07 LUGLIOIn barba ai
warning incrociati di meteo (previste precipitazioni consistenti per tutto il pomeriggio) e fisico (dopo due giorni di concerti, schiena e articolazioni scricchiolano in modo inquietante) parto alla buon'ora, riuscendo così a fare il mio ingresso al
Metal Park prima che gli
Slug Gore, prima band in scaletta, abbiano iniziato il loro
set.
Strano però: ieri l’organizzazione è stata perfetta, ed ogni gruppo è salito sul palco spaccando il minuto. Oggi invece si tarda un po’…
Stai a vedere che, oltre alle minacciose nubi all’orizzonte, stanno per materializzarsi brutte notizie…
SLUG GOREEcco che, con 30 minuti di ritardo -a breve, accompagnata da un ricco condimento di imprecazioni, si apprenderà che il motivo è il
forfait dei
Moonspell-, arriva il momento della compagine ravennate, che mette subito in mostra raffinate soluzioni avanguardistiche incastonate in elaborate
suite…
No scherzo, nulla di tutto ciò: qui ci muoviamo nell’alveo di un sanguinolento
death /
grind vecchia scuola, composto da schegge fulminee di violenza gratuita e prelibato putridume sonoro.
Bravo davvero il
frontman, attraverso simpatia, umiltà e mosse piuttosto fantasiose, a coinvolgere un pubblico che, in effetti, cresce brano dopo brano, e si lancia già nel primo
moshpit di giornata.
Gli obiettivi di fare una buona impressione e di svegliare gli astanti dal torpore della domenica mattina, dunque, vengono centrati in pieno.
Buon inizio davvero.
MORTUARY DRAPEDopo aver sostanzialmente esaurito, a causa dell’annullamento del
set dei
Moonspell, ogni possibile combinazione o incrocio tra aggettivi denigratori e santità cattoliche, pare congruo cercare sollievo nell’imminente
show dei
Mortary Drape.
Non appena la compagine alessandrina fa la sua comparsa, apprendiamo con piacere che, perlomeno sotto il profilo scenico, lo spettacolo sarà assicurato.
Corpse paint, mantelli e cappucci coordinati, pulpiti neri, e quella sorta di maschera inquietante indossata dal
singer Wildness Perversion, infatti, colpiscono nel segno.
Bastano pochi istanti, poi, per ottenere rassicurazioni anche sul fronte squisitamente musicale.
Grazie, una volta ancora, a suoni già all’altezza -un plauso a tutti i tecnici!-, i Nostri riescono a confezionare una
performance letale, che sublima il
black maligno e ad alto tasso metallico del
combo. La sezione ritmica ne esce trionfante, proprio come in occasione dell’ultimo, splendido
full “
Black Mirror” (che meriterebbe la vostra attenzione anche solo per le linee di basso), mentre i chitarristi non sbagliano un colpo, inanellando
riff su
riff senza colpo ferire.
Ad incorniciare composizioni sì estreme, ma comunque trascinanti e mai dispersive in sede
live, interviene poi il particolarissimo stile vocale del già citato leader, a cavallo tra screaming gutturale e growling.
Anche quest’oggi, dunque, il
festival parte davvero forte, con un’altra esibizione da incorniciare.
La messa è finita, ed al contrario di quelle “vere” (aggettivo quanto mai fuori luogo) non si vede l’ora di assistere alla prossima.
FLESHGOD APOCALYPSEEcco, uno non può nemmeno fare ironia sulle istituzioni religiose che comincia a piovere. D’altro canto, come scritto in precedenza, il peggioramento delle condizioni meteo era ampiamente preventivato, e raggiunge il culmine intorno alle 15.00.
Un quarto d’ora dopo, pioggia o non pioggia, è tempo per l’ennesima realtà nostrana di far l’ingresso sul palco.
Assisto per la prima volta ad un concerto dei
Fleshgod Apocalypse, ragion per cui, armandomi di spirito di sacrificio, raggiungo le prime file mentre i Nostri mitragliano “
Healing Through War” dalle casse.
La scelta si rivelerà avveduta, in primo luogo perché di lì a poco il tempo tornerà accettabile, ed in secondo luogo perché lo
show merita eccome.
Come si sa, a seguito dell’abbandono di
Paolo Rossi, al
leader Francesco Paoli tocca ricoprire il doppio ruolo di cantante e bassista, ed almeno quest’oggi l’improbo compito viene condotto in porto alla grande.
Anche in sede
live, all’elemento operistico ed orchestrale viene accordata particolare enfasi (benché le incursioni pianistiche di
Francesco Ferrini vengano talvolta sovrastate dalla tirannica doppia cassa del tentacolare
Eugene): le
vocals della brava
Veronica, in effetti, marchiano a fuoco ogni composizione, e la nuova “
Pendulum” non fa certo eccezione.
Le fondamenta
death, al tempo stesso, non ne risultano per questo svilite, anche grazie all’ottimo lavoro del chitarrista
Fabio Bartoletti.
All’altezza di “
The Fool” si registra il primo
wall of death della giornata [nemmeno stavolta sarà l’ultimo…], ed in generale la proposta dei Nostri, sebbene non di semplice assimilazione, incontra il deciso consenso degli spettatori.
Mi sembra anche giusto: i
Fleshgod Apocalypse, al di là dei sacrosanti gusti di ognuno, suonano benissimo, giocano un campionato tutto loro, e sulle assi di un palco riescono, anche con questa
line up, a generare un
maelstrom sonoro di tutto rispetto.
Per quanto mi riguarda, si tratta dell’ennesima grande esibizione di questo festival…
E non è finita, ve l’assicuro.
DARK TRANQUILLITYProprio in queste ore si vota in Francia, ed il medesimo termine utilizzato da molti analisti per descrivere la sorpresa elettorale, “
revirement”, si può applicare al concerto dei
Dark Tranquillity…
…o perlomeno alla mia opinione sul concerto stesso: negli appunti scritti sul cellulare durante i primi pezzi, infatti, troneggiano espressioni quali “bravi, però”, “manca un po’ di coesione”, “tanto precisi quanto freddi” e via discorrendo.
Poi però, tutto d’un tratto, mi ritrovo a pensare che:
-
Mikael Stanne è pur sempre un bravissimo
singer (oggi bene anche sulle linee pulite) ed un
frontman carismatico;
- i (tanti) estratti del nuovo
album, in uscita ad agosto, m'intrigano non poco;
- “
Atoma” e “
Nothing to No One” sono un piacere per le orecchie anche dal vivo;
- “
Cathode Ray Sunshine” è davvero un signor ripescaggio…
Insomma, dopo tante perplessità iniziali mi ritrovo ad applaudire convinto.
In fondo meglio così, no?
Verso la conclusione si migliora ulteriormente: “
Therein” riesce sempre ad emozionare, così come la doppietta finale, costituita da “
Lost to Apathy” e “
Misery's Crown”, che congeda i Nostri come meglio non si potrebbe.
L’ovazione del pubblico spazza via, almeno per ora, ogni dubbio sull’attuale
line up e sul futuro di una compagine che, è bene ricordarlo, ha fatto la Storia del nostro genere prediletto.
Per cambiare nuovamente idea c’è sempre tempo; quest’oggi anche i
Dark Tranquillity, per quanto mi riguarda, concludono con un gran bel voto in pagella.
CORONERLo so, lo so che il disco solista di
Kerry King non si è rivelato poi tutto sto granché. Nonostante ciò, da
ultras convinto degli
Slayer, la notizia del suo abbandono mi aveva lì per lì notevolmente immalinconito.
Fortuna che il nome scelto per sostituirlo fosse così suggestivo: nientemeno che i
Coroner, affascinante quanto ostica realtà
thrash proveniente dalla Svizzera.
Il dubbio maggiore, per quanto mi riguardava, poteva ricadere sulla tenuta fisica ed esecutiva dei Nostri, ma per fortuna sono bastati i primi istanti di “
Golden Cashmere Sleeper, Part 1” per fugarlo.
Palco spartano, piccolo telone nero col
monicker in bianco, nessun fronzolo e tutta sostanza: inquadrerei in tal modo la
band di
Tommy Vetterli e soci, davvero magistrale nel riproporre la loro mistura musicale nevrotica, tagliente, priva di appigli melodici o abboccamenti al
mainstream.
Brani meravigliosamente intricati come “
Divine Step (Conspectu Mortis)” e “
Semtex Revolution” vengono riproposti con immensa classe ed apparente facilità.
Anche gli episodi più ferali, come la conclusiva “
Reborn Through Hate”, vengono completate senza inciampi, con lo spigoloso stile vocale di
Ron Royce ad incorniciare prestazioni strumentali impeccabili.
Mi rendo conto di risultare monotono, ma d’altro canto non posso nemmeno mentire al fine di rendere più speziato il
report: anche coi
Coroner, almeno alle mie orecchie, si registra l’ennesimo centro pieno di un
festival sinora favoloso.
Avanti così.
CAVALERAAl cuor, si sa, non si comanda, e per chi scrive i fratelli
Cavalera sono senz'altro una faccenda di cuore.
Da ragazzino, il primo
compact disc acquistato in assoluto -dei “miei”
Maiden, sino ad allora, possedevo solo cassette- fu proprio “
Chaos A.D.”, con “
Arise” che seguì di lì a poco.
Così oggi, quando vedo salire sul palco
Igor e
Max, anche se invecchiati e appesantiti, vengo pervaso da un afflato di nostalgia per i bei tempi che furono…
…fino a che il venefico
riff di “
Bestial Devastation” non nebulizza i miei sentimentalismi da boomer.
Allo stesso modo diatribe, dietrologie, dilemmi etici sull’utilizzo di nomi e sull’opportunità delle ri-registrazioni, questa sera, vengono calpestati dal selvaggio pogo che imperversa dal primo all’ultimo brano dell’esibizione.
Difficile, in effetti, individuare entità metalliche in grado di fomentare gli animi quanto i
Sepultura dei tempi d’oro; i due fratelloni sembrano saperlo sin troppo bene, e giocano sul sicuro snocciolando un classico dopo l’altro, senza lesinare affatto in termini di intensità esecutiva (e di bestemmie, comunque sempre gradite da queste parti).
La parte del leone la gioca il mitologico
debut “
Morbid Visions”, sui cui estratti viene incentrata tutta la prima parte dello
show.
Show che prosegue con la celebrazione del successivo, spettacolare “
Schizophrenia”, per poi compiere un repentino salto spazio-temporale e giungere sino agli anni ’90.
Mi godo la doppietta “
Refuse / Resist” / “
Territory” con due dita di pelle d’oca, anche se so che il
set sta volgendo al termine, e che per dischi inarrivabili come “
Beneath the Remains” e “
Arise” non rimarrà praticamente spazio.
Segue infatti un
medley (con un piccolo tributo agli amici
Slayer) ed è già l'ora dei saluti.
Ciò a cui abbiamo appena assistito, a mio parere, non può venir analizzato in termini asettici o utilizzando sterili parametri tecnici (per quanto la prestazione di
Igor dietro le pelli sia stata notevole); come si scriveva in premessa, lo spettacolo di stasera è una questione di sentimenti, una commovente celebrazione di un gruppo, di un
sound e di un’epoca irripetibili. Niente più, niente meno.
Dall’ospizio è tutto; cari fratelli
Cavalera, vi vorrò sempre bene.
EMPERORVi ricordate di
Bradbury, quel pattinatore scarsissimo, assurto agli onori delle cronache grazie alla
Gialappa’s Band, che vinse un oro olimpico non grazie ai propri meriti, ma solo in virtù del fatto che tutti gli avversari davanti a lui cadevano come birilli?
Ecco, questa sera mi sento un po’ così: vuoi per esigenze fisiologiche, vuoi per sete o per le botte ricevute durante il set dei
Cavalera, ma sta di fatto che tutte le persone assiepate davanti a me se ne vanno, lasciandomi una inattesa prateria verso le transenne.
Transenne alle quali mi avvinghio prima che qualcuno possa ripensarci, e dalle quali non mi staccherò nemmeno per un istante sino alla fine del
set degli
Emperor.
Si parlava prima di faccende di cuore, ed a costo di suonare sdolcinato ammetterò che anche con la compagine norvegese coltivo un amore ormai quasi trentennale.
E l’amore, da che mondo è mondo, comporta sacrifici. Alle 21.30 in punto, non appena i Nostri attaccano con la monumentale “
Into the Infinity of Thoughts”, realizzo che sull’altare del sentimento sacrificherò nientemeno che le mie orecchie.
Ma solo a me è parso che i volumi di stasera fossero incredibilmente, inusitatamente alti? Forse la vicinanza alle casse ha giocato un ruolo in tal senso; sta di fatto che in un paio di occasioni mi sono domandato se rimanere lì davanti fosse una scelta saggia per la mia salute nel lungo periodo.
La risposta della mia vocina interiore è stata grosso modo “ci penseremo domani, quando mai ti ricapita di vedere gli
Emperor in prima fila? E poi quale modo migliore di perdere l’udito, se non ascoltando capolavori del calibro di “
The Burning Shadows of Silence” e “
Thus Spake the Nightspirit”?".
Come diceva
De André, “
se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”; quindi ok, vocina interiore, rimaniamo pure qui a farci flagellare i timpani dalle sinistre sinfonie elevate da
Jørgen, dalle glaciali trame chitarristiche di
Samoth, dall’incessante tessuto ritmico steso da
Secthdamon e dal
drumming realmente inumano di
Trym (vederlo così da vicino rende ancor più incomprensibili alcuni passaggi).
Ihsahn, dal canto suo, si rende protagonista di una prestazione spettacolosa: una macchina nelle ritmiche di chitarra, ed in grado di riproporre senza inciampi quell’inconfondibile
screaming, acido e velenoso, che si incastra alla perfezione sulle partiture di capolavori come “
The Majesty of the Nightsky” o “
I Am the Black Wizards”.
In tutta franchezza, non so se un muro sonoro talmente impenetrabile e monolitico, come quello eretto dagli
Emperor stasera, abbia finito per rendere meno fruibili composizioni comunque complesse e articolate presso i
fan meno sfegatati.
Il dubbio mi rimane, ma personalmente sono lieto di appartenere alla schiera dei fedelissimi, ed anche in virtù di quello provo un senso di piacere ed appagamento indescrivibile mentre i Nostri eseguono “
With Strength I Burn” (una delle più stupefacenti porzioni finali della storia della musica estrema) e la conclusiva “
Ye Entrancemperium” (una delle più stupefacenti porzioni iniziali della storia della musica estrema).
Purtroppo, anche quest’ultimo concerto è giunto al termine.
Dopo aver tributato la giusta dose di ovazioni e applausi mi accingo ad imboccare la via dell’uscita… quando vedo
Ihsahn lanciare un plettro dalle mie parti. Plettro che rimbalza letteralmente sul palmo della mia mano, e che riesco inaspettatamente a far mio, dal momento che i vicini di transenna hanno appena abbandonato la postazione.
Si diceva dell’effetto
Bradbury, no?
Caro
Metal Park, è stato tutto bellissimo. Anche se non possiedo più un apparato uditivo né una schiena, mi piace pensare che questa prima edizione del 2024 possa rappresentare l’inizio di una lunga amicizia.
SLUG GORE setlist:
Post Nuclear Big Smile
Demented Crickets
Hungry Parasitic Beast
The Parasite Murder
Overthrow the Surface
The Dust Says You're Fucked
Necrophiliattitude
Salt
Wake Up Dead
Infestation
Stuck in the Mud
Cut at Once
50K
Primal Rules
Underground Giant Death Machines
The Deadly Spawn
Flesh Pursuit (Gulch cover)
Grounded by SlugsMORTUARY DRAPE setlist:
Restless Death
The Secret Lost
Vengeance from Beyond
Necromaniac
Abbòt
Evil Death
PrimordialFLESHGOD APOCALYPSE setlist:
Healing Through War
Sugar
No
Pendulum
The Fool
The ViolationDRAK TRANQUILLITY setlist:
Encircled
Hours Passed in Exile
Forward Momentum
Unforgivable
Atoma
The Last Imagination
Nothing to No One
Cathode Ray Sunshine
Not Nothing
Phantom Days
Final Resistance
ThereIn
Lost to Apathy
Misery's CrownCORONER setlist:
Golden Cashmere Sleeper, Part 1
Internal Conflicts
Serpent Moves
Divine Step (Conspectu Mortis)
Sacrificial Lamb
Semtex Revolution
Metamorphosis
Masked Jackal
Grin (Nails Hurt)
Reborn Through HateCAVALERA setlist:
Bestial Devastation
Antichrist
Necromancer
Morbid Visions
Mayhem
Crucifixion
From the Past Comes the Storms
To the Wall
Escape to the Void
Encore:
Refuse/Resist / Territory
Troops of Doom
Black Magic / Morbid Visions / Dead Embryonic Cells / R.I.P. (Rest in Pain)EMPEROR setlist:
Into the Infinity of Thoughts
The Burning Shadows of Silence
Thus Spake the Nightspirit
Ensorcelled by Khaos
The Loss and Curse of Reverence
With Strength I Burn
Curse You All Men!
The Majesty of the Nightsky
I Am the Black Wizards
Inno a Satana
Encore:
In the Wordless Chamber
Ye Entrancemperium