Il brutto tempo ha colpito ancora, finendo per tenere lontano dal Rolling Stones gli indecisi e limitando così l'affluenza al concerto di stasera. Ed è stato un vero peccato, perchè si sono persi l'occasione di (ri)vedere dei Grave Digger in piena forma, grazie anche all'innesto di una seconda chitarra, dei freschi e divertenti Alestorm, e quei Taletellers con entrambi i piedi saldamente ancorati negli eighties.
TaletellersEd è proprio con questa formazione tedesca che si apre la serata, con una mezzora di ritardo e purtroppo con un'acustica che appare subito deficitaria. Da parte loro i quattro
Taletellers, che come giustamente ha suggerito Luca, anche per l'abbigliamento e l'attitudine mostrata sul palco, sembrano essere stati appena "scongelati dagli anni '80" (e a vederli da vicino non sembrano proprio dei ragazzini). I Taletellers ci vanno giù decisi con una manciata di brani tratti dal loro esordio sulla lunga distanza, quel "Detonator", uscito sul finire dell'anno scorso, dove mischiano Hard Rock ed Heavy Metal, come ribadiscono con "Rock'n Roll Detonator", "Ride the Perils" o "Kings of Death" (brano che si segnala per un breve ma azzeccato assolo), anche se poi la conclusiva "Bad Motherfuckers" li vede sbattersi su sonorità a cavallo tra i Twisted Sister e pure i Ramones, che riscuotono non pochi consensi tra i presenti.
Al di là dell'energia messa in mostra, non so, però quali sbocchi possano avere in futuro, ad ogni modo per il momento sono in tour con i loro connazionali Grave Digger, e questa, oltre una bella soddisfazione, è una buona vetrina.
AlestormAvevo acquistato il loro debutto solo in occasione del recente concerto degli Edguy, e l’ascolto di "Captain Morgan's Revenge" mi aveva lasciato buone sensazioni. Le stesse che ritrovo sotto il palco di questi giovani scozzesi. Freschi, pimpanti e vivaci, questi quattro scozzesi si presentano sul palco senza tanti fronzoli, Christopher Bowes (voce e keys) e Gavin Harper (basso) sono a torso nudo, il batterista indossa una t-shirt, e l'unica concessione al look la sfoggia il chitarrista Dani Evans indossando un kilt. Pertanto le atmosfere piratesche vengono ricreate solo dalle loro canzoni, a partire da "Over the Seas", opener dell'album ma anche dello show di stasera, seguita poi a ruota dalla nuova "Leviathan", dall'omonimo MCD appena uscito.
Se l'immaginario lirico può far pensare ai Running Wild, in realtà gli
Alestorm raramente incrociano i sentieri musicali già battuti dalla formazione guidata da Rock'n'Rolf, ed è più facile trovare accostamenti agli Skyclad meno sofisticati oppure a dei Finntroll e dei Turisas meno ferali. La voce di Christopher Bowes è perfetta per reincarnare quella di un vecchio bucaniere, e lo dimostra ampiamente su quella "Nancy The Tavern Wench" accolta con entusiasmo dal pubblico. Non condivido del tutto la scelta di Bowes di cantare e contemporaneamente suonare le tastiere, dato che l'apporto di un tastierista di ruolo migliorerebbe la resa delle canzoni, sopratutto nei loro passaggi orchestrali, e gli lascerebbe maggiore libertà come frontman.
Dopo le atmosfere fumose e rissose che abbiamo respirato nella taverna di Nancy, arrivano quelle serrate e d'ispirazione teutonica (un po' alla Grave Digger) di "The Huntmaster", quindi quelle più orecchiabili e ruffiane di "Wenches And Mead" e delle corali "Set Sail And Conquer" e "Captain Morgan's Revenge", con quest'ultima che, sebbene dal vivo perda parte gran parte della propria connotazione sinfonica, chiude in crescendo il loro set.
Purtroppo anche l'esibizione degli Alestorm soffre di una resa sonora non all'altezza, fortunatamente invece posso registrare l'aumento dei presenti che hanno iniziato a colmare i larghi vuoti davanti al palco.
Bel concerto.
Setlist:
Over The Seas
Leviathan
Nancy The Tavern Wench
The Huntmaster
Wenches And Mead
Set Sail And Conquer
Captain Morgan's Revenge Foto, intro, report di Taletellers ed Alestorm a cura di Sergio RapettiGrave DiggerAvevo visto per l'ultima volta i
Grave Digger nel 1998, nel corso del tour di “Knights of the Cross”. Dopo quel disco però, i lavori del becchino tedesco hanno iniziato a denotare cali di tensione e qualità sempre più preoccupanti, ad eccezione di qualche episodio isolato qua e là. Motivo per cui mi sono progressivamente allontanato da questa band, nonostante siano stati proprio loro ad inaugurare la mia collaborazione con Eutk (erano i tempi di “The Last Supper”, a mio parere il lavoro migliore dell'ultimo periodo).
Questa sera però ho deciso di rompere il digiuno, complice anche un disco, “Ballads of a Hangman”, che pur non riuscendo ad eguagliare i fasti di “Heart of Darkness” e “Tunes of War”, se non altro ha riportato in auge una certa freschezza che ultimamente sembrava mancare ai lavori dei nostri.
Che questo dipenda dall'innesto in pianta stabile di una seconda chitarra (l'ex ascia dei Running Wild “Thilo Hermann, i più attenti se lo ricorderanno nel capolavoro “Black Hand Inn”) è francamente molto probabile, visto che questo disco vive di ritmiche ben più potenti e dinamiche che in passato. Eccoci dunque qui, con un Rolling Stone mezzo vuoto (difficile dare la colpa solo alla nevicata del mattino) ma assolutamente caldissimo, a cercare di capire che cosa ci siamo persi per tutti questi anni.
Quando partono le note acustiche di “The gallows pole”, il pubblico esplode in un boato e si mette a cantare a gran voce la melodia portante. Poi i cinque (sei, compreso il tastierista mascherato da Reaper che li segue da anni on stage) fanno il loro ingresso e sono ovviamente le note di “Ballads of a Hangman” quelle che si riversano su tutti noi. Le bordate successive sono quelle di “Valhalla” e della nuova “Hell of Disillusion”. Il suono, che già con gli Alestorm era pessimo, peggiora ulteriormente, ma ciononostante è evidente la carica di rabbia incorporata da questi musicisti non più giovani ma senza dubbio ancora in grado di picchiare duro.
La scaletta di questo tour è piuttosto lunga ed è sapientemente bilanciata tra pezzi vecchi e nuovi, attenta ad omaggiare ciascun episodio della loro discografia con almeno un brano (purtroppo “Heart of Darkness” viene clamorosamente lasciato fuori). Ecco così arrivare pezzi da novanta come “Lionheart”, “The dark of the Sun”, “Knights of the Cross”, “Excalibur”, sottolineate da un pubblico entusiasta che dà vita ad un pogo furibondo. Ci sono anche ripescaggi inattesi come la vecchissima “Headbanging Man” e “Wedding Day”, brano sconosciuto (e per la verità non molto esaltante) tratto dal seminale “The Reaper”. Purtroppo i ritardi accumulati nel corso della giornata costringono la band a tagliare un paio di pezzi: sciaguratamente uno dei sacrificati è “Witch Hunter”, classico della prima era alla quale vengono invece preferite cose meno entusiasmanti come “Silent Revolution”, “The Last Supper” e la cupa “The House”. Soltanto quattro i brani del nuovo album: oltre alle due già citate, vengono proposte la potentissima “Stormrider” e il singolo “Pray”, suonata durante i bis, con Chris che ne approfitta per far cantare i presenti. Fa piacere notare come il nuovo materiale si sia perfettamente amalgamato col resto del repertorio e abbia incontrato il favore dei presenti. Dopotutto questa band potrebbe davvero tornare a nuova vita! L'onore di chiudere il set regolare spetta ovviamente a “Rebellion”, con la scenetta di Chris che chiede al pubblico di cantarla perché lui non si ricorda le parole. Ottenuto l'effetto desiderato, i Digger si lanciano in quella che è indubbiamente la loro song più famosa, quella che tredici anni fa ha contribuito al loro tanto sospirato successo commerciale. Meravigliosa, anche a distanza di così tanti anni.
I bis si aprono con una sorpresa: l'esecuzione di “The Round Table”, che non era prevista e che è andata al posto di “The Reaper”: decisione azzeccata, vista la reazione, e d'altronde il suo chorus epico si presta più che mai alla dimensione live. Come da copione, ecco la solita, divertentissima “Heavy Metal Breakdown”, che manda tutti a casa dopo 90 minuti abbondanti e intensissimi di musica. Certo, si ha la consapevolezza di aver di fronte una band che si è già ampiamente allontanata dall'apice della propria carriera; nonostante tutto, i Grave Digger del 2009 sono ancora in forma e in grado di offrire ai propri fan tonnellate di vero e sano heavy metal. Grande anche la prova offerta da Thilo Hermann, che ha dimostrato di essersi già pienamente inserito nell'organico della band. Un gran bel concerto dunque, anche se mi è dispiaciuto un po' notare l'assenza delle generazioni più giovani, che erano invece presenti in massa agli Edguy. Ma dopotutto, anche questo fa parte del gioco...
Setlist:
The Gallows Pole
Ballad Of A Hangman
Valhalla
Hell Is Disillusion
Wedding Day
Lionheart
Silent Revolution
Stormrider
The Last Supper
Headbanging Man
The House
Knights Of The Cross
The Dark Of The Sun
Excalibur
Rebellion (The Clans Are Marching)Encores:
The Round Table
Pray
Heavy Metal Breakdown Report dei Grave Digger a cura di Luca Franceschini