Tornano i
Thin Lizzy in Italia, dopo l'esibizione al Gods of Metal 2007. Non li vidi allora, ma li seguo nei vari festival europei da quando sono tornati in attività come sorta di tributo agli originali di Phil Lynnott e sapevo bene cosa aspettarmi. Inutile dire che non sono stato smentito.
Ma andiamo un passo alla volta. Nonostante il prezzo non proprio popolare di 25 euro, non sono previsti gruppi spalla per questa data al
Rolling Stone di Milano, che si conferma come la location migliore della città assieme all'Alcatraz. Buona acustica, palco egregio e visibilità ottima anche per le fasce di pubblico meno giovanili grazie alla gradinata che consente di assistere al concerto con il culo appoggiato.
Mi metto in questa categoria non tanto per questioni anagrafiche, ma perchè febbricitante ed impossibilitato allo scapoccio selvaggio tra le prime file.
I buoni propositi per un concerto seduto comodamente nelle retrovie saltano comunque all'attacco del primo pezzo, il classico "
Jailbreak", con il quale non resisto e mi precipito sotto il palco.
Certo, questi non sono i Thin Lizzy, c'è solo Scott Gorham del nucleo fondamentale della band irlandese, ma diamine se pestano e suonano. All'alba dei sessantanni, Skyes e soci, trascinati da un superbo Aldrige alla batteria, riescono a dare la biada ai più esagitati ragazzini, confezionando una performance intensa, sanguigna, energica e compatta, senza alcun punto debole.
Inutile tessere le lodi di un musicista come John Skyes, che ho sempre ritenuto perfetto per omaggiare lo scomparso Phil Lynnott alla voce in questa band tributo ai Thin Lizzy.
Skyes e Scott Gorham ricreano le trame chitarriste dei grandi classici della band, che seppe precorrere i tempi creando intrecci melodici poi divenuti caratteristica del primo heavy metal.
Se mancano brani quali "
Thunder and Lightning" o la attesa "
Whiskey in the Jar", poco importa; "
Cowboy's Song", in un mega medley assieme a "
The Boys Are Back in Town", o ancora "
Bad Reputation" e "Cold Sweat" rendono la scaletta tanto prevedibile quanto perfetta.
Nel mezzo non può mancare l'assolo di Tommy Aldridge, che si cimenta nel suo noto numero dell'assolo a mani nude; pioniere della doppiacassa e di uno stile poi imitato da molti (Mike Terrana giusto per citarne uno) il buon Tommy, a cinquantotto anni suonati, non sembra accusare il colpo e mantiene tanto l'energia e la vitalità quanto la folta capigliatura settantiana.
Un'ora e mezza con pochissime pause quella dei Thin Lizzy, che in barba all'anagrafe riescono a rendere il miglior omaggio possibile ad un artista e poeta senza pari nella storia della musica: Phil Lynnott.
Chi obietterà "Sì va bene ma questi non sono i Thin Lizzy" ha ragione, si può anche stare a disquisire sul carattere commerciale di una simil-reunion del genere. Ma alla fine io mi sono esaltato, e come me tanti altri fan della band, e questo è tutto quello che conta.
Passione, emozioni, e un saluto verso il cielo, come quello tributato da John Skyes ad inizio concerto.
The boys are back in town!
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