Sono ormai lontani i giorni in cui gli Edguy si esibivano di supporto ad act più blasonati come Iron Savior (e chi li ha visti più?) o Gamma Ray: quello di quest'anno è già il loro quarto tour da headliner, a conferma del fatto che questi ancor giovani ragazzi tedeschi hanno saputo giocare al meglio le proprie carte e diventare una delle punte di diamante del metal mondiale. E pazienza se il nuovo “Tinnitus Sanctus”, ottavo disco di una carriera senza sbavature, non è proprio il capolavoro che ci si aspetterebbe da loro. Il Rolling Stone stasera è pieno come non mai, complice anche l'eccellente caratura dei due gruppi di supporto. Ma andiamo con ordine:
H.E.A.T. Salgono sul palco alle 19 precise, per la gioia di coloro che, appena usciti dal lavoro, si sono trovati a pagare un biglietto intero e a godersi uno spettacolo ridotto. Decisamente questa storia degli orari dei concerti a Milano ha iniziato a rompere le palle! Questi giovani svedesi sono una delle rivelazioni dell'anno appena trascorso e non ci mettono molto a far capire che anche dal vivo ci sanno fare. Nel poco tempo a loro disposizione, eseguono sette brani del loro finora unico disco in commercio, lasciando tutti a bocca aperta per potenza, tiro e presenza scenica. Ma quel che più conta, è che questi sei ragazzi hanno dalla loro un repertorio coi controcazzi, che spacca il culo a dovere anche se suona già sentito dalla prima all'ultima nota. Anzi, forse è proprio per questo che i miei piedi non volevano saperne di star fermi! Se tirare in ballo i Bon Jovi di “New Jersey” o i Tesla di “Mechanical Resonance” potrebbe sembrare azzardato, diciamo allora che chi ama The Poodles e Brother Firetribe non potrà non trovare irresistibili anche questi
H.E.A.T. Menzione particolare per il carismatico singer Kenny Leckremo, autore di una performance vocale decisamente entusiasmante. Il pubblico, sebbene non ancora consistente, ha risposto alla grandissima, forse mai così tanto per un gruppo sconosciuto. Non fateveli scappare per nessuna ragione!
Setlist:
Intro
There for you
Late night lady
Follow me
Straight for your heart
Feel it again
Keep on dreaming
Never let go Andre MatosEdguy e Angra hanno iniziato quasi contemporaneamente la loro carriera musicale. Se i brasiliani sono arrivati sin dal primo disco al grande successo, i tedeschi hanno dovuto attendere qualche anno in più, ed erano ancora dei pivelli stroncati dai recensori europei quando il mondo impazziva per “Holy Land”. Nel giro di poco tempo le fortune si sono però rovesciate: nell'Olimpo dei grandi la band di Tobias Sammet, consegnata all'oblio la formazione carioca, nonostante una produzione discografica quasi mai soggetta a cali. Che la colpa sia stata la dipartita di Andre
Matos non c'è alcun dubbio, ma è anche vero che persino lui, malgrado la sua voce spaventosa, ha avuto dei seri problemi a tirare avanti. Adesso che è finalmente ritornato in pompa magna con un grande album, si spera che i venti della sorte possano nuovamente dargli ciò che gli spetta. La prima cosa che si nota, dopo l'attacco fragoroso di “Letting go”, è la straordinaria band che accompagna l'ex Angra: un po' di vecchie conoscenze (gli ex Angra Luis Mariutti e Fabio Ribeiro, Hugo Mariutti alla chitarra, già compagno di Andre negli Shaman) e qualche volto nuovo (il bravissimo chitarrista Andre Hernandez, già ammirato in occasione dello showcase acustico dell'anno scorso e il batterista Eloy Casagrande, un fenomeno di soli diciassette anni che ha fatto rimpiangere solo di poco Ricardo Confessori), per un'alchimia che sembra ormai perfettamente raggiunta. Sono gli stessi che hanno suonato sul disco, ma in questi tre quarti d'ora scarsi si sono decisamente fatti notare di nuovo...
E poi c'è lui: Andre Matos è sempre il solito, un range vocale infinito, una capacità interpretativa da brividi, e soprattutto una resa live tra le migliori che abbia mai avuto modo di sentire. Lo vidi per la prima volta con gli Angra nel 1996 (quel concerto è tuttora nella mia top ten di sempre!) e da allora non mi ha mai deluso. Questa sera non fa eccezione: l'accoppiata iniziale “Letting go” e “Rio” delizia il pubblico a dovere, e ci conferma la grande qualità del nuovo disco. E' però con la successiva “Nothing to say” che la gente va davvero fuori di testa: certe cose sono difficili da dimenticare e non bastano cento “Time to be free” per sostituire questa perla nei nostri cuori. Un'ottima versione, anche se l'originale (comprensibilmente) è tutt'altra cosa. Personalmente, io impazzisco con la successiva “Separate Ways”, riuscitissima rilettura del classico dei Journey, che in precedenza era stata riservata al solo pubblico giapponese. Forse non era il caso di proporla in questa sede (ben pochi la conoscevano), ma la sua porca figura l'ha fatta. Si ritorna sul terreno famigliare degli Angra, evocati con “Lisbon”, un brano non eccelso ma che negli anni ha saputo fare breccia nel cuore dei fan, come testimoniano i cori sul ritornello. L'anthemica “How long” trascina che è un piacere e lascia poi il compito di chiudere lo show ad una sempre gradita “Carry on”. Un ritorno di gran classe, quello di Andre Matos in veste solista, e una grandissima esibizione offerta al pubblico italiano. Ci auguriamo che possa presto ottenere il riconoscimento che merita...
Setlist:
Menuett (intro)
Letting go
Rio
Nothing to say
Separate ways
Lisbon
How long (unleashed away)
Unfinished Allegro/Carry on Intro, report di H.E.A.T. e Andre Matos di Luca FranceschiniEdguyLe luci della ribalta si accendono quindi per gli
Edguy, e supportati da una sfavillante scenografia ispirata al loro ultimo album "Tinnitus Sanctus", si presentano sul palco forti della presenza di un frontman carismatico quale Tobias Sammet. Sammet sa di essere al centro dell'attenzione e non fa nulla per evitarlo, tuttavia, quando il pubblico inizia ad inneggiare al suo nome, lui ricorda prontamente a tutti che questo non è un concerto della band di Sammet, ma uno show degli Edguy.
Falsa modestia o no, la formazione tedesca si conferma un team rodato ed all'altezza, autore di una prestazione solida e divertente, spaziando tra i classici del gruppo (non tutti purtroppo) e brani più recenti, che ad ogni modo reggono tranquillamente il confronto.
Si parte proprio con due nuove canzoni, la scattante "Dead Or Rock" e la catchy ed articolata "Speedhoven", che lasciano intravedere un taglio più Hard Rock rispetto al Power Metal "made in Edguy" della successiva "Tears of a Mandrake", alla quale il pubblico, che ormai ha riempito il Rolling Stones, partecipa con enfasi, prima di accogliere con ancor maggior entusiasmo quella "Babylon" che, come ricorda lo stesso Sammet, difficilmente può mancare ad uno show degli Edguy in terra italica. Tocca poi ad uno dei momenti migliori della serata: la lunga ed epica "The Pharaoh", dove le chitarre di Jens Ludwig e Dirk Sauer trovano larghi spazi di manovra, ovviamente sempre ottimamente supportate da Tobias Exxel e Felix Bohnke. Ed è proprio il batterista tedesco a ritagliarsi, subito dopo "Ministry of Saints", uno spazio solista, un drum solo brillante e cinematografico, nemmeno troppo noioso. Niente di irrinunciabile, certo divertente, ma sopratutto utile a far riprendere fiato ad un Sammet che non si risparmia, sempre in movimento e mai in silenzio. Si riprende così con un altro pezzo nuovo, "The Pride of Creation", quindi la più antica "The Headless Game", direttamente dallo stupendo "Theater of Salvation", con tutti i presenti a sgolarsi ("...
we are alive, don't say goodbye..."). A questo punto Sammet decide di dedicare la successiva canzone alle donne presenti in sala, e tra il pubblico una (e probabilmente pure di più) gli chiede di sposarla, ma il cantante si riserva di fare prima una prova. Ma non ora, tocca, infatti, alle dolci note di "Save Me" prima che la scattante "Superheroes" concluda questa parte del concerto. Un attimo di pausa prima che i cinque musicisti tedeschi tornino sul palco, con un altro pezzo d'annata quale "Out of Control", quindi con una devastante "Lavatory Love Machine" dove gli spettatori vengono trascinato in un lungo sing-a-long dal carismatico frontman tedesco, che ne approfitta per ringraziare i gruppi che li hanno preceduti sul palco, definendoli rispettivamente "…
la miglior newcomer band Hard Rock, e la miglior voce femminile dell'Heavy Metal...". A questo punto ci si poteva aspettare un duetto proprio con il bravissimo Andre Matos (vista la loro collaborazione negli Avantasia), dato che quella di Milano è stata anche l'ultima data che lo ha visto di supporto agli Edguy, invece dobbiamo accontentarsi della conclusiva "King Of Fools", con Sammet, ovviamente il Re di quei matti degli Edguy, che oltre ai saluti di rito, ribadisce i suoi complimenti (anche questi di rito?) per i supporter italiani.
Ad ogni modo, quello di stasera è stato complessivamente un ottimo concerto, che i presenti, incluso il sottoscritto, Luca ed il redivivo Marco "Lendar", hanno sicuramente gradito.
Setlist:
Dead Or Rock
Speedhoven
Tears Of A Mandrake
Babylon
The Pharaoh
Ministry Of Saints
Drumsolo
The Pride Of Creation
The Headless Game
Save Me
SuperheroesEncores:
Out Of Control
Lavatory Love Machine
King Of Fools Report Edguy e foto di Sergio Rapetti