Se ancora servisse un reminder (per i più anziani) o un esempio (per i più giovani) di cosa sono stati gli anni 80 per la musica (e per l’ Heavy Metal) e per la società in generale il World Tour di
Motley Crue e
Def Leppard ne sarebbe il prototipo perfetto.
E non è un caso che il pubblico che si è assiepato fin dalla tarda mattinata lungo il muro dell’ippodromo di San Siro fosse quanto di più eterogeneo si possa immaginare: dai sessanta – settantenni con le storiche magliette di ordinanza dei più lontani
Monsters of Rock, ai nipoti (spesso in compagnia anche dai genitori) passando per chi quel decennio lo ha vissuto da adolescente e chi ne ha solo sentito parlare ascoltandone a posteriori gli interpreti e venendone inevitabilmente affascinato. Tutti eccitati all’idea di trovarsi di fronte due icone del panorama heavy tanto diverse ma altrettanto simili nell’aver plasmato le bands che sono venute dopo e nell’essersi create un seguito che, ancora a decenni di distanza, le segue con immutata venerazione. San Siro è insomma un tripudio di magliette dei due gruppi (in maggioranza quelle dei Crue) indossate con incredibile orgoglio dai 9 ai 70 anni.
Le setlist di entrambi i gruppi affondano quindi le loro radici in quel decennio (che per entrambi ha rappresentato l’apogeo) con poche concessioni alle produzioni successive. Per i Motley "
Saints Of Los Angeles" , "
The Dirt" , "
Primal Scream" (che comunque è del 91), mentre i Leppard inseriscono "
Take What You Want", "
Kick" e "
Promises": in totale 6 pezzi su 33. Ma non c’è da stupirsi, visto che entrambi hanno rappresentato il meglio del movimento, anche se per quelle diverse strade che il concerto ha evidenziato appieno.
Partono i
Def Leppard alle 19,30 quando il sole è ancora sufficientemente alto da non consentire particolari effetti luci. Ma per i Def Leppard e per il loro show questo fatto non compromette nulla. La setlist è a grandi linee la medesima presentata nel 2019 sempre a Milano quando vennero accompagnati dagli
Whitesnake (anche se con sequenze diverse) e posso garantire che la resa della performance non subisce affatto la mancanza del “buio”…. Che si legga quanto asserito da
Vivian Campbell in una recente intervista “
...dai Def Leppard i fans si aspettano la perfezione”, o che si ascolti
Rick Savage “
I want to put smile on your faces”, la band è focalizzata sulla musica con poche concessioni allo show.
Dalle canzoni che hanno fatto la storia con le loro architetture ed i loro intrecci unici ad una performance live che sembra registrata, da quanto è perfetta, e sempre eseguita uguale a se stessa (a parte un paio di piccoli problemi più che altro tecnici con la chitarra di Viv), i Def Leppard vogliono offrire la perfezione tecnica.
Partono sparati ed i primi sette brani volano in un attimo senza respiro. Da "
Take What You Want" a "
Love Bites" è un crescendo di emozioni che passa attraverso "
Let’s Get Rocked", "
Animal", "
Foolin'", "
Armageddon It" e "
Kick". La sorpresa, soprattutto rispetto a Milano 2019 ed alle più recenti produzioni anche video, è una maggiore partecipazione di Viv Campbell alle parti solistiche di quasi tutte le canzoni e non quindi limitata alla oramai “sua” "Armageddon It".
E qui arriva quello che per me è l’unico neo del concerto dei Leppard: un calo di tensione di una quindicina di minuti almeno, forse 20, che separano "Love Bites" da "
Rocket". E’ come se la band avesse concesso a se' stessa ed al pubblico un break prima di ripartire, alla grande, con la parte finale del concerto. "Rocket" ci riporta immediatamente ai Def Leppard del 1987 e di "
Hysteria" con una parte centrale che riprende, anche se più breve, la oramai celeberrima esibizione di Sheffield del 1993 (la prima di Vivian Campbell dopo la scomparsa di
Steve Clark), con alcuni minuti di magici intrecci di chitarra in una atmosfera musicale quali lunare.
Se, in quella che io ho considerato la prima parte del concerto, c’era stato l’inserimento di pezzi più recenti, la seconda parte copre un lasso temporale che va dal 1981 al 1987, da "
High And Dry" a "Hysteria", per quella che è una collezione di hit ancora una volta in grado di lasciare il pubblico senza fiato ("
Bringin' On The Heartbreak", "
Switch 625", "
Hysteria", "
Pour Some Sugar On Me", "
Rock Of Ages" e "
Photograph" i brani). Insomma, la musica dei Def Leppard non si discute, le capacità tecniche e la superprofessionalità nemmeno; quello che però resta un poco sullo sfondo è l’emotività della performance che è sì fantastica ma che, soprattutto per chi non è vero fan del gruppo, può risultare un poco “fredda”.
Ma il proseguo del concerto, con i
Motley on stage, di freddo non ha proprio nulla. Lo si inizia a notare con l’allestimento del palco, e lo si sente tra il pubblico in un crescendo di emotività e febbrile attesa. I Motley sono, di fatto, gli headliner ed il pubblico lo sottolinea assiepandosi quanto più vicino possibile allo stage. Tutte le magliette dei Crue, che avevano in parte assistito al primo show da lontano, si radunano come in una chiamata alle armi e quando parte l’ intro del concerto (forse un poco lunga), l’adrenalina schizza alle stelle. "
Wild Side" è la prima canzone, ed il pubblico esplode. La band appare in forma splendida: girano, saltano, corrono per il palco immersi nelle luci che a quest’ora fanno la differenza. Non si fa in tempo a riprendersi dall’ inizio che
Nikki Sixx attacca "
Shout At The Devil": ed è il delirio. Seguiranno, sempre tiratissime, "
Too Fast For Love", "
Don’t Go Away Mad", "
Saints Of Los Angeles", "
Live Wire" e "
Looks That Kill". A questo punto vale forse la pensa evidenziare sia l’inserimento perfetto di
John 5 (che ci vi scrive è curioso di vedere nella fase creativa e non solo in quella esecutiva) che “dialoga” con gli altri componenti come se lo facesse da decenni, sia le condizioni di
Vince Neil. I primi venti minuti del frontman sono stati buoni, sicuramente non pari a quanto ci aveva abituati ai tempi d’oro, ma meglio del disastro che in molti si aspettavano. Poi, purtroppo, con l’incedere del concerto, la voce si è spenta e quello che oggi si presenta al pubblico è forse il 30% di quello che Vince era. Dopo un piccolo rilassamento che ha visto eseguire "The Dirt", l’assolo di John 5 e il medley di cover cui il gruppo ci ha abituato, si riparte con "
Home Sweet Home". Ed ora vale la pena evidenziare come i Motley Crue siano “animali” da palco, come gestiscano nelle loro performance live quel gusto per lo spettacolo, quella carica cha hanno portato per anni in musica e quella capacità di coinvolgere sempre e comunque i fans.
Se Nikki Sixx lo aveva fatto dopo alcune canzoni, ora è il turno di
Tommy Lee ad intrattenere per alcuni minuti un pubblico letteralmente adorante. Niente di che, intendiamoci, ma la voglia e il piacere di creare un legame con i “loro” fans che è parte stessa dello spettacolo. La parte finale del concerto è un crescendo che, passando da "
Dr Feelgood", "
Same Ol' Situation", "
Girls, Girls, Girls" e "Primal Scream" arriva a quello che io, come molti altri fans, considero il secondo inno dei Motley Crue: "
Kickstart My Heart". Come in un circolo ideale, il concerto si apre e si chiude con le due canzoni che riassumono la filosofia dei Motley: "Wild Side" e, appunto, "Kickstart My Heart".
La loro musica non sarà precisa e complessa come quella dei Def Leppard, le loro performance non saranno tecnicamente pure come quelle del gruppo inglese, ma i Motley Crue portano on stage la rabbia, la grinta, la cattiveria che le loro canzoni traducono in quella musica “sporca” che li ha resi idoli di intere generazioni. L’emotività la fa da regina, il coinvolgimento è totale, il rapporto tra band e pubblico viscerale. E questo fa la differenza, nel giudicare un concerto ed una performance, più di quanto la faccia la tecnica.
Report a cura di
Luca Olivi