Il derby d’andata tra Milan e Inter, valido per i quarti di finale di Champions League, ha notevolmente influito sulle presenze di questa sera: a conti fatti, l’Alcatraz risulterà infatti mezzo vuoto, e consideriamo che già ne era stata resa agibile solo la metà di destra! Che dire, il calcio è il calcio, e oggettivamente il match in programma non era da poco, ma ugualmente gli assenti avranno molto da rimproverarsi: di scena ci sono i Masterplan, vale a dire una delle più importanti nuove realtà metal degli ultimi anni, una band che nel giro di un anno o poco più ha saputo sfornare due capolavori di proporzioni colossali, dando una degna risposta a coloro che sostenevano che non si riuscisse più a trovare nulla di interessante in questa nostra musica…
Il tour di supporto ad “Aeronautics” è anche la prima occasione per vederli all’opera da headliner, dopo il breve passaggio del 2003 in compagnia degli Hammerfall, ed è dunque logico che le aspettative dei presenti fossero notevoli.
Sfortunatamente arrivo sul posto troppo tardi per assistere alle esibizioni di Pure Inc. e Rob Rock, anche se su quest’ultimo mi hanno riferito cose grandiose, ed entro nel locale proprio nell’istante in cui Zachary Stevens fa il suo ingresso sul palco assieme alla sua nuova band. I Circle II Circle hanno pubblicato il loro nuovo album “In the middle of nowhere” da appena un giorno, per cui le nuove canzoni, sulle quali è incentrata la scaletta, non riescono ad arrivare al cuore dei presenti, che sembrano comunque gradire la performance dei cinque americani.
Da parte mia, devo riconoscere che la band ha un grande impatto, tiene il palco benissimo e sembra nel complesso molto rodata, nonostante sia al primo tour con questa line up. Zak poi è semplicemente straordinario, non solo come frontman ma anche come cantante, la sua voce calda e così ricca di espressività mi è sempre sembrata una delle migliori mai sentite, e mi fa davvero piacere constatare che anche al di fuori dai Savatage le cose funzionano!
Le canzoni, purtroppo, sono decisamente inferiori a quelle della sua band madre, e sono peraltro venate da una dose di modernismo che non convince fino in fondo, ma forse sarà meglio dare un ascolto al disco prima di giudicare. Un solo brano dal precedente disco (la discreta “Sea of white”), poi viene il momento più atteso ed evocato dai presenti, vale a dire l’esecuzione di ben tre perle tratte dal repertorio dei Savatage: si comincia con la mazzata di “Taunting cobras”, suonata alla grande da tutta la band, dopodiché il chitarrista si sposta alle tastiere, il bassista imbraccia la chitarra, e i due accennano brevemente allo strumentale “Labyrinths”, che sfocia quasi immediatamente in “Follow me”. Quasi svengo dall’emozione quando la riconosco, dato che è uno dei loro pezzi preferiti di sempre, e mai, veramente mai mi sarei aspettato di sentirla dal vivo! Inutile dire che l’esecuzione di Zak rasenta il divino, e che al termine del brano sono rimasto in uno stato di esaltazione mistica farfugliando cose senza senso sul fatto che dopo tutto ciò la performance dei Masterplan non avesse più senso…
C’è ancora spazio per la meravigliosa “Edge of thorns”, che i presenti cantano a squarciagola, suggellando definitivamente un’esibizione eccezionale, che non fa che aumentare la mia ansia per il ritorno in grande stile dei Savatage, atteso per il prossimo anno…
Largo dunque agli headliner della serata, che fanno il loro ingresso sulle note di una musica sinfonica abbastanza pacchiana a dire la verità, e danno immediatamente il via alle danze con “Crimson rider”, opener perfetta dell’ultimo disco e tour. L’atmosfera si fa immediatamente incandescente, anche perché sia Roland Grapow che Jorn Lande fanno di tutto per coinvolgere il pubblico, che non smette per un solo istante di saltare e cantare. Segue una potentissima “Crystal night”, e i cori si sprecano, come anche per la successiva “Wounds”, che ci riporta sui territori di “Aeronautics”. La band è impressionante per potenza, precisione e presenza scenica, e dimostra un affiatamento fuori dal comune, se si pensa che è solo il loro secondo tour. Roland e Uli poi, sono i veri mattatori della scena: ho avuto modo di vederli innumerevoli volte con gli Helloween negli anni passati, ma devo dire che mai mi erano sembrati così a loro agio, così sereni in una dimensione che permette di liberare tutta la loro personalità, al di fuori degli ingombranti schemi di Michael Weikath.
La scaletta di stasera sembra davvero fenomenale, dato che in rapida successione vengono eseguiti quasi tutti gli episodi più belli dei primi due dischi, da “I’m not afraid” a “Enlighten me”, passando per le tiratissime “Heroes” e “Kindhearted light” (favolosa quest’ultima!).
L’unica nota leggermente stonata pare essere rappresentata da Jorn Lande, il quale questa sera non è al top della forma, e preferisce non rischiare troppo sulle parti più alte, affidandosi spesso e volentieri all’esperienza, ma non riuscendo a nascondere una certa stanchezza di fondo: peccato, anche se una serata storta può capitare!
Dopo questo inizio dirompente, si prosegue su toni più riflessivi, con la dolce “When love comes close” e la bside “Love is a rock”, per la verità non proprio vincenti in sede live.
E’ strano notare come i Masterplan, nonostante possano vantare un nuovo disco di eccellente qualità, decidano di puntare in maniera massiccia sul materiale più datato, andando a proporre anche la non entusiasmante “Bleeding eyes” e l’epica “Soulburn”, che chiude lo show regolare dopo poco più di un’ora di musica. Ovviamente nessuno ne ha ancora abbastanza, e allora ecco i cinque ritornare sulle note di “Spirit never dies”, che riporta finalmente il concerto su ritmi veloci, e scatena come da copione la bolgia sotto il palco.
C’è ancora spazio per il nuovo singolo “Back for my life” e per il riff assassino di “Crawling from hell”, intervallata da una lunga e simpatica presentazione del gruppo, durante la quale i vari membri si esibiscono in brillanti improvvisazioni sul giro di accordi di “Smoke on the water”.
Non c’è che dire, è stato un ottimo show, in cui Grapow e Kusch hanno confermato di nuovo quanto il loro licenziamento degli Helloween sia stato azzeccato: i Masterplan sono una realtà ben consolidata, hanno forse ancora bisogno di qualche piccolo aggiustamento, ma dal vivo spaccano già, e non potranno che fare sempre meglio, ne siamo sicuri!
Unici due nei in una serata altrimenti perfetta, la prestazione un po’ sottotono di Lande, e l’assenza di due brani di “Aeronautics” (“Black in the burn” e “Falling sparrow”), che da fonti sicure ho appreso essere state suonate in tutte le precedenti date del tour. Chi non c’era non sa cosa si è perso, e di sicuro valeva ben più di un derby di Champions League…
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