(08 aprile 2006) In Flames + Sepultura + Dagoba - 8 aprile 2006, Milano Rolling Stone

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Arrivo sul posto che lo show dei francesi Dagoba è appena cominciato: metal core violentissimo, quello dei freschi autori di “What hell is about”, ideale per essere suonato dal vivo, ma privo di una qualsivoglia di elemento personale, utile per distinguere questa band dalle centinaia che affollano il mercato con la stessa proposta musicale. Nel pochissimo tempo a loro disposizione il quartetto si danna comunque l’anima per coinvolgere il pubblico, e ottiene certamente un ottimo responso. Ideali per scaldare gli animi, ma devono fare qualcosa di più se vogliono rimanere in pista.
Cambio di palco breve ed è subito l’ora dei Sepultura, in tour per promuovere l’ultimo lavoro “Dante XXI”, il quarto con Derrick Greene alla voce (come passa il tempo!). C’è da dire che, non essendoci nemmeno Igor Cavalera dietro le pelli (assenza motivata da impegni famigliari), c’è da chiedersi quanto ci sia di autentico in questi Sepultura, che non sono certo più gli stessi della storica line up dei capolavori del passato. Eppure Derrick è un frontman eccellente, il sostituto di Igor se la cava egregiamente, e nel complesso lo show dei brasiliani non è affatto male.
Vengono privilegiati ovviamente gli episodi più datati, quelli risalenti al periodo Max Cavalera: “Refuse/Resist”, “Dead embryonic cells”, “Arise”, “Troops of doom” scatenano una bolgia mai vista sotto al palco, nonostante il suono non sia dei migliori, molto impastato e con la voce non molto distinguibile dal resto. Poco male, la potenza sprigionata dai quattro è assolutamente devastante, un muro sonoro pazzesco che non lascia tregua a nessuno.
Pochi gli estratti dal nuovo album: tra questi la convincente “Convict in life”, “Dark woods of error” (che ha aperto il concerto di questa sera) e la scontata e piatta “Buried words”. In generale tutti questi brani sono accolti molto meno entusiasticamente da un pubbico che sembra essere lì solo per rievocare il passato. Non c’è nulla da fare, il materiale più recente non regge il confronto, anche quando si tratta di buone canzoni come “Choke”, ormai diventata un piccolo classico.
Finisce tutto sulle note di “Roots bloody roots”, che devasta letteralmente il Rolling Stone e suggella una prestazione comunque di grande valore: questi Sepultura sono senza dubbio più che volenterosi e caparbi nel portare avanti il loro discorso musicale nonostante tutti i cambiamenti, e questa sera hanno dato un’ulteriore dimostrazione di saper ancora dire la loro. Io non sono un fan della band e me ne chiamo fuori, ma l’impressione è che Max Cavalera rappresenti ormai un fantasma pronto a concretizzarsi da un momento all’altro.
E veniamo ora agli In flames: da sempre uno dei miei gruppi preferiti, ne ho apprezzato la svolta moderna e “americana” degli ultimi tre dischi, anche se per me i veri capolavori si chiameranno sempre “Whoracle” e “Clayman”. Una serie incredibile di sfighe e circostanze sfavorevoli hanno fatto sì che ad ogni loro passaggio nel nostro paese io riuscissi a perdermeli! Questa volta non è accaduto nulla, e mi appresto dunque a godermi il loro show.
Non c’è alcun dubbio che negli ultimi anni gli svedesi siano esplosi in una maniera impressionante anche nel nostro paese: la sorprendente affluenza di pubblico e il boato che accoglie il loro ingresso sul palco parlano da soli. Si parte in quarta con “Pinball map” ed è subito pogo selvaggio e furibondo, che coinvolge ogni centimetro del locale, e che ha fatto davvero faticare il sottoscritto per trovare un luogo dove rifugiarsi (che cosa volete, sto invecchiando…)! Seguono a ruota la nuova “Leeches” e due dei migliori brani di “Reroute to remain”, vale a dire “System” e “Trigger”.
Molto belle le luci, con il verde, il viola e l’azzurro come colore predominante, anche se il fatto che siano state poste alle spalle dei musicisti ha fatto che sì che il più delle volte se ne vedessero solo le sagome: scelta scenica, ovviamente, e anche molto funzionale, ma forse in molti avrebbero preferito una visuale migliore.
I cinque sono una vera e propria macchina da guerra, non sbagliano un colpo e filano via che è un piacere, con le due chitarre di Bjorn Gelotte e Jesper Strombland (quest’ultimo molto più riservato sul palco, nonostante sia il leader della band) a duettare in perfetta sincronia con la sezione ritmica, disegnando riffs che non lasciano scampo alcuno! Anders Friden, camicia bianca e cravatta rossa, è il vero mattatore della serata: salta e grida come un ossesso, incita il pubblico ed esegue una prestazione vocale decisamente convincente, nonostante il suo screaming sia veramente faticoso da tenere in maniera costante, e nel finale affiori infatti un po’ di stanchezza.
La setlist è come prevedibile incentrata sugli episodi degli ultimi tre lavori: tra i brani del nuovo disco piacciono soprattutto “Take this life”, “Crawl through knives”, e la bellissima title track, che ha anche rappresentato l’unico momento in cui abbiamo potuto tirare il fiato! Non mancano comunque, per la gioia dei fans di vecchia data, brani storici come “Behind space”, “Moonshield” o “Episode 666”, e a sorpresa viene anche ripescata “Insipid 2000”, uno dei brani meno noti di “Colony” (dal quale viene suonata anche la title track).
Il pubblico non cessa neppure un minuto di tributare ovazioni ai propri beniamini, di cantare e pogare furiosamente durante tutti i brani: una risposta davvero eccezionale, che la band mostra di gradire, definendo l’audience italiana come la migliore di tutto il tour europeo (scommetto che lo dice ogni sera!). Siamo ormai in dirittura di arrivo, e viene così annunciata la splendida “Only for the weak”, che provoca il cataclisma completo sotto il palco, dopodiché, a chiudere il tutto ci pensa un trittico di brani tratti da “Soundtrack for your escare”, vale a dire “The quiet place”, “A touch of red” e il singolo “My sweet shadow”, che manda tutti a casa dopo novanta minuti di ottima musica.
Concerto bellissimo, che spazza via tutti i dubbi che potevo avere sulla tenuta live di questa formazione. I suoni non sono stati un granchè, e a volte il tutto suonava un po’ troppo impastato, ma è un particolare che non ha rovinato un’esibizione veramente sopra le righe, da parte di un act che ha sicuramente tutte le carte in regola per crescere ancora e diventare addirittura più grande di quello che è adesso. L’attesa per vederli è stata lunga, ma ne è valsa decisamente la pena…

 

Set list In Flames:

1. Your bedtime story is scaring everyone (intro)
2. Pinball map
3. Leeches
4. System
5. Trigger
6. Insipid 2000
7. Behind space
8. Colony
9. Crawling through knives
10. Take this life
11. Come clarity
12. Scream
13. Drifter
14. Moonshield
15. Episode 666
16. Cloud connected
17. Only for the weak
18. The quiet place
19. A touch of red
20. My sweet shadow

Report a cura di Luca Franceschini

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