Davvero interessante l'iniziativa dell'
Headbangers Party, organizzato da On Dead Sound e Eagle Booking, due tra le più attive agenzie di concerti del nostro paese. La manifestazione è giunta già alla seconda edizione, e quest'anno si presenta in una formula rinnovata, con due giorni di concerti, dedicati rispettivamente al metal classico e a quello più estremo.
La cornice è quella un po' defilata del Marmaja di Cusano Milanino, un circolo Arci che pare abbastanza inusuale per un evento del genere. In realtà, una volta arrivato sul posto, scopro che gli organizzatori hanno fatto le cose in grande: buffet gratuito (del quale ovviamente approfitto, nonostante avessi già cenato!) e numerosi stand di cd e merchandising vario; per non parlare poi della musica dal vivo! Purtroppo arrivo troppo tardi e mi perdo l'esibizione dei
Knife 49, che ho poi appreso essere stati sostituiti all'ultimo minuto da un gruppo a me sconosciuto.
Poco male, perchè sul palco ci sono già i fiorentini
Combo de la Muerte, che hanno provocato un mezzo scompiglio nell'ambito metal, con il loro disco “Tropical Steel”, divertente rilettura di alcuni classici del genere in chiave latin jazz. Sul palco si presentano in otto (oltre agli strumenti canonici ci sono anche un percussionista e due voci femminili), con un look semiserio e sapientemente mischiato, fatto di magliette metal, borchie, giacche e cravatte; già da questo è evidente la volontà della band di non prendersi troppo sul serio, sfoderando un atteggiamento divertente e ironico che non va però a discapito della prova offerta. “South of Heaven”, “Breaking the law”, “Eat the rich”; “Power and Glory” e tutti gli altri brani proposti, vengono eseguiti con grande precisione, in versione leggermente più metal rispetto a quanto ascoltato su disco, e i presenti (che sono adesso un po' più numerosi rispetto a quando sono entrato) mostrano di gradire notevolmente. Nei quaranta minuti a loro disposizione, i nostri tirano fuori quasi tutto il disco d'esordio, compresa una divertente versione di “Mama I'm coming home”, interpretata con l'accompagnamento di un ukulele, e una “Defender” assolutamente senza precedenti, in cui i Manowar hanno incontrato Tom Waits per qualche minuto. Non so se Joey De Maio avrebbe gradito, ma sicuramente a chi c'era è piaciuto! Bravi ragazzi, attendiamo di vedervi all'opera con altre improbabili riletture...
Viene ora il momento dei
Longobardeath: la band capitanata da Ul Mik (che dopo lo scioglimento dei Vexed può dedicarsi a tempo pieno alla sua creatura prediletta) ha da poco terminato le registrazioni del suo terzo full length “Bonarda Bastarda” (titolo che è tutto un programma), ma per sentirlo dovremo aspettare ancora un po'. Stasera si va sul sicuro, con l'esecuzione delle solite “Polenta violenta”, “Ul fratel de l'amis del cugnaa”, “Il barone Fanfulla da Lodi”, “Ul Giacumin scrasciabusecch” e altre perle tratte dal disco precedente: tutte cose che abbiamo sentito un sacco di volte, ma che in sede live fanno sempre la loro porca figura. La novità è costituita dalla presenza di Lorenzo Testa (Hyades) alla chitarra, che nelle ultime date sta sostituendo Ul Rob, momentaneamente non disponibile. Il nostro sfodera una prova maiuscola, ancora più notevole se si pensa che si è imparato tutti i pezzi nell'arco di una settimana! Lo show scorre via terremotante come al solito, animato dal solito zoccolo duro di fan, ai quali Ul Mik porge spesso il microfono in occasione dei cori. Del resto, con una band del genere il coinvolgimento e il divertimento sono sempre assicurati! Come sempre le reazioni più scatenate si hanno sulla celeberrima “L'Ass de Pich”, mentre l'unica novità della setlist è costituita dal brano inedito “F.B.L.O”, che ci fa intuire come il nuovo album non deluderà le attese. Un'altra grande prova di una band che dimostra di meritarsi tutto il successo che sta ottenendo!
Ed eccoci ora al momento più atteso (per lo meno dal sottoscritto): poco prima dell'una fanno il loro ingresso sul palco gli svedesi
Saint Deamon. “In shadows lost from the brave”, opera prima di questo eccezionale quintetto, è stato uno dei dischi più emozionanti e sorprendenti dell'anno non ancora trascorso, e l'idea di potermeli gustare dal vivo per la prima volta mi allettava parecchio.
La band è al secondo passaggio in Italia in pochi mesi, segno che i consensi da noi non sono tardati ad arrivare. Prima dello show sono andato a salutare il chitarrista Toya Johansson (lo avevo intervistato via mail a gennaio, come i più attenti tra voi si ricorderanno), il quale dopo essersi dichiarato nervoso per la presenza di un “giornalista” in sala (come se fossi il critico musicale di Rolling Stone!), si è detto assolutamente soddisfatto per come stanno andando le cose, e mi ha anticipato che a novembre torneranno in studio per registrare il secondo disco: non vedo l'ora!
Speravo in un grande show, e devo dire che le mie attese non sono state tradite: si parte alla grande con “My Judas” e “In shadow lost from the brave”, e subito si capisce che i cinque sono straordinariamente in palla! Il suono non è il massimo ma la resa dei pezzi è comunque fenomenale, le capacità tecniche di tutti i musicisti sono notevoli, e permettono di valorizzare al pieno un repertorio che in dimensione live acquista una marcia in più (e si partiva già da livelli altissimi!).
Nota di merito al singer Jan Thore Grefstad: potente e preciso, offre una prova praticamente priva di sbavature. Un grandissimo, soprattutto quando si pensa a colleghi molto più blasonati di lui che ormai non ce la fanno proprio più...
La scaletta di questa sera è ovviamente prevedibile: i brani di “In shadows...” vengono eseguiti uno dopo l'altro, con la sola eccezione della ballad “My sorrow”. Il pubblico, che adesso è aumentato vistosamente, pur non potendosi dire numeroso, partecipa con grande entusiasmo: a dir la verità, solo pochissime persone hanno dimostrato di conoscere i pezzi. Tuttavia, il coinvolgimento è stato altissimo per tutti i cinquanta minuti dello show, tant'è che Toya e compagni si sono dimostrati soddisfatti e a tratti quasi commossi per l'accoglienza ricevuta.
Le meravigliose cavalcate di “No mans land”, “Ride forever” e “The brave never bleeds” sono state a mio parere i veri highlights di questa serata. Chiude il tutto, e non poteva essere altrimenti, una tiratissima versione di “Anima Mundi”, classico dei Dyonisus, la band di provenienza del bassista Nobby Noberg e del batterista Ronny Milianowicz.
Concerto breve ma intenso, che dimostra come i Saint Deamon siano una band destinata a grandi fortune: sempre che il tracollo del mercato discografico non se li porti via prima del tempo...
Lasciatemi ora ringraziare gli organizzatori per questa bellissima iniziativa: e magari il prossimo anno potrebbe essere il turno di qualche vecchio leone dell'AOR come Bob Catley o Last Autumn's Dream... che ne dite?
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