Erano gli inizi di Agosto e io ero appena tornato da Cambridge, del tutto ignaro della sorpresa che mi aspettava a casa. Il mio pc fuso.
Dati gli innumerevoli impegni che mi attendevano, nel mio caldo Agosto di sangue e sudore, avevo assolutamente bisogno di un computer per poter lavorare.
Mi sono buttato così in uno di quei grandi centri commerciali che d’estate, grazie all’aria condizionata, si riempiono, svuotando ulteriormente le già dissanguate città.
Ho iniziato a bighellonare tra le varie offerte, sperando di trovare qualcosa di valido e conveniente al tempo stesso, mentre l’aria, asettica, refrigerata, veniva attraversata da note soavi, intimiste, raffinate, che facevano decisamente a pugni con l’atmosfera vacanziera e assolata dell’estate.
Vengo improvvisamente colto da una sottile inquietudine, quelle note erano una sorta di irresistibile richiamo per l’Odisseo che c’è in me. Ho cominciato a muovermi in direzione del suono, dimentico del motivo per il quale ero venuto, guidato da quel richiamo irrefrenabile.
Dopo un breve peregrinare, finalmente trovo la sorgente di tale balsamo sonoro, un altro pc sul quale avevano caricato una playlist in cui c’erano tanto Anastacia quanto Pino Daniele, e soprattutto c’erano loro, gli
Ashram, con la canzone “
For My Sun”.
Quel giorno non ho comprato il pc (ok, l’ho comprato la settimana dopo), ma la passione, che tutte le cose muove, ha incominciato a battere nel mio petto. Ardente, al calor bianco.
È iniziato così.
Tornato a casa mi sono subito messo alla ricerca di notizie della band, scovando il loro sito web ed anche il myspace. Mi sono subito procurato i loro dischi e ho iniziato a tenere d’occhio le loro date dal vivo. Ho scoperto con mio sommo stupore, e orgoglio, che sono napoletani, sono miei conterranei.
Inizio letteralmente a farmi della loro musica, mi accompagna durante il caldo Agosto, mi fornisce concentrazione, ispirazione.
Un mese fa scopro che il 5 Ottobre 2008 suonano a Pompei, in provincia di Napoli, e subito parte il tam tam per organizzare la spedizione.
Li faccio ascoltare a quasi tutti i miei amici, persino gli stranieri che avevo conosciuto a Cambridge, insomma la loro musica la porto sino a Tokyo, passando per Rio De Janeiro e finire in Azerbaijan. Riscontro consensi unanimi.
Arriva il giorno del concerto.
Data la musica, l’ambientazione ideale sarebbero magari stati i famosi scavi di Pompei ed Ercolano, invece la location prevista è il cortile interno di
Pompei Lab, un centro di aggregazione sociale e culturale.
Arrivati abbiamo subito familiarizzato con l’audience, a dir la verità molto eterogenea. In mezzo agli astanti c’erano anche i nostri, Sergio Panarella (voce), Luigi Rubino (piano) ed Edo Notarloberti (violino). Il concerto è all’aperto, con tutti i posti a sedere.
La serata è fresca, forse anche troppo, ed in effetti la band ne risente, soprattutto il pianista che cerca di più volte di scogliere le dita intirizzite dal freddo.
Parte la musica. Ed è subito magia.
Sotto un cielo di stelle le note felpate del violino di Edo fendono l’aria, e il suo strumento grida languido nella notte pompeiana, arricchendola di pathos. A supporto ci sono le note melanconiche del piano di Luigi, il quale sembra un tutt’uno con il suo strumento, in un’esibizione decisamente fisica visto che si muove quasi come un ossesso, accompagnando ogni singola nota con il corpo. Su tutto però si staglia la voce di Sergio, espressiva, piena di sfumature, abile a raccontare le emozioni che la musica suggerisce, colorandole con la sua interpretazione, sentita, a tratti magniloquente.
Un’unica sbavatura la si può notare in “
Nevermore Sorrow”, dove, sicuramente a causa del freddo, la sua voce non riesce a riprodurre i toni stentorei e imperiosi del disco.
Per il resto la band sciorina il proprio repertorio, lasciando tutti a bocca aperta, al punto che molti erano persino incapaci di battere le mani. Ho sentito pochi applausi scroscianti, perché l’atmosfera era talmente sognante e densa di emozioni, che empaticamente la platea, composta da un centinaio di persone, forse non osava rompere l’incanto.
“
Elizabeth”, “
Maria And The Violin’s String” e “
Forever At Your Mercy” (clicca per vedere il video) hanno lasciato letteralmente a bocca aperta noi tutti. Veniva voglia di chiudere gli occhi e lasciarsi andare alla sottile malinconia promanante da quelle note grevi, cariche di sentimento.
Non è possibile descrivere l’impetuoso flusso emozionale che ha travolto l’uditorio, “
Fairy Wind” e “
Sweet Autumn Part II” sono state onde di marea, una marea senza tempo che ha sommerso i ricordi che via via riaffioravano, nostalgici.
Se c’è un pregio nella musica degli Ashram è che è altamente introspettiva, ti porta a concentrarti su te stesso, a guardarti dentro, a lasciarti andare al vento dei ricordi.
Sulle note di “
Shining Silver Skies”, il cielo è davvero diventato grigio e si è commosso, pure egli sensibile a tale spettacolo, regalando qualche goccia di pioggia, che per fortuna non ha rovinato la serata, permettendo alla band di concludere senza problemi.
Alla fine parte del pubblico, me compreso, era spossato dall’intensità delle emozioni provate e dalle suggestioni ricevute, al punto che era quasi fuori luogo applaudire, nel timore di spezzare l’incantesimo. C’era la sensazione di aver assistito a qualcosa di unico. C’è stata una breve pausa, poi un fiume di applausi.
L’esibizione è stata relativamente breve e ho rimpianto il fatto che la band si sia dimenticata di eseguire due dei miei pezzi preferiti come “
I’ve Lost My Self” e “
Forgive Me”. Ho avuto però l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con il pianista Luigi, un tipo veramente simpatico e alla mano.
Ringrazio i miei compagni d’avventura, Ferdinando e le due fotografe d’eccezione, Paola e Maria, alle quali dovete le foto a lato.