…Eccoci qui: di nuovo al
Rock In Roma, e di nuovo all’
Ippodromo delle Capannelle, dopo il concerto degli
Iron del 2016.
Le dimensioni del palco, a questo giro, sono comprensibilmente ridotte, e lo stesso può dirsi del pubblico, che tuttavia, a 20.15, è già assiepato di fronte allo
stage, pronto ad assistere all’apertura delle ostilità…
MICHAEL MONROEApertura delle ostilità affidata all’artista finlandese che, a dispetto dei 60 anni ormai compiuti da un po’, si presenta in forma fisica smagliante.
Il Nostro, come ci si poteva aspettare, si rende protagonista di uno
show sanguigno, grintoso, dal piglio deliziosamente
old school. La band ci sa fare, pur demandando al
frontman -com’è giusto che sia- l’intera gestione dell’elemento scenico.
Monroe, dal canto suo, non si risparmia affatto: sale sulle transenne, fugge sulla fascia, armeggia incessantemente con filo ed asta del microfono… ed ogni tanto si rinfresca con un ventaglio -dettaglio futile, lo so, ma è la prima volta che mi capita di vederlo, e ci tenevo a riferirlo-.
Ciò che più conta, anche la sua voce graffiante e sguaiata regge senza eccessivi patemi, riuscendo ad interpretare nel modo migliore gli inni di
hard rock stradaiolo (spesso e volentieri venato di
punk) di cui la
setlist è infarcita.
Setlist tutto sommato breve, ma che scorre senz’altro piacevolmente, tra episodi solisti, ripescaggi e
cover (molto godibile quella di “
Up Around the Bend” dei
Creedence Clearwater Revival, posta in chiusura).
Un gustoso antipasto, dunque, in attesa del succulento piatto forte…
BRUCE DICKINSONChe il buon
Bruce, dopo gli acciacchi fisici di alcune settimane fa, fosse tornato in piena forma, l’avevo capito già la scorsa settimana in occasione dello
show in
Lussemburgo [sì, lo so: sono malato, che ci posso fare?]; al tempo stesso, sentirlo cantare in questo modo a 65 anni è qualcosa che non si può dar per scontato, e che dovrebbe riempire di gioia il cuore di ogni appassionato.
Il mio, perlomeno, ne era zeppo: attaccato alle transenne, a pochi metri da un palco piuttosto basso, ho potuto godere appieno di ogni dettaglio dello spettacolo. E spettacolo, in effetti, sembra il termine più appropriato: il Nostro intona alla perfezione un brano dopo un altro senza colpo ferire, mettendo in mostra uno stato di grazia canoro che lascia davvero sbalorditi.
La band, dal canto suo, non è da meno: non nego che, ai tempi, la notizia della rinuncia di
Roy Z mi avesse notevolmente intristito. D’altro canto, dopo aver visto nuovamente all’opera la coppia d’asce, composta dallo svizzero
Chris Declercq e dallo svedesone
Philip Naslund (che stasera è proprio di fronte a me e mi concede un sacco di sorrisi), sarebbe assurdo lamentarsi.
Solo lodi anche per la sezione ritmica, composta dal fidato
Dave Moreno e da
Tanya O’Callaghan, bassista davvero straordinaria -al netto delle innegabili qualità estetiche, sulle quali non mi pronuncerò per rispetto del
politically correct-.
Le tastiere di
Maestro Mistheria, da ultimo, costituiscono la classica marcia in più: la loro capacità di fornire ai brani coloriture spesso inedite, senza mai appesantirli eccessivamente o sminuire la loro carica metallica, risulta davvero preziosa nell’economia della
setlist.
Setlist che, rispetto alla data al
Rockhal di
Esch-sur-Alzette, prevede la rimozione di “
Faith”, “
Jerusalem” e “
Road to Hell” a favore di “
Darkside of Aquarius” e “
Navigate the Seas of the Sun”. Un brano in meno a bilancio, ma il livello della prestazione è tale che nemmeno me ne accorgo.
Bruce, che dopo aver cambiato il microfono al termine di “
Afterglow of Ragnarok” sembra molto più felice, non pare volersi concedere un attimo di tregua: anche quest’oggi suona a tempo perso le percussioni, indossa elmetti da centurione, incita il pubblico senza soluzione di continuità, e si diletta col consueto assolo di theremin durante la strumentale “
Frankenstein”.
Forse, a voler ben vedere, qualche problemino di salute ancora c'è: il colpo di tosse su "
Rain on the Graves" desta qualche sospetto. Se così fosse, un plauso ancora maggiore per l'impegno profuso.
L’unico difetto ascrivibile al concerto è quello di scorrer via in un attimo: senza nemmeno accorgercene siamo già prossimi alla conclusione.
All’altezza della strofa di “
Book of Thel” (sempre irresistibile) assistiamo forse all’unico momento di piccola difficoltà vocale di
Dickinson, che ne esce comunque con grande mestiere, concludendo peraltro in crescendo -sebbene rimanga dell’opinione che inserire un pezzo così impegnativo al termine del
set costituisca un aggravamento non necessario-.
La conclusiva e corale “
The Tower” conclude nel modo migliore uno
show magari non graziato da un’affluenza oceanica, ma proprio per questo speciale. Per quel che mi riguarda, almeno, non negherò che poter ammirare il mio cantante preferito in un contesto così “intimo”, e così da vicino, abbia costituito un’esperienza davvero rara e preziosa.
Tutto bellissimo dunque, ma adesso si fugge verso il parcheggio, che domattina bisogna partire (molto) presto alla volta del
Metal Park…
MICHAEL MONROE setlist:
1-
Dead, Jail or Rock 'n' Roll2-
I Live Too Fast to Die Young3-
Murder the Summer of Love4-
Nothing’s Alright5-
Horns and Halos6-
Young Drunks & Old Alcoholics7-
Ballad of the Lower East Side8-
‘789-
Motorvatin’10-
Hammersmith Palais11-
Up Around the BendBRUCE DICKINSON setlist:
1-
Accident of Birth2-
Abduction3-
Laughing in the Hiding Bush4-
Afterglow of Ragnarok5-
Chemical Wedding6-
Tears of the Dragon7-
Resurrection Men8-
Rain on the Graves9-
Frankenstein (The Edgar Winter Group cover)10-
The Alchemist11-
Darkside of AquariusEncore:
12-
Navigate the Seas of the Sun13-
Book of Thel14-
The Tower