Per chi scrive assistere ad un evento degli amatissimi
The Cult (una delle mie band preferite in assoluto) rappresenta molto di più che un semplice concerto, assomiglia più ad un vero e proprio rituale, da consumarsi con devoti accuratamente selezionati e per l’occasione speciale di questo 40 esimo anniversario ho voluto condividere le mia quarta esperienza live con loro, in compagnia di vecchi amici e del fantastico tributo ufficiale italiano, i
Sanctuary Of Love, praticamente a ridosso della transenna.
Per guadagnarsi tale posizione privilegiata c’è sempre un prezzo da pagare; una lunga attesa in fila sotto il sole cocente e il gran caldo che attanaglia la nostra penisola da giorni con temperature ragguardevoli e ben oltre i trentacinque gradi, aumentata in modo tangibile una volta entrati a Carroponte e ammassati sotto il palco, dove mancava davvero l’aria a tratti …ma si sa, per godere bisogna soffrire, e per i The Cult questo e altro!
Fortunatamente, le zone d’ombra non mancano sia fuori che dentro a Carroponte, dove sono presenti persino degli sdrai, oltre a un ottima sistemazione delle varie zone ristoro e food, con ampia scelta e prezzi nella norma e in linea con tutti gli altri eventi. C’ero stato qualche annetto fa in occasione di un concerto dei Megadeth, qua a Carroponte, e l’impressione positiva che ne avevo avuto allora, la riconfermo anche in questa occasione…ottima visibilità da ogni angolazione, acustica perfetta, volumi giusti e mai fastidiosi, neppure con le casse rivolte in faccia a pochi metri dal palco.
Se proprio devo trovare il classico “pelo nell’uovo”, a favore di un ampio palco e ottimamente rialzato, di contro lo stesso risulta essere troppo lontano dai fans, creando di fatto uno stacco e raffreddando il rapporto stretto tra band e pubblico. Ad accompagnare l’iconica band britannica, in apertura un talentuoso e bizzarro musicista svedese, tale
Jonathan Hulten, ex chitarrista dei
Tribulation. Le premesse ci sono tutte per una grande serata di PURE ROCK!
Complice il gran caldo sopracitato, e forse un orario serale non troppo invitante per un sabato estivo come questo, nel momento in cui si presenta sul palco il carismatico chitarrista svedese Jonathan Hulten, a Carroponte l’affluenza è ancora piuttosto scarsa, dove a occhio nudo il pubblico non arrivava a metà dell’area adibita.
Devo dire che non conoscevo assolutamente questo artista svedese e sulla base di un rapido ascolto della sua discografia su Spotify avevo piuttosto sottovalutato la sua musica, trovandola anche noiosa se devo essere onesto. Ma una volta che Jonathan Hulten ha fatto la sua apparizione sul palco, ho dovuto subito ricredermi e ritirare i miei pregiudizi sbagliati che mi ero fatto alla vigilia dell’ evento.
Personalità magnetica, make-up e look in pieno stile gotico decadente vittoriano con una vena di horror, supportato da un palco allestito con ornamenti floreali cimiteriali, composto da coloratissime corone funebri adagiate su una lapide alle sue spalle su uno sfondo nero, a voler quasi contrastare gli opposti della vita terrena: luce e oscurità, vita e morte. Non a caso la sua musica si basa in un dark folk cantato a cappella con tematiche della sua terra, che si combinano a canti medievali con ispirazione dal blues, e che spazia dalla classica all’elettronica. L’unico strumento di cui si avvale Hulten per accompagnarsi è una chitarra acustica minimalista, con testi che parlano di natura, arte, spiritualità, in una sorta di meditazione e ricerca personale interiore.
La grazia della gestualità con la quale nuove le sue mani e l’espressione sofferente del suo volto sono stati l’apice di un quarantacinque minuti di gran classe, dove ho scoperto in una sola volta l’esistenza dei Tribulation (la sua ex band), che non avevo mai sentito nominare, ma soprattutto lui, Jonathan Hulten, un songwriter e un compositore geniale che merita di essere rivisto in una situazione più consona, intimistica, e non certo in mezzo al chiasso e sotto ad un sole accecante, ma al contrario , immerso in una foresta, nell’oscurità e al chiarore della luna! Thank you Jonathan!
I
The Cult, storica e iconica band inglese, (fondata nel 1983 dal vocalist
Ian Astbury e dal chitarrista
Billy Duffy), festeggiano in questo tour mondiale celebrativo i 40 anni di carriera, e per l’occasione speciale ci onorano di un'unica data italiana esclusiva di questo tour Europeo denominato “8424”.
Giustamente per un occasione importante, viene scelta una città simbolo, ovvero Milano, da sempre capitale della moda e motore economico del nostro paese. Alle 21:40 in leggero ritardo rispetto l’orario in programma, e con un affluenza di pubblico a che si è fatta strada facendo sempre maggiore, fanno la loro apparizione sul palco di Carroponte i leggendari The Cult!
Il Rituale (perché di tale di tratta), prevede, come da copione, la purificazione del palco con incensi profumati prima dell’inizio del loro show, cosa avvenuta puntualmente anche stasera, eseguito con massima cura da un addetto del loro entourage. Undici album in studio, Ian Astbury 62 anni sul groppone, Billy Duffy 63, e non sentirli verrebbe da dire, tant’è la dinamicità fisica ed esplosività che scatenano da ogni poro! Si parte a razzo con “
In The Clouds”, ripescata dalla compilation di singoli “
High Octane Cult”, seguita in rapida sequenza da “
Rise” pezzo estratto dallo splendido “
Beyond Good And Evil”, forse il disco più duro della loro carriera. Ma per come tutti i grandi gruppi storici che si rispettano, anche il pubblico dei The Cult non fa eccezione, ed è rimasto visceralmente legato al loro passato anni 80/90, inevitabilmente ed indiscutibilmente l’apice della loro carriera discografica, e si esalta con quel repertorio datato. Lo sciamano Astbury, avvinghiato in un look “total dark”, con tanto di kilt, treccine, bandana e armato di tamburello a sonagli, intona “
Wild Flower“, un grande successo dell’album “
Love”, cosa che fa scoppiare letteralmente il delirio a Carroponte! Un breve ritorno e ripescaggio in epoche e dischi più recenti con “
Star” e “
The Mirror”, brani tutto sommato buoni ma anche al tempo stesso piuttosto anonimi, che han avuto però il torto di aver sacrificato in scaletta altri classici clamorosamente esclusi per un quarantennale celebrativo, come “
Nirvana”, “
Revolution” e “
Lil’Devil” (almeno due su tre erano obbligatorie).
Ma quello che conta è la sostanza e dai The Cult stasera , in quasi due ore ininterrotte di musica, ne abbiamo avuto tanta, senza perdite di tempo inutili in ramanzine e assoli vari! Ma è già tempo di un altro tris micidiale amarcord, “
The Witch”,”
Resurrection Joe” e “
The Phoenix“, che hanno avuto il merito di scuotere ed animare un pubblico apparso spesso troppo assopito e poco partecipe, nonostante i continui incitamenti di Astbury, indemoniato sul palco!
“
Eddie” (Ciao Baby) eseguita in acustico e da seduti da Ian e Billy è stato certamente uno dei momenti più emozionanti ed intensi del concerto che ha segnato anche il momento dove si sono svegliati e scatenati (finalmente) i fan più accesi, iniziando a cantare da lì e poi successivamente sui ritornelli di “
Sweet Soul Sister” e “
Fire Woman”, immortali capolavori di quel “
Sonic Temple” che fece fare loro il famoso salto commerciale all’epoca, portandoli ad essere un fenomeno non solo più europeo ma mondiale.
Un vero peccato invece che abbiano trascurato e snobbato completamente un disco come “
Ceremony” che contiene grandi pezzi, dedicato completamente alla causa dei Nativi americani, tema caro e che è sempre stato molto a cuore a Ian Astbury e per il quale si è sempre battuto profondamente…non a caso è stato ribattezzato dai suoi fans “Lo sciamano “.
Altro tuffo nel passato con l’immortale “
Rain” (preceduta da un ottima “
Lucifer” con tanto di sfondo rosso infernale), vero e proprio cavallo di battaglia dei The Cult, capace sempre di far battere forte il cuore e suscitare forti emozioni dentro a ognuno di noi. La musica dei The Cult non è catalogabile in un genere preciso, ed è questa la loro vera forza…sono passati dal post/punk -rock goth degli esordi, all’hard rock americano, filtrando con il grunge e il nu metal, per poi riassumere tutta la loro carriera con gli ultimi album più attuali, talvolta riuscendoci in modo del tutto convincente, altre volte meno.
Resta comunque il fatto che i The Cult non sono un gruppo di nostalgici senza idee, ripetitivi e statici, ma al contrario, suonano un ROCK a 360 gradi sempre alla “moda” e al passo coi tempi, di gran classe e di alto livello artistico; ne è testimonianza insindacabile di tutto ciò la presenza eterogenea oggi a Carroponte di un pubblico variegato anche anagraficamente, (accorso i massa anche dall’ estero), e che spazia nei gusti, dove si notano giovani dark/wave della new generation, passando per i metallari più attempati degli anni 80, e finendo con persone comuni e normalissime che potrebbero ascoltare qualsiasi cosa oltre i Cult: della serie, solo i grandi gruppi della storia del Rock sono riusciti in tali imprese, e cioè quella di mettere d’accordo tutte le generazioni!
“
Spiritwalker” porta le lancette del tempo al loro esordio “
Dreamtime”, che di fatto altro non è che una rielaborazione di un brano dei Death Cult (continuazione dei primordiali Southern Death Cult), prima del gran finale con “
Love Removal Machine“ dal leggendario “
Electric”!
Finita qua? Non proprio.
Un intensa
“Brother Wolf, Sister Moon“ inizia con una riflessione di Astbury…”
Ma dove stiamo andando? Che fine stiamo facendo?”, preludio della conclusiva “
She Sells Sanctuary”, dove non a caso, al termine, lo sciamano del culto ci rivela che il suo sogno sarebbe suonare a La Scala di Milano, il santuario dei teatri!
Andate a casa in pace devoti ,il rito si è concluso …LOVE CULT- FOREVER!
Un concerto mostruoso, impeccabile, perfetto, anche grazie alla sezione ritmica composta da uno stellare italo americano alla batteria,
John Tempesta, e da
Charlie Jones al basso, che hanno contribuito in modo determinante alla riuscita dello spettacolo!
Ian Astburye Billy Duffy sono due vere e proprie icone, non solo “semplici musicisti, ma pure rockstars d’altri tempi, intramontabili, ma che sanno essere anche uomini intelligenti e lontani anni luce da certi atteggiamenti stupidi e capricciosi da viziati, nonostante avessero avuto più di un motivo per incazzarsi di brutto anche stasera, ma la classe non è acqua (che invece condensava continuamente a gocce in testa a Billy).
Il miglior concerto senza alcun dubbio e senza esitazione alcuna a cui ho assistito in questa prima parte abbondante del 2024 (a pari merito con Alice Cooper a Pordenone).
For The Rockers, Lovers, Ravers &The Sinners!