(20 novembre 2024) Cradle of Filth + Butcher Babies @ Milano

Info

Provincia:MI
Costo:36,00 euro
Si tratta di un dilemma eterno e, in ultima analisi, irrisolvibile, se non nascondendosi dietro il paravento dei gusti personali: meglio i concerti contraddistinti da bill stilisticamente omogenei o quelli, al contrario, in cui si spazia tra diversi sottogeneri?
Se proprio dovessi esprimermi credo che opterei per la prima opzione, ma sono comunque ben lieto di trovarmi al Live di Trezzo per assistere all’esibizione di gruppi che, come vedremo a breve, non c’azzeccano granché con gli headliner -e, se è per questo, nemmeno gli uni con gli altri-…

BLACK SATELLITE
Le afflizioni cui le band di apertura sono costantemente sottoposte, come si sa, sono molteplici e spesso soverchianti. L’apertura del set dei Black Satellite non fa che fornire ulteriore materiale probatorio alla tesi: il sound si rivela da subito deficitario, con una chitarra appena udibile, la batteria che sovrasta tutto e le vocals della frontwoman Larissa Vale che faticano enormemente ad imporsi nel convulso mix.

Nondimeno, ciò che si percepisce riesce agevolmente a farsi apprezzare: la compagine proveniente da New York maneggia con padronanza una miscela sonora interessante, che veicola, attraverso brani sempre snelli e di breve durata, una serie di gradevoli influenze nineties, che spaziano dall’alternative all’industrial, passando per il nu metal a tinte più dark.
Anche le vocals di Larissa -mente e cuore pulsante del progetto, cui viene demandato l’intero elemento scenico in sede live- stupiscono in positivo: roca, sporca ed espressiva, la timbrica mi ha più di una volta ricordato quella di Jonathan Davis.

I Nostri, sinora, hanno realizzato un solo full length (“Endless”, 2017), ma in alcune occasioni, come nel caso della ottima “Void”, attingono già dal secondogenito “Aftermath”, in uscita il prossimo anno.
E siccome, come si scriveva poc’anzi, quello delle band di apertura è un duro lavoro, si comprende appieno la scelta di chiudere il set con una cover volta ad ottenere la captatio benevolentiae di una folla non ancora numerosissima.
La scelta ricade sull’arcinota “Sonne” dei Rammstein, sempre gradita da queste parti ed eseguita in modo egregio… anche se la sostanziale assenza della chitarra dal mix pesa non poco nella resa.
Tirando le somme: nonostante il poco tempo a disposizione e le circostanze avverse, i Black Satellite escono dal palco a testa altissima. Senz’altro da rivedere in contesti più propizi.

MENTAL CRUELTY
First reaction: shock!” avrebbe probabilmente affermato il nostro ex Premier Matteo Renzi se avesse assistito al set dei Mental Cruelty.
Già, perché allorquando il combo tedesco attacca con la ferale “Obsessis a Daemonio”, sembra che i dilemmi sonori, anziché attutiti, si siano acuiti: nello specifico, il mostruoso drumming di Danny Straßer è soverchiante al punto che, più che al concerto di una band, sembra di assistere ad un clinic di batteria.
Per fortuna le cose miglioreranno dopo alcuni minuti, ma senza raggiungere mai un livello di nitore tale da permettere di cogliere appieno le sfumature di un sound che quindi, questa sera, non può che privilegiare la forza bruta.

Ampio spazio, dunque, alle impressionanti vocals del nuovo singer Lukas Nicolai, che passa con assoluta disinvoltura dal growling in pig squeal allo screaming, ed al violentissimo deathcore che contraddistingue i Nostri. Deathcore che, perlopiù, si sviluppa attraverso l’alternanza di accelerazioni al fulmicotone e subitanei, quanto letali, rallentamenti.
Così, gli assalti frontali di episodi come “King ov Fire” o “Forgotten Kings” erigono un impressionante muro sonoro e riescono a smuovere gli astanti, impegnati nei primi poghi.

Dall’altro lato, come detto, gli sbilanciamenti nel mix finiscono per svilire la componente sinfonica; componente che, peraltro, su disco costituisce l’autentica marcia in più dei Mental Cruelty.
In ragione di ciò, i deliziosi rimandi a Dissection e Dimmu Borgir di “Nordlys” si percepiscono appena; lo stesso può dirsi per le keyboards alla Children of Bodom della conclusiva “Symphony of a Dying Star”.

Il concerto della compagine proveniente da Karlsruhe, comunque sia, non può che venir rubricato come un successo, ed i calorosi applausi al termine del set sono lì a testimoniarlo.
Un piccolo consiglio a margine: recuperate il loro ultimo album “Zwielicht”, del 2023. Non ve ne pentirete.

BUTCHER BABIES
Tra una band industrial / nu metal, una che propone symphonic / brutal deathcore, ed in attesa di un headliner alfiere del goth / black metal, cosa ci si può incastrare?
Ma è ovvio: le Butcher Babies!

Ora, onestà intellettuale m’impone di fare una scabrosa confessione: partivo molto prevenuto col combo a stelle e strisce, ed in qualche misura ero pronto a sommergerlo di aspre critiche prima ancora di aver assistito allo show.
Ebbene: dopo averlo fatto, come leggerete a breve, ho dovuto giocoforza riconsiderare i miei pregiudizi.

Si badi: parliamo pur sempre di una proposta distante anni luce dalla mia sensibilità musicale, tanto che non ascolterei per intero un disco delle Butcher Babies nemmeno se l’alternativa fosse una intensa sessione di waterboarding.
Stabilito ciò, ritengo corretto tributar loro l’onore delle armi in un contesto live che, con tutta evidenzia, padroneggiano eccome.

Buona parte del merito va proprio a lei, Heidi, ex modella di Playboy che sulle assi del palco si dimostra una vera forza della natura. Trascinante, carismatica, sempre in movimento, vocalmente sicura e dotata anche di un discreto growling, la Shepherd riesce a catalizzare l’attenzione di tutti i presenti, fra l’altro senza scadere mai, nemmeno per un istante, in mossette volgari o stucchevolmente ammiccanti. Chapeau.

Il resto della band fa abbondantemente il suo, sciorinando quel modern metal, al tempo stesso ruffiano e tamarro, che sembra costruito apposta per compiacere la non necessariamente raffinatissima fanbase americana -perdonate la frecciatina, non ho resistito-.
Anche dalle nostre parti, comunque sia, brani aggressivi come “Backstreets of Tennessee” o “It's Killin' Time, Baby!” finiscono per suscitare la convinta approvazione dell’ormai folto pubblico.

In alcuni frangenti (alcune linee vocali della nuova “Sincerity” e la strofa di “Beaver Cage” i primi esempi a venirmi in mente) il livello di plasticosità è tale da gelare il sangue nelle vene di ogni boomer metallico che si rispetti; eppure, come detto, il bilancio nel complesso è senza dubbio positivo.

Spetta al lentone “Last December” ed alla slipknotianaMagnolia Blvd.” chiudere un set capace di coinvolgere e divertire. Viste le premesse, impossibile pretendere di più.
Brave Butcher Babies: non sarete mai la mia tazza di tè, ma dal vivo sapete il fatto vostro.

CRADLE OF FILTH
Si scriveva, alcune righe fa, di dischi ascoltati nella propria cameretta, e Lucifero solo sa quante ore io abbia dedicato ai Cradle of Filth nella seconda metà degli anni ’90. Azzarderei addirittura che, nel periodo tra “Vempire, or Dark Faerytales in Phallustein” e “Cruelty and the Beast”, la compagine albionica sia stata la mia preferita -Maiden a parte, ma loro sono fuori classifica da sempre-.

D’altro canto, se l’ascolto in cuffia non è mai mancato nel corso degli anni, non sono riuscito a mantenere un ritmo altrettanto assiduo in sede live. Quella di oggi, al netto di eventuali dimenticanze, è infatti solo la terza volta che la mia strada incontra quella dei vampiri inglesi; la prima, peraltro, risale all’ormai lontano 2012, quando i Nostri suonarono in quel di Bologna in compagnia di Dark End, Rotting Christ e God Seed -a proposito di bill stilisticamente omogenei-.

Così, quando Dani Filth e soci salgono sul palco del Live (che nel frattempo ha raggiunto un livello di affluenza di tutto rispetto), la goduria è notevole, anche grazie a suoni finalmente equilibrati e ad una apertura di sicuro impatto, costituita dalla recente “Existential Terror” e dall’irresistibile “Saffron's Curse”.
Ad onor del vero, il meno soddisfatto all’interno del locale sembra proprio il povero Danielino, che durante l’esecuzione della magistrale “The Forest Whispers My Name” scuote di continuo il capo, armeggiando nel frattempo con gli auricolari.

Durante la successiva “She Is a Fire” i problemi sembrano rientrare -sebbene, di lì a poco, la band deciderà di fermarsi per risolvere qualche altra magagna tecnica-, ed il frontman riesce così a sfoggiare un ottimo stato di forma canora.
Anche il resto della line-up, a dire il vero, svolge più che egregiamente il proprio mestiere, con una nota di particolare merito per il drummer Marthus, davvero tentacolare e preciso.

Definire veterani i Cradle of Filth, ormai, suona quasi eufemistico: con 15 full lengths, oltre ad una serie pressoché infinita di singoli ed EP, spalmati in quasi 35 anni di carriera, non c’è che l’imbarazzo della scelta per comporre una killer setlist.
Ebbene, mi sento di poter serenamente affermare che l’obiettivo in questo tour è stato raggiunto senza patemi: ben equilibrata fra brani nuovi, semi-nuovi e classiconi, senza cali di tensione o momenti di stanca, la scaletta scorre che è una meraviglia, tanto che senza quasi accorgercene giungiamo alle immancabili (e sempre spettacolari) “Born in a Burial Gown” e “Malice Through the Looking Glass”, al termine della quale i Nostri si congedano dal palco.
Di già?

Per fortuna arriva il turno degli immancabili bis, peraltro decisamente succulenti: “Cruelty Brought Thee Orchids” per chi scrive merita, a star larghi, un posto nella top five delle canzoni dei Cradle; le scorribande thrasheggianti di “Scorched Earth Erotica”, dal canto loro, risultano ancor più trascinanti in un contesto live. Da ultimo, “Her Ghost in the Fog” è forse il vero inno dei britannici, come dimostra il chorus intonato a gran voce dagli spettatori.
Spettatori che, al termine di una esibizione davvero ottima, dimostrano di aver gradito quanto il sottoscritto, tributando ai Cradle of Filth un lungo e sentito applauso.

Questa sera, dunque, il bill stilisticamente eterogeneo ha funzionato eccome, e pare aver convinto tutti i presenti. Vedremo se lo stesso si potrà dire, fra pochi giorni sempre qui a Trezzo, della bizzarra, ma suggestiva, accoppiata Mayhem / Master Boot Record

BLACK SATELLITE setlist:
Dead Eye
Broken
Far Away
Here It Ends
Void
Don't Remind Me
Decay
Sonne (Rammstein cover)


MENTAL CRUELTY setlist:
Obsessis a Daemonio
King ov Fire
Forgotten Kings
Nordlys
Zwielicht
Symphony of a Dying Star


BUTCHER BABIES setlist:
Backstreets of Tennessee
Red Thunder
Monster's Ball
King Pin
Sincerity
It's Killin' Time, Baby!
Beaver Cage
Spittin' Teeth
Last December
Magnolia Blvd.


CRADLE OF FILTH setlist:
Existential Terror
Saffron's Curse
The Forest Whispers My Name
She Is a Fire
Summer Dying Fast
Malignant Perfection
Heartbreak and Seance
Nymphetamine (Fix)
Born in a Burial Gown
Malice Through the Looking Glass

Encore:
Cruelty Brought Thee Orchids
Scorched Earth Erotica
Her Ghost in the Fog
Report a cura di Marco Cafo Caforio

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