Mumble, mumble… dov’eravamo rimasti?
Ah già! Alla tripletta tricolore del luglio scorso (
Milano,
Roma,
Trieste), e più in generale ad un tour, quello dedicato all’ultimo parto discografico della Vergine -scritta così suona piuttosto paradossale-, rivelatosi un enorme successo in termini di pubblico e critica.
Inevitabile, quindi, che i Nostri varassero una nuova tranche, con un occhio di riguardo all’albionica madrepatria, bistrattata anzichenò nel corso del 2016.
A questo giro, ahimè, niente Belpaese, ma la data inaugurale in quel di
Anversa s’incastra in modo addirittura malizioso col ponte del 25 aprile… e quindi eccomi qui!
Mi reco con discreto anticipo all’ingresso dell’enorme
Sportpaleis, ma il colpo d’occhio, quanto ad affluenza, è già notevole.
Lo stesso può dirsi della gentilezza dimostrata dal personale di sicurezza che, per sopraggiunte complicazioni fisiche occorse alla mia consorte, ci accorda di buon grado, nonostante i biglietti per la platea, un posto a sedere sugli spalti laterali.
Mi accomodo quindi in una posizione di estrema destra (sia chiaro: rispetto al palco, non politicamente) giusto in tempo per assistere all’esibizione degli apripista…
SHINEDOWNGli statunitensi, sin dalle prime battute dell’opening track “
Adrenaline”, mettono in mostra un piglio decisamente energico e teso alla spasmodica ricerca di coinvolgimento di un’audience già folta ma ancora assopita (si sa, del resto, che la gente da quelle parti tende a mantenere approcci piuttosto compassati).
L’obiettivo di smuovere gli astanti viene tutto sommato raggiunto, anche grazie al groove sprigionato da brani come “
Enemies”, “
Cut the Cord” o “
Diamond Eyes (Boom-Lay Boom-Lay Boom)” e ai chorus spaccacrapa di “
How did you Love” e della conclusiva “
Sound of Madness”.
Un bel boost al fattore coinvolgimento viene senz’altro fornito dal baldo
Brent Smith, che si sbatte come un tarantolato dal primo all’ultimo istante dimostrandosi, oltre che
singer perfetto per il genere proposto, anche
frontman scafato.
Se proprio devo dirla tutta, anche quest’oggi la proposta del combo a stelle e strisce suona poco affascinante alle mie orecchie da vecchio metallaro retrogrado. Tanto che, nonostante uno show di alto livello, e a differenza di quanto accaduto con molti altri gruppi spalla in passato, non percepisco affatto l’esigenza di approfondire la loro discografia.
D’altra parte, che volete mai: quando ci sono i
Maiden di mezzo non ho occhi che per loro…
Maiden che non si fanno certo attendere: dopo i classici 45 minuti di preparativi, l’immancabile intro “
Doctor Doctor” ed un nuovo filmato in CGI (forse meglio il precedente, con l’
Ed Force One protagonista, ma d’altra parte per queste date europee l’aereo è stato messo in naftalina), ecco aprirsi un nuovo capitolo del libro delle anime…
IRON MAIDENBisogna ammetterlo: se all’inizio avevo accolto con un pelo di diffidenza l’inusuale posizione da cui assisto allo show, dopo la doppietta d’apertura “
If Eternity Should Fail” e “
Speed of Light” comincio a flirtare con l’idea di averci addirittura guadagnato.
In fondo, si tratta di uno spettacolo cui assisto per la sesta volta stasera (oltre alle tre date italiane di cui sopra, mi ero concesso anche
New York e
Vienna), e vivo quindi l’angolo prospettico fortemente laterale come un refolo di aria fresca. Angolo prospettico in grado, peraltro, di svelare dettagli di contorno preziosi per un fan imbevuto di nerdismo come il sottoscritto.
Così, mentre ascolto in estasi il roboante incedere di brani immortali come “
Children of the Damned” o “
Powerslave” -come sempre tra le esecuzioni più riuscite-, mi ritrovo spesso intento ad osservare il lavoro dei
roadies dietro le quinte, la preparazione degli strumenti, il regista alla destra del palco intento a scegliere le inquadrature che finiranno sui maxi schermi… niente male.
Sempre in tema di discontinuità: trattandosi di prima data, si attendono modifiche nella scaletta, no?
Direi "ni": qualsiasi cultore della Vergine degno di tale qualifica sa fin troppo bene che non è lecito attendersi stravolgimenti epocali (niente “
Empire of the Clouds”, per dire). I Nostri non si smentiscono: giusto qualche minuscola variazione nell’ordine delle canzoni, “
Wratchild” –da anni ormai assurta al ruolo di tappabuchi live per ogni stagione ed evenienza- al posto di “
Tears of a Clown” e la nuova “
The Great Unknown” che succede ad “
Hallowed be thy Name”.
Dai su, smettetela di mugugnare: ovvio che, se ci limitiamo ad una comparazione strettamente qualitativa dei due brani, non ne usciamo vivi. Al tempo stesso, occorre ricordare che la miglior –almeno a mio avviso- canzone della storia del metal era già stata accantonata anni addietro per le difficoltà vocali che presentava. Era stato lo stesso
Bruce, cocciuto come suo solito, a chiederne il ripescaggio… salvo poi, evidentemente, pentirsene.
Ciò detto, si può comunque discutere sull’avvicendamento con un altro pezzo tutt’altro che agevole dal punto di vista canoro (il
bridge in particolare); senza contare che, volendo proprio pescare dall'ultimogenito, si sarebbe forse fatta preferire “
Shadows of the Valley”…
Tant’è. Resta il fatto che sentire un brano suonato per la prima volta in assoluto dal vivo fa sempre piacere, nonostante qualche piccola sbavatura proprio di
Dickinson, comunque fantastico a livello di prestazione complessiva (nonostante il raffreddore che stasera lo affligge).
A proposito di prestazioni, non resta che inchinarsi di fronte a quella fornita dai sei inglesi: travolgenti, generosi, precisi… Una macchina da guerra perfettamente oliata che si scatena tanto durante l’esecuzione dei classici (“
The Trooper”, accolta con un’autentica ovazione, su tutte) quanto in occasione degli episodi più recenti (penso ad una “
The Book of Souls” da antologia).
Per essere una prima tappa, filano particolarmente lisci anche gli aspetti più squisitamente tecnici: ottima la resa dei suoni (per quanto dalle mie parti le chitarre giungano un po’ fioche), impianto luci,
backdrops ed apparizioni della mascotte
Eddie funzionano senza intoppi… un inizio coi fiocchi, sotto tutti i punti di vista.
Peccato che per me, una volta portati a termine i bis (con una “
Wasted Years” davvero ben riuscita), il libro delle anime si chiuda definitivamente.
Mentre
Nicko lancia bacchette e polsini in giro mi rendo conto che, per quest'anno, non avrò più appuntamenti con la Vergine. Non resta che attendere un nuovo tour e, chissà, un nuovo album nel 2018.
Vedremo. Oggi non rimane che unirsi al resto del pubblico, ed applaudire convintamente all’ennesima dimostrazione di eccellenza in sede live da parte di una band che non vuole saperne di abdicare al trono del metal.
Lunga vita al Re!
SHINEDOWN setlist:
1-
Adrenaline2-
Fly from the Inside3-
Diamond Eyes (Boom-Lay Boom-Lay Boom)4-
How did you Love5-
Unity6-
Enemies7-
Second Chance8-
Cut the Cord9-
Sound of MadnessIRON MAIDEN setlist:
1-
If Eternity Should Fail2-
Speed of Light3-
Wratchild4-
Children of the Damned5-
Death or Glory6-
The Red and the Black7-
The Trooper8-
Powerslave9-
The Great Unknown10-
The Book of Souls11-
Fear of the Dark12-
Iron MaidenEncore:
13-
The Number of the Beast14-
Blood Brothers15-
Wasted Years