Il live dei
Jinjer a Milano, la sera del 14 dicembre 2019, presso i Magazzini Generali, non può essere definito un semplice live, alla stregua di altri concerti contenuti negli innumerevoli tour che quotidianamente toccano la città meneghina. È stato un evento vero e proprio, attesissimo dai fan italiani (e non solo) del quartetto ucraino.
Con la venue upgradata a fronte delle innumerevoli richieste (in principio era previsto al Legend), dopo lo tsunami di popolarità che li ha investiti (meritatissima, secondo chi scrive), cresciuta a dismisura questa estate,
Bagana ha optato per un hall concert più capiente la quale, ovviamente, era sold out. Anche se avessero optato per una concert hall ancora più grande, credo che sarebbero comunque riuscita a riempirla, vista l’attenzione che questi ragazzi stanno suscitando in tutto il mondo.
Il
Macro European tour, iniziato l'8 novembre scorso a Kiev e che ha toccato quasi tutta l’Europa, con quasi tutti sold out, riporta i quattro ucraini in Italia per la terza volta nel 2019. E ogni volta il numero di sostenitori è continuato a salire.
Circa 800 fan in delirio, in attesa dei loro beniamini i quali non hanno esitato a dare loro una buona e ben suonata dose di metalcore progressive/djent suonato con maestria e precisione. Ma andiamo con ordine.
La serata prevedeva quattro gruppi: gli ucraini
Space of Variations, connazionali degli headliner della serata, i quali propongono un interessante set di electronic metal rock dinanzi ad una venue purtroppo quasi vuota.
Seguono i finlandesi
Khroma, band industrial metal con sonorità decisamente djent. Anche loro, a dette dei presenti, fanno il loro “sporco lavoro”, intrattenendo un pubblico sempre più crescente di numero che, ovviamente, non era lì esclusivamente per loro.
Dopo di loro, i
The Agonist, canadesi di Montreal, propongono una session abbastanza lunga di melodic/death metal core, anch’esso ben suonato, a detta dei non pochi fan li presenti “anche per loro.
Personalmente, a causa di problemi di “relazioni personali” circostanziate all’evento, non ho avuto modo di seguire attentamente le esibizioni dei gruppi di supporto, come anche devo ammettere la mia ignoranza circa i loro repertori.
In ogni caso, il sound delle loro esibizioni andava migliorandosi con il passare del tempo (l’acustica dei Magazzini Generali non è il massimo per i live, specie di musica estrema, ma stasera, almeno fino all’esibizione dei Jinjer, dove Sasha, il loro fonico, ha fatto davvero dei miracoli, ha raggiunto livelli decisamente discreti).
Scaletta JinjerlainnereP
Teacher, Teacher
Sit Stay Roll Over
Ape
Judgement (& Punishment)
I Speak Astronomy
Dreadful Moments
Who’s Gonna Be the One
Retrospection Perennial
On the Top
Pit of Consciousness
Just Another
Words of Wisdom EncorePisces
Captain ClockIntorno alle 20 circa i quattro fanno il loro ingresso sul palco. I Magazzini sono strapieni. Introduce quello che sarà uno show memorabile l’audio di lainnereP, pezzo dalle sonorità ambient, stile
Massive Attack, costruito sulle melodie e i temi di Perennial, altra loro Hit che suoneranno anche stasera. Dietro di loro grandi schemi Led, mostranti due grandi ruote dentate richiamanti il loro logo, e un countdown di circa tre minuti, intento a scaldare, anzi, infiammare la platea che è lì per loro.
Si parte subito in maniera decisa, con Teacher, Teacher, tratto da Micro. Tatiana è in black dress code, e si muove come un felino sul palco, una aggraziata e sinuosa pantera capace di ruggire ma anche di trasportarti con la sua calda voce soul (e non solo) verso orizzonti inimmaginabili. Eugene e Roman hanno virato sul black pure, ma la sorpresa è Vlad, il batterista: indossa la maglietta della nazionale italiana!
Teacher, Teacher inizia quasi come un pezzo Hip Hop , per poi esplodere in un alternarsi di parti extreme ad altre decisamente più melodice. Il blastbeat finale è da togliere il fiato.
Segue Sit Stay Roll Over, vecchia hit tratta da King of Everything. La folla è in delirio. Con Ape, I ragazzi mostrano ancora una volta la loro capacità di giocare con la poliritmia, senza mai perdere lucidità, anche quando suonano in maniera forte e rabbiosa.
Arriva il momento del primo brano tratto da Macro, l’ultima loro fatica, ossia l’album che stanno promuovendo durante questo tour. Judgment (& Punishment): è interessante vedere un bell’insieme di metalheads fare headbanging cadenzato sulle parti reggae del brano, per poi gettarsi nella mischia del pit durante il ritornello. Così come è stato bello vedere l’intera audience cantare e urlare all’unisono “Booya” (chi conosce questo brano sa di cosa stiamo parlando. Chi non lo conosce, invito a recuperare subito il brano in questione).
Con I Speak Astronomy si torna nuovamente indietro, ai tempi di King Of Everything. In questo brano la Shmailiuk da prova della sua estensione vocale. Qui si parla di spazio, di polveri stellari, della materia che crea e permea l’universo. Questa vocalist è un’aliena, davvero. Gli acuti sul finale sono da brivido.
Seguono Dreadful Moments e Who is gonna be the one. La prima è un brano massiccio, molto pesante, d’effetto, intervallato da una parte melodica in clean toccante, quasi commovente. Quando la Shmailiuk canta “Mother would you come and save me from this hell. Oh, mother I can't take this anymore. Please oh please, let me feel your hand on me forevermore, I beg you, crying out, cease reign of horror” bisogna non essere umani per non avvertire un brivido dietro la schiena, sapendo che il brano tratta di abusi infantili. Il pensiero qui va ad un altro pezzo avente lo stesso tema, Daddy dei Korn, ma qui è diverso.
Who is gonna be the one scivola via che è una bellezza, sorprendendo (?) tutti con la parte reggae finale.
Si ritorna a Macro, con tre pezzi: Retrospection, On the Top e Pit of Consciousness. La prima, con una parte iniziale in russo, traendo spunto da una melodia popolare folk russa, culla gli astanti ma solo per una manciata di secondi, per poi travolgere tutti coi suoi potenti riff all’unisono e ai complicati intrecci ritmici, comunque eseguiti alla perfezione.
Bisogna ammetterlo, ragazzi, dal vivo questi ragazzi riescono ad essere molto fedeli a quello che ci propongono su disco.
La serata si avvia verso il termine: Just Another e Word of Wisdom, altri due tuffi nel passato, anch’essi eseguiti alla perfezione. La Shmailiuk ringrazia tutti, sia i gruppi di supporto sia la fanbase italiana ormai in puro delirio. Ma manca ancora qualcosa…
I nostri escono per poi rientrare subito dopo. L’arpeggio di Roman manda in estasi la folla che con un urlo saluta Pisces. Centinaia di telefonini si alzano per immortalare il momento e tutti i presenti cantano a menadito la hit che ha fatto conoscere, nel bene e nel male, i Jinjer al mondo intero.
Chiude la serata la feroce Captain Clock, inno sulla dipendenza umana dal tempo (sembra sia stata scritta per i milanesi). Straniante, ma in maniera positiva, la parte finale del brano, con un blastbeat serrato sul quale Tatiana gioca con la sua voce arpeggiando meravigliose melodie quasi in contrasto con l’inferno che i suoi tre compagni stanno mettendo su dietro di lei.
Non c’è che dire. I Jinjer sono una vera e propria macchina da guerra e nonostante la non straordinaria acustica dei magazzini, hanno portato avanti uno show che ha soddisfatto appieno le aspettative dei presenti.
Teniamoli d’occhio perché ne sentiremo parlare molto e a lungo.