquisto di un
Lp delle Pointer Sisters, da lui scambiate, per assonanza e dabbenaggine per i Twisted Sister!) e un punto di ritrovo a chi, nella città dell’automobile e dei Savoia, si sentiva “diverso” dalla massa e spesso, per quei capelli lunghi e l’abbigliamento fatto di
denim & leather, rischiava di essere emarginato.
L’esibizione dei
Fil di Ferro e dei
Creepin’ Death, autentiche glorie del
metalrama piemontese, s’inserisce perfettamente in quest’atmosfera un po’ elegiaca e tuttavia consente anche qualche riflessione di carattere più generale.
Vedere tante facce note con qualche ruga in più e qualche capello in meno ma con negli occhi la stessa passione di allora, induce a confidare ancora una volta nel valore immarcescibile di un movimento musicale che resiste, tra crisi e riprese, evoluzioni e “ripensamenti”, da oltre trent’anni.
La presenza di parecchi
giovincelli, poi, non può che confermare quanto questi suoni, tramandati attraverso le generazioni, abbiano conservato forza e capacità di suggestione.
Il rapporto fraterno tra i
fans (e tra questi e i musicisti stessi), spesso oggetto di scherno, è probabilmente un altro aspetto importante da considerare nell’analisi “sociologica” della faccenda e sono convinto che, escludendo le sue manifestazioni maggiormente “pacchiane”, questo “senso di appartenenza” rappresenti un valore aggiunto in grado di contribuire fattivamente alla sopravvivenza di un genere che ormai è senza dubbio un patrimonio della musica popolare.
Tornando “sulla Terra”, diciamo semplicemente che è sempre un piacere ascoltare dal vivo un bel po’ di sano
Heavy Metal privo di troppi orpelli, una “roba” che anche oggi dove tutto è semplice, si dialoga in maniera virtuale, le informazioni non mancano (anzi …) e i dischi, pur trovandoli con facilità, in tanti casi non si comprano nemmeno più, sa ancora scatenarti fiotti imperiosi di adrenalina e renderti felice.
Fil di FerroLo devo confessare … in gioventù i
Fil di Ferro non erano esattamente tra i miei “eroi” personali della scena sabauda, compito riservato a Elektradrive, Gow, Black Deal, Ira e S.P.A. (ma anche a Negazione, Jester Beast e Braindamage …).
Ciononostante ho sempre stimato e guardato con enorme rispetto questa
band passionale e verace, legata a filo doppio al mondo dei
bikers e capace, grazie a un
songwriting solido ed energico, di esordire professionalmente su disco nel lontano 1986, arrivare a esibirsi su palchi importanti (l’Open Air in Svizzera e l’Hammersmith di Londra, in occasione del progetto “
The italian rock invasion” assieme a Crossbones, Touch of Evil e Black Swan) e collaborare con personaggi autorevoli (
Guy Bidmead, noto per il suo lavoro con Saxon e Motorhead, produsse il secondo albo della
band …) quando il
metallo italiano era visto con sospetto ed essere credibili a livello internazionale era un’impresa.
Le recenti ristampe (patrocinate dalla sempre attenta Jolly Roger Records) su
Cd dei primi due lavori del gruppo hanno fornito un pizzico di sacrosanta “visibilità” supplementare a una formazione che attorno all’inossidabile figura del fondatore
Michele De Rosa (che stasera picchia sulle pelli come un forsennato nonostante un problema fisico abbastanza importante … a proposito di dedizione alla "causa"!) ha ripreso già da un po’ a scorticare gli
stage del nostro
Stivale. La loro presenza a supporto del ritorno dei
Creepin’ Death fornisce un ulteriore sigillo “storico” all’evento e la mezzora a disposizione dei
Lupi torinesi garantisce la consueta dose d'impatto emotivo e forza d’urto, con la brava vocalist
Paola Goitre (una sorta di
Doro nostrana, come rileva l’amico
Fulvio …) che non sfigura in un ruolo così importante all’interno di un nome così prestigioso.
Un velo sottile di “ruggine” residua non inibisce la capacità di coinvolgimento complessiva di un’esibizione che dà il suo meglio in brani come “
Licantropus”, “
King of the Night”, “
Over the Light” e “
It Will Be Passion”.
Bravi ragazzi …
Torino Rock City è ancora fiera di voi.
Intro e report a cura di Marco Aimasso
Creepin’ DeathL’ultima volta che ho visto suonare dal vivo i
Creepin’ Death era stato in occasione della loro esibizione di supporto a Deathrow e Coroner nel 1988 a Torino, sul palco del Teatro Ambra, ancora doveva uscire il loro album d’esordio "Errare Humanum est… Perseverare Diabolicum!", e quindi potevano contare solo su un paio di demo, “Gravy Lust” (realizzato nel 1985 come Black Evil) e il successivo “No Privation”.
E di anni da allora ne sono passati davvero tanti. Ma la passione ha probabilmente covato sotto la cenere pronta a esplodere alla prima occasione, proprio quella che gli si è presentata sul palco di un affollato
El Barrio, al cospetto di vecchi e nuovi appassionati.
I musicisti che ritroviamo oggi nei
Creepin’ Death non sono gli stessi del Teatro Ambra, e non mi riferisco certo ai cambiamenti dovuti al passare degli anni, ma agli interpreti stessi. Infatti, oltre al chitarrista
Paolo Quarati e al bassista
Paolo "Ozzy" Testa, troviamo il chitarrista
Massimo Gasparoni che aveva fatto fatto parte dei Black Evil, alla voce ecco
Paolo Carboni, che già aveva collaborato con i
Creepin’ Death dopo l’uscita dell’album d’esordio, e infine il batterista
Roby Vitari, una novità per il gruppo, ma non per la scena metal torinese, in quanto già visto in azione con Headcrasher, Jester Beast e più recentemente con i Mindwars.
Partenza scontata con “
Anguish” (che ricordo anche sulla compilation "Heavy Rendez Vous") e per quanto i musicisti sembrino un po’ frenati dall’emozione e dalla scarsa abitudine al palco, la magia di compie: il Metal è con noi. Forse
Carboni eccede un po’ troppo nel gigioneggiare con discorsi e ringraziamenti vari (dovuti e meritati per altro) a chi ha contribuito a riportarli sul palco, ma un po’ di ruggine era inevitabile, e mi auguro che abbiano altre occasione per “allenarsi” e scrollarsi la polvere di dosso.
Nonostante il loro monicker, i
Creepin’ Death non hanno mai guardato troppo ai Metallica, se non forse nei primissimi passi, e personalmente li ho sempre ritenuti più affini ai Megadeth e soprattutto agli Anthrax, e non mi stupisce così trovarli alla prese prima con "
Antisocial" (brano dei Trust ma che gli Anthrax hanno fatto "proprio") e con la conclusiva "
Metal Thrashing Mad". Due cover che affrontano anche con l’aiuto di alcuni ospiti, la prima con
Claudio Gentile (vocalist degli Headcrasher) a duettare con
Carboni, e con una manciata di volontari presi dal pubblico a cantare i cori della seconda. Tornando invece al repertorio della formazione torinese, oltre alle già conosciute "
Sadness", "
Stop that Car” o "
Anger and Pain", "
Rotten Press" e "
From the Dark", anche una nuova canzone composta appositamente per l'occasione, "
Brand New Day", che si lascia dietro una buona impressione, e chissà se la voglia di suonare li spingerà a dare un seguito a questa serata.
Non sarebbe certo una brutta idea.
Foto e report a cura Sergio Rapetti