4 ottobre 2019Scrivo per questo glorioso portale da oltre sei anni ormai, ma raramente mi sono trovato così in difficoltà ad individuare taglio e registro di un articolo.
Colpa delle mie carenti doti letterarie, certo, ma anche della particolarità dello spettacolo di cui si scrive.
Rock in Rio, da qualunque angolo prospettivo lo si intenda osservare, è un evento unico, nel bene e nel male. Per storia, fascino, rinomanza, formula,
location, affluenza e mille altri aspetti che cercherò, nel mio piccolo, di sviscerare.
Va da sé che la tentazione di abbandonarsi alle sirene di un
report apologetico ed acritico sia forte, anche in considerazione del fatto che assistere ad uno
show dei miei
Iron Maiden in questo contesto costituisca letteralmente la realizzazione di un sogno coltivato da decenni.
Tuttavia, onestà intellettuale impone di sottolineare che non tutto, nell’organizzazione del mastodontico evento, è filato liscio.
Inizierei citando l'assurda mancanza di cartelli che segnalassero in modo chiaro ingressi e biglietterie, il che, unito ad un personale disattento e ben poco avvezzo all’idioma inglese, rende arduo anzichenò il ritiro dei bracciali che permettono l’ingresso alla
Cidade do Rock.
Una volta approdati in biglietteria giunge la seconda doccia fredda: solo due inservienti collocati a presidio delle postazioni per gli utenti stranieri -peraltro: quale il senso di scindere rispetto ai brasiliani?- con conseguente fila chilometrica.
E intanto, ahimè, si odono in lontananza le minacciose note di “
Arise” rimbombare nell’aere.
Un vero peccato: benché ormai lontani parenti della band che un tempo seppe incantare ogni metallaro dotato di raziocinio, i
SEPULTURA che giocano in casa me li sarei gustati volentieri.
D’altronde, come si sa, la vita altro non è se non un incessante susseguirsi di occasioni perse.
Accettiamo quindi con sobria rassegnazione, incassiamo l’agognata
wristband e ci introduciamo infine nell’immane crogiolo del
Rock in Rio… giusto in tempo per rubacchiare gli ultimi palpiti della tribale “
Ratamahatta” ed il tormentone “
Roots Bloody Roots”.
L’esecuzione, invero, sembra piuttosto raffazzonata, ma sono ancora talmente spaesato dall’enormità dello spazio che potrebbe trattarsi di mera suggestione.
Così come suggestione potrebbe venir definito il concerto degli
ANTHRAX: subito dopo i
Seps, sul palco “secondario” (comunque enorme, come potrete immaginare),
Scott Ian e soci paiono evidentemente motivati… peccato che dalle mie parti non si veda nulla e si senta ancor meno.
Già, perché le postazioni
mixer sono state incastonate in casupoli d’inusitata cubatura ed ingombro, e posizionate col chiarissimo intento d'impedire la visuale al maggior numero possibile di spettatori.
Come se non bastasse, il cosiddetto palco
Sunset non prevede strisce di amplificazione ulteriori rispetto a quelle presenti sul palco stesso. Un accorgimento di dubbia arguzia, se consideriamo che sono stati staccati quasi centomila biglietti.
Risultato: io e mia moglie, in posizione defilata ma nemmeno troppo, durante “
Caught in a Mosh” riusciamo agevolmente a conversare a bassa voce.
Decidiamo quindi, seppur a malincuore, di darci all'esplorazione.
La
Cidade do Rock, credetemi, è letteralmente sconfinata.
Donington e
Wacken, giusto per citare i
festival più “estesi” cui ho assistito, non possono davvero competere con l’inusitata vastità di questa
location. Non si contano negozi di
merchandise vario ed eventuale, giostre, palchetti su cui si alternano
band minori, bar, punti ristoro e di svago. Forse addirittura troppe distrazioni per un obsoleto come il sottoscritto; d’altro canto, a dispetto del nome, il
Rock in Rio si è aperto da tempo ad una platea meno musico-centrica e più
casual: basti pensare che questa edizione vedeva protagonisti, in ordine sparso,
acts quali
Drake,
Pink,
Imagine Dragons e
Black Eyed Peas.
Quella di oggi,
deo gratias, è una giornata che non prevede svolazzi modaioli o concessioni al pubblico generalista; ce lo ricordano i veterani
HELLOWEEN, che salgono sulle assi del
Palco Mundo in sostituzione degli sfortunati
Megadeth (forza
Dave, non fare scherzi).
Assisto quindi per la terza volta al loro spettacolo con
line-up allargata, traendone come sempre notevole godimento, seppur con qualche distinguo.
Le canzoni non si discutono, la prestazione complessiva convince, i suoni pure (qui l’amplificazione svolge appieno il suo dovere), eppure io continuo a percepire un vago retrogusto amarognolo. Lo
show delle
Zucche di
Amburgo, benché inattaccabile dal punto di vista formale -escludendo i pessimi fondali in
computer grafica e la pettinatura di
Sascha Gerstner- continua ad apparirmi piuttosto forzato, quasi posticcio.
Sembra che le diverse anime che compongono il gruppo fatichino ad amalgamarsi in modo organico, senza considerare un
Kiske sempre più precario fisicamente ed impiegatizio a livello di presenza scenica.
Pollice alto, invece, per un
Deris carismatico e trascinatore, oltre che in ottima forma vocale (l’alternanza dietro il microfono giova non poco), e per il sempiterno
Kai Hansen, inestimabile patrimonio del
metal europeo.
Il pubblico, in ogni caso, apprezza eccome, e fra un classico e l’altro giungiamo tosti alla doppietta conclusiva, costituita dalle sempreverdi “
Future World” e “
I Want Out”.
Applausi calorosi e meritati congedano il combo teutonico, che attendiamo al varco in studio di registrazione.
Ora però si scatta in direzione
Palco Sunset: tra un minuto iniziano gli
SLAYER, perdincibacco.
Doveva essere l’ultima volta dal vivo lo scorso 20 novembre, a
Milano, con tanto di
live report lacrimevole… invece ho già rivisto
Kerry King e soci altre due volte nel giro di un annetto scarso.
Non che mi lamenti, sia chiaro: anche stasera, al netto di un volume ancora inadeguato, non posso che gioire nell’assistere all’ennesima dimostrazione di eccellenza in sede
live della compagine californiana.
Di mestiere ce n’è quanto volete, ma la macchina
Slayer fila che è un piacere. In questa occasione, tra l’altro, l’usuale
setlist viene compressa per rimanere entro l’ora di durata; in ragione di ciò assistiamo ad una sorta di
best of, che permette ai Nostri di dar tutto senza centellinare le energie.
A corroborare la tesi interviene una prova oltremodo energica del buon
Tom Araya, che si concede addirittura un paio di strilli in falsetto come ai bei vecchi tempi.
Il pubblico esprime il suo apprezzamento con un pogo vigoroso e gaudente, tributando autentiche ovazioni per inni senza tempo come “
South of Heaven”, “
Dead Skin Mask” e la conclusiva, immancabile “
Angel of Death”.
Se di addio si è trattato, beh… è stato un gran bell’addio.
Non c’è tempo da perdere: mancano pochi minuti al concerto degli
headliner della serata.
Guadagniamo posizioni il più rapidamente possibile, raggiungendo una buona nicchia sulla fascia sinistra allorquando il solito intro “
Doctor Doctor” prorompe dalle casse. È poi la volta di
Churchill dichiarare guerra alla Germania nazista… ed eccoli lì, gli
IRON MAIDEN, per la terza volta sul palco del
Rock In Rio.
Ora, è opportuno rilevare che il sottoscritto assiste al trentatreesimo spettacolo della
Vergine, sei – sette dei quali oggetto di
report su queste pagine virtuali.
Cosa potrò inventarmi mai?
E cosa potete mai attendervi dal sottoscritto, se non la consueta dose di incondizionato amore e di sempiterna riconoscenza per i sei britannici?
Sarebbe davvero ridondante affermare per l’ennesima volta che
Bruce è il miglior
frontman della storia dell’umanità, che le tre chitarre si compenetrano ed alternano in modo sempre più efficace, che
Steve è il solito leone indomabile e che
Nicko sembra del tutto impermeabile al passare degli anni.
Eppure, per quel che mi riguarda, è tutto vero.
La formidabile
setlist la conoscete: è identica a quella della
leg europea del 2018, ivi comprese le tre calate italiche. La stupefacente produzione del
tour sarà giocoforza rimasta impressa nella memoria di chiunque abbia avuto la fortuna di presenziare a
Firenze,
Milano o
Trieste.
Ecco, a tutto ciò aggiungete l’esaltazione di sentire ogni ritornello ed ogni melodia di chitarra scanditi dalle roboanti voci di centomila
fans in visibilio.
Tutto bellissimo quindi?
Sì… se si è alti abbastanza.
Già, perché nel novero delle criticità sarà bene aggiungerne una piuttosto sostanziosa: il
Palco Mundo è tanto immenso e scenografico quanto basso.
“Poco male” ribatterete voi: in fondo ci sono sempre i maxischermi posti a lato… no, bassi anche quelli.
L’inspiegabile inconveniente logistico fa sì che alla mia povera consorte, che comunque un tappo non è (siamo intorno al metro e settanta) sia sostanzialmente preclusa la possibilità di assistere allo
show. Né può valere la tesi secondo cui basterebbe spostarsi o arretrare: tornare ancor più indietro significherebbe scorgere dei vaghi puntini all’orizzonte anziché una
band intenta a suonare. Oltre a ciò, provate voi a deambulare in mezzo a decine di migliaia di brasiliani sudati che urlano come ossessi. Non la più agevole delle manovre.
Insomma, qualche magagna qua e là, come avrete ormai capito, emerge; per fortuna ci pensano gli
Iron a far trionfare il Bene nella galassia, suggellando a
Rio de Janeiro l’ennesimo trionfo di una carriera ormai più che leggendaria.
Ok, ok, la smetto, tanto ci si rivede nel 2020, magari più vicino a casa. Più lontano, in effetti, è difficile.
Vogliamo giocare il ruolo dei criticoni sino in fondo?
Pronti: dopo un profluvio di concerti serratissimi, uno dopo l’altro, un po’ di pausa è sacrosanta. Nondimeno, 75 minuti di attesa fra
headliner e
special guest paiono eccessivi: si smorza l’entusiasmo, cala l’attenzione, si disperde il pathos.
Così, quando poco prima dell’una inizia lo
show degli
SCORPIONS, l’asticella delle aspettative non è certo calibrata verso l’alto.
Errore: i Nostri vecchietti germanici dimostrano di possedere ancora gli artigli, e regalano ai –comunque ancora numerosissimi- presenti un concerto oltremodo godibile.
Non nego di aver nutrito più di un dubbio sulla tenuta canora dell’ultra-settantenne
Meine: sempre più simile a
Gheddafi, il buon
Klaus fa correre brividi sulla schiena degli astanti toppando completamente la strofa di “
Make It Real”, appena seconda canzone in scaletta.
Per fortuna la riscossa è dietro l’angolo, e nei minuti successivi si assiste ad un progressivo miglioramento; addirittura, in occasione degli ultimi brani si rimane impressionati dalla facilità con cui vengono interpretate le linee vocali più impegnative (funga da esempio “
Still Loving You”).
Il resto della
band, complice una resa sonora davvero magistrale in termini di nitidezza, porta a casa la pagnotta con tanta esperienza ed una grinta da far invidia a tanti svenevoli ventenni.
La coppia d’asce non perde letteralmente un colpo, mentre il mai troppo lodato
Mikkey Dee dimostra per l’ennesima volta la propria duttilità e abilità dietro le pelli.
La scaletta, come potete leggere in calce, non delude (anche se “
We Built This House” continua ad infastidirmi), ed in generale l'esibizione scorre che è una bellezza sino al gran finale –“
Rock You Like a Hurricane”, come ovvio-, nonostante la stanchezza inizi ormai a farsi sentire.
Bravi Scorpions, sono lieto di avervi potuto apprezzare dal vivo almeno una volta nella vita.
Siccome il Mundo è bello perché è vario, decidiamo di attendere che l’oceanica folla in uscita dal
festival si disperda assistendo ad una esibizione (?) di tali
Wrecked Machines, che poi si sostanziano in un giovincello intento a mixare (?) brani elettronici sinistramente simili tra loro. Però il palco è stupendo, l’impianto luci ancor più, i bassi pompano alquanto ed un refolo di cambiamento -senza voler citare gli
Scorpions- dopo la colata di metallo fuso appena assorbita ci vuole.
Ultima birretta e via, si torna a
Copacabana, consapevoli di aver assistito ad un evento magari non perfetto in ogni sua componente, ma senz’altro da serbare in un cantuccio speciale della memoria.
SEPULTURA setlist:
1-
Arise2-
Territory3-
Phantom Self4-
Choke5-
Attitude6-
Inner Self7-
Kairos8-
Carry On (
Angra cover)
9-
Refuse / Resist10-
Angel (
Massive Attack cover)
11-
Isolation12-
Ratamahatta13-
Roots Bloody RootsANTHRAX setlist:
1-
Caught in a Mosh2-
Got the Time3-
Madhouse4-
I Am the Law5-
Now It's Dark6-
Efilnikufesin (N.F.L.)7-
A.I.R.8-
Antisocial9-
IndiansHELLOWEEN setlist:
1-
I'm Alive2-
Dr. Stein3-
Eagle Fly Free4-
Perfect Gentleman5-
Ride the Sky6-
A Tale That Wasn't Right7-
Power8-
How Many Tears9-
Future World10-
I Want Out
SLAYER setlist:
1-
Repentless2-
Postmortem3-
Hate Worldwide4-
War Ensemble5-
Disciple6-
Seasons in the Abyss7-
Mandatory Suicide8-
Hell Awaits9-
South of Heaven10-
Raining Blood11-
Black Magic12-
Dead Skin Mask13-
Angel of DeathSCORPIONS setlist:
1-
Going Out With a Bang2-
Make It Real3-
The Zoo4-
Coast to Coast5-
Top of the Bill /
Steamrock Fever /
Speedy's Coming /
Catch Your Train6-
We Built This House7-
Delicate Dance8-
Cidade Maravilhosa9-
Send Me an Angel10-
Wind of Change11-
Tease Me Please Me (drum solo)
12-
Blackout13-
Big City NightsEncore:
14-
Still Loving You15-
Rock You Like a HurricaneIRON MAIDEN setlist:
1-
Aces High2-
Where Eagles Dare3-
2 Minutes to Midnight4-
The Clansman5-
The Trooper6-
Revelations7-
For the Greater Good of God8-
The Wicker Man9-
Sign of the Cross10-
Flight of Icarus11-
Fear of the Dark12-
The Number of the Beast13-
Iron MaidenEncore:
14-
The Evil That Men Do15-
Hallowed Be Thy Name16-
Run to the Hills