E’ il giorno di San Valentino e ci sono decisamente poche persone fuori dall’Alcatraz, in questa fredda sera di febbraio. Non so se ci sia qualche connessione (francamente non credo), ma sta di fatto che un po’ dispiace, considerando l’accoppiata di valore di scena dalle nostre parti. I
Pain non sono forse troppo popolari in Italia, ma negli ultimi anni hanno sfornato dischi di grande valore, e il nuovo “Cynic Paradise” è stato per quanto mi riguarda una delle uscite più interessanti del 2008. Nonostante tutto però, non posso negare che la mia presenza a questo evento è dovuta solo ed esclusivamente ai
Brother Firetribe, straordinario act finlandese che con scelta artisticamente poco azzeccata (che c’entrano tra loro questi due?) è stato chiamato ad aprire il tour di Peter Tagtgren e soci.
Si inizia poco dopo le 21.30, alla faccia di chi si lamentava degli orari dei concerti milanesi. I Brother Firetribe salgono sul palco accompagnati da un boato di folla preregistrato (in realtà il pubblico era scarsino e poco propenso a godere della loro esibizione) e attaccano in quarta con “Who will you run to now?”, seguita immediatamente da “Runaways”. Il gruppo, capitanato dal chitarrista dei Nigthwish Emppu Vuorinen, offre uno spettacolo godibilissimo, col suo AOR da manuale, pesantemente debitore a gente come Bon Jovi, Europe, Foreigner, Journey e compagnia bella. Non sarà proprio la band più azzeccata per accompagnare dei cattivoni come i Pain (anche se una certa attitudine ruffiana è condivisa anche dagli svedesi), ma il loro look tamarro (impagabile la pettinatura del drummer Kalle Torniainen!) e la loro attitudine scanzonata e tipicamente rock and roll non mancano di fare breccia nei pochi presenti.
Setlist brevissima per loro (appena sei brani), ma prova totalmente convincente, alla luce di una presenza scenica ed un impatto travolgenti. D’altronde con il repertorio stellare che si ritrovano non possono che giocare sul sicuro. “Play it from the heart” “Heart full of fire” e “I am rock” sono le altre tracce del nuovo album sparate sulla folla. Dall’esordio “False metal” viene invece presa la sola “One single breath” (gravi le assenze di “Valerie” e “Break out”!). Peccato solo che abbiano anche loro ceduto alla tentazione dei chorus preregistrati (anche se in maniera meno evidente di altri act): evidentemente in questo genere sta diventando una cosa obbligatoria…
Setlist Brother Firetribe:
Who will you run to now
Runaways
One single breath
Play it from the heart
Heart full of fire
I am rockEd eccoci arrivati agli eroi della serata. Pochi minuti dopo le 23, con l’Alcatraz leggermente più pieno di prima, ecco che gli schermi posti sul palco si illuminano per mostrare la strada fuori dal locale, ripresa probabilmente pochi minuti prima dell’inizio. Un boato accoglie l’ingresso dei quattro musicisti sul palco, dopodiché “I’m going in” si abbatte come un fiume in piena sui presenti. Pogo forsennato, balli esagitati e cori ad accompagnare i vari ritornelli delle song. Da parte loro, Peter e soci sono una macchina perfettamente oliata, potenti e precisi nell’esecuzione e bravi nel coinvolgere il pubblico. Peter Tagtgren non parla molto (a parte quando, con un sarcasmo da manuale, dedica “Bitch” a tutte le donne, in occasione di San Valentino!), preferisce inanellare una song dietro l’altra e mettere tutto a ferro e fuoco con la letale miscela di industrial, rock e extreme metal che è la musica dei Pain. La setlist risulta piuttosto lunga e ben bilanciata: pochi pezzi dal nuovo album (io ne avrei personalmente graditi di più), tra cui spiccano il singolo “Follow me” e la blueseggiante “Have a drink on me”, eseguita tra i bis. Per il resto, si pescano pezzi un po’ da tutto il loro repertorio: nominare una song piuttosto che un’altra sarebbe riduttivo, ma gli episodi che mi hanno colpito di più sono stati senza dubbio “Zombie Slam” (il mio pezzo preferito!), “Suicide machine”, “Walking on glass” e “Bie/Die”, sulla quale il concerto si è chiuso, dopo circa 90 minuti di incessante martellamento. Uno spettacolo davvero ben allestito, con gli schermi laterali che hanno proiettato in continuazione filmati e animazioni in computer graphic, e le luci sapientemente utilizzate a creare un’atmosfera suggestiva nei diversi episodi. Su tutti, la prova vocale intensa e da manuale offerta dal buon Peter, che si è dimostrato (oltre che produttore e songwriter di indubbio valore) anche un frontman di razza.
Unico neo: da mezzanotte in avanti le porte del locale sono state aperte per consentire l’accesso alla successiva serata discoteca, con il risultato che il posto si è riempito di gente che col concerto non c’entrava nulla, che si aggirava spaesata o divertita, rovinando completamente l’atmosfera generale dell’evento. La prossima volta lasciateli fuori al freddo!
A parte questo, un concerto bellissimo, che ha stupito me per primo, visto che non posso certo annoverarmi tra i fan del gruppo. Speriamo che ci vengano a trovare di nuovo, possibilmente potendo contare su un’affluenza maggiore…
Setlist Pain:
I’m going in
Follow me
Zombie Slam
Suicide machine
Bitch
Don’t care
Dancing with the dead
It’s only them
Just hate me
On your knees
Nailed to the ground
End of the line
Walking on glass
On and on
Same old song
Shut your mouth
Have a drink on me
Bye/die Un sentito grazie a Paolo Manzi di holymetal.com, che ha realizzato le foto che vedete qui a fianco, e che mi ha gentilmente concesso di utilizzarle.
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