Per la seconda volta in quindici anni di carriera concertistica sono riuscito ad arrivare tardi all'esibizione di una band che desideravo ardentemente vedere. La colpa, oltre che del sottoscritto che si è fidato, è del mio navigatore satellitare, che ha pensato bene di fraintendere le indicazioni ricevute e di portarmi nel bel mezzo della zona industriale di Settimo Milanese, tra capannoni dismessi e figure inquietanti che si aggiravano nei paraggi.
Una volta corretto il tiro e giunto sul posto, i
Sinner sono lanciati in una bellissima versione di “
Heart of darkness” e pare che ci stiano dando dentro già da una bella mezz'ora. Poco male, perchè quello di stasera è uno show da co headliner, e quindi c'è il tempo di vederseli per un'ora intensissima, durante la quale, nonostante i pochi presenti, molti dei quali hanno dato l'impressione di non conoscere per nulla la band, Matt e compagni hanno dato il meglio di sé, producendosi in un concerto carico ed emozionante, annicchilendoci tutti con il loro hard rock rozzo e crucco come non mai.
Molti gli estratti dell'ultimo, riuscitissimo, “
Crash and Burn”, il disco che li ha riportati ai fasti del passato, dopo una serie di lavori non proprio riusciti nella seconda metà degli anni novanta.
A parte la già citata “
Heart of darkness”, riesco a sentire le tiratissime “
Revolution” e “
Fist to face”, e la ruffiana “
The dog”, brano che ha fatto anche da singolo apripista. Matt Sinner è carico come una molla, incita in continuazione i presenti (che rispondono alla grande, dobbiamo dire), e sembra decisamente fregarsene del fatto di non avere ai suoi piedi le platee adoranti alle quali è abituato coi Primal Fear.
Purtroppo pezzi da novanta come “
Danger Zone” o “
Born to rock” sono stati eseguiti in apertura, ma per fortuna i nostri ci hanno proposto anche una emozionante “
Knife in my heart”, vera chicca per fan sfegatati, e una “
Judgement Day” da infarto (che mi ha fatto tornare alla mente quella sera di undici anni fa, quando scoprii per la prima volta i Sinner. Erano di spalla ai
Grave Digger, e promuovevano proprio quel disco. Rimasi letteralmente folgorato, da allora non li avrei mai più persi di vista. Finale tutto affidato a classici come la cover di
Billy Idol “
Rebel Yell” e l'anthem “
Germany rocks” (ribattezzata per l'occasione “Milano rocks”), cantate alla grande da tutti, vero suggello di una prestazione da incorniciare. C'è davvero bisogno di questo gruppo, così fedele nel portare avanti per decenni il vero spirito dell'hard rock alla tedesca. Grandi ragazzi!
Il locale si è nel frattempo riempito, e sono comparse magliette dei Manowar e bandiere tricolori con tanto di martello al centro:
Ross the Boss is back in Italy! Il leggendario chitarrista sale sul palco assieme alla sua nuova band alle 23 in punto, ed è subito “
Blood of knives”! Il gruppo è compatto e suona con potenza e precisione, l'entusiasmo dei presenti è comprensibilmente alle stelle! Menzione particolare per il cantante
Patrick Fuchs, che pur essendo dotato di un'ugola acuta alla
Joacim Cans, e quindi non molto adatta al tipo di metal proposto, se la cava alla grande, interpretando con pathos tutti i brani di “
New Metal Leader”. Già, perchè ci sarà pure fame di Manowar, ma questa sera viene messo in chiaro che Ross the Boss non ha nessuna intenzione di essere un mero clone di se stesso e ridursi a recitare una parte oramai logora e ammuffita.
Chiaro, tutti noi avremmo desiderato uno show tutto incentrato sui brani immortali dei primi sei dischi della band epic metal per eccellenza. Ma il passato è passato, ed è il presente che conta: i brani di “New metal leader” sono autentiche perle di heavy metal classico ed epico, che magari non diventeranno leggenda come quelli di “Battle hymns”, ma che sanno sempre far battere i cuori e scuotere le chiome. Quindi, perchè lamentarsi? “
We will kill”, “
I got the right”, “
Death & Glory”, le due cover dei Brain Surgeons “
Costantine's sword” e “
Plague of lies”, sono solo alcuni dei pezzi suonati questa sera, tutte celebrate a dovere dalle grida entusiaste del pubblico.
A conti fatti, il disco sarà suonato per intero, con l'esclusione di “
Matador” (la mia preferita, quando si dice la sfiga!), ma con l'aggiunta, in chiusura, della bonus “
Falling one by one”. I Manowar, comunque, non mancano di palesare la loro presenza ingombrante e solenne: “
Army of immortals”, “
Hail to England”, “
Thor”, “
Hail and Kill” sono le sacre frecce scoccate dall'arco di Ross. Ne avremmo volute di più, e sono sicuro di parlare a nome di tutti i presenti, ma va bene anche così. Come detto, il chitarrista di New York pare avere tutta l'intenzione di andare avanti con la propria carriera, senza preoccuparsi troppo di quello che è stato.
Un'ora e un quarto da vero defender. Questo è il metal, non i deliri sinfonici di un Joey De Maio sempre più ridotto a parodia di se stesso... datemi pure del “poser” ma io me ne frego: i Manowar di oggi sono un gruppo di ridicoli pensionati, sarebbe davvero ora che la facessero finita. Viva Ross the Boss, con l'augurio di vederlo tornare già l'anno prossimo dalle nostre parti...