Serata da “duri” e “pagani” per il duo Ermo / Aimax, sbarcati in terra milanese per immergersi nell’atmosfera “all black” (il colore fatalmente dominante!) creata dal numeroso pubblico accorso al Musicdrome per assistere alla prova di
Dead Shape Figure, Turisas, Moonspell e
Cradle Of Filth.
Prima di addentrarsi nel commento delle singole esibizioni, alcune piccole considerazioni generali (o gossip, se preferite …) di chi frequenta raramente gli ambienti a carattere “gothic” e ancora meno quelli d’ispirazione “black metal”, pur apprezzandone talune espressioni musicali.
Mi aspettavo una pletora di “face painting” ed espressioni “sinistre” (ottenute magari con l’ausilio delle classiche lenti a contatto “terror eyes”!) e invece le persone abbigliate in questa maniera mi sono sembrate abbastanza poche, lasciando spazio ad un più “sobrio” look d’estrazione gotica, apprezzabile soprattutto (per ovvie ragioni …) nel discreto numero di graziose fanciulle (ma come dice il “saggio” Sergio, si tratta di un tipo di mise che un po’ “aiuta”) che affollano il locale.
Un’altra notazione riguarda “l’educazione” del pubblico, sempre abbastanza partecipe, e tuttavia fortunatamente (almeno per quanto mi riguarda) maggiormente attento a quello che succede sul palco piuttosto che interessato a dedicarsi a quelle gratuite manifestazioni di “pogo” (presenti solo durante qualche pezzo dei COF, ma in quel caso ci “stava”) sfrenato che purtroppo ammorbano senza ragione molti concerti.
Sarà una considerazione da “anziano”, eppure ho apprezzato tale comportamento … che i “metallari”, anche quelli più “cattivi”, non siano più solo una “mandria di zoticoni”, come viceversa sostiene ancora qualche “illuminato” benpensante?
Per finire con le facezie, ho pensato d’istituire alcuni “premi speciali” della serata:
Best Frontman a Fernando Ribeiro, carismatico e affabile, ringrazia (“…siete troppo gentili”) e cerca spesso di dialogare con il pubblico in italiano … un vero “signore”.
Best Sore-throat sarà verosimilmente quello che dovrà sopportare il buon Dani. Parlare e cantare con il suo tipico growl per tutto il tempo, gli causerà una bella laringite!
Best Entertainer a Mathias dei Turisas, sul palco è davvero spiritoso e coinvolgente e anche una volta smessi i panni del “barbaro” e sceso in mezzo alla folla si dimostra disponibile e “easy-going”.
Best Sad Expression alla tastierista dei COF, il suo strumento supera raramente il muro di watts prodotti dai suoi compagni e, a parte qualche sporadica occasione, sul suo volto traspare una forma di vero disagio.
A cura di Marco AimassoDead Shape Figure Autrice di una prova più che dignitosa, questa formazione finlandese, con alle spalle un solo album, conferma quell’attitudine che li vede sbattersi tra le pieghe di Slayer (citati pure con un breve accenno a “Raining Blood”) e Soilwork, con il cantante Galzi Kallio che si rivela anche un discreto frontman ben sostenuto da una line-up robusta e compatta.
Purtroppo è fin da subito evidente che per la serata i suoni all’interno di uno scarno MusicDrome (l’ex Transilvania) non saranno certo eccezionali.
Turisas Il motivo principale della mia presenza a questo concerto.
Avevo mancato d’un soffio le precedenti calate sui palchi italiani dei Turisas, e per festeggiare l’avvenimento ho “trascinato” con me un dubbioso (ma alla fine saltava anche lui alle note di “Rasputin” e voci mi dicono che ora abbia ordinato su Ebay uno spadone ed elmo vichingo!) Marco.
Partono in lontananza dei tamburi di guerra e poi SBRANG! … l’invasore finnico conquista il palco, e ben presto i Turisas, guidati da Mathias "Warlord" Nygård, prendono pure il controllo del pubblico grazie ad un assalto musicale che miscela con successo i Bal-Sagoth, i Finntroll ed i Manowar, e che trova subito riscontro nella trascinante “To Holmgard and Beyond” ed in una “One More” ad alto tasso alcolico.
Se Mathias "Warlord" Nygård si rivela un frontman in grado di aizzare e trascinare il pubblico, il resto del gruppo non gli è da meno, sia nella sua componente più classica (il chitarrista Jussi Wickström, il bassista Hannes 'Hannu' Horma e Tuomas 'Tude' Lehtonen che siede dietro al drum kit), sia in quella che si propone con strumenti tradizionali, cioè Olli Vänskä al violino e Netta Skog alla fisarmonica.
Dal loro (purtroppo) breve set spiccano il volo le conclusive “Rasputin”, e la cover dei Boney M. che si trasforma in un trascinante e spassoso inno metallico, e “Battle Metal”, vera marcia di battaglia dei Turisas, che si confermano una delle novità più interessanti e divertenti che la scena metal è in grado di offrire.
… To Milan and Beyond !!A cura di Sergio RapettiMoonspell Una bella sfida. Da un lato le sollecitazioni istigate dal folk portoghese e dagli scritti di Pessoa, dall’altra quelle della letteratura gotica britannica e le leggende “stregonesche” della contea del Suffolk, con in mezzo (anche se si esibiscono per secondi, dopo i dignitosi ma impalpabili Slayer-iani Dead Shape Figure) la tradizione nordica “nell’arte della guerra”.
Moonspell, Cradle Of Filth e Turisas. Tre modi diversi di coniugare una certa forma di “cultura”, anche se più o meno “coreografica” e leggera, e “intrattenimento”, rappresentato da quella musica violenta, intensa, potente e coinvolgente conosciuta come heavy metal.
Per quanto mi riguarda non ci sono dubbi in merito al “vincitore” della contesa, anche se Dani & C. sono stati più meritevoli del previsto e i finlandesi si sono dimostrati una bella e divertente sorpresa (“Rasputin” e “The final countd … “ ooops “Battle metal”, soprattutto!).
Ci sarebbe molto da discutere (allargando il discorso a tante altre situazioni analoghe a cui assistiamo abitualmente), andando anche oltre i valori specifici, su questi “ripensamenti” attuati dalle band che prima dichiarano apertamente di volersi “evolvere” cercando di esplorare altri campi musicali spinte dall’esigenza di essere più “attuali”, per poi ritornare sui propri passi iniziali, ma quello che interessa veramente in questa sede è raccontare che i Moonspell targati 2009, abbandonati gli “sperimentalismi” e tornati ad una forma di dark, black e folk non troppo lontana da quegli esordi che fecero la “gioia” della Century Media (oltre che di moltissimi fans!), sono una formazione incredibilmente affascinante, carismatica, in grado di stimolare con la sua musica e la sua interpretazione, sensazioni che toccano il “corpo” e “l’anima” di chi assiste ad un loro spettacolo.
Il merito è, fatalmente, in grossa parte da accreditare a Fernando Ribeiro, il vero cerimoniere dei lusitani, il quale non ha bisogno di ricorrere a “trucchi” particolari per essere comunicativo e catalizzare l’attenzione: proprio come un “buon vampiro”, egli assorbe dal pubblico l’energia necessaria e ad esso la restituisce sotto forma di un mesmerismo irresistibile che a volte può sembrare quasi “abulia” (l’audience sarà decisamente più “attiva” durante il set dei Cradle Of Filth), ma che invece a mio modo di vedere altro non è che è il risultato di una “malia” pressoché totalizzante.
Arrivando alla “fredda” cronaca, il concerto, con l’aiuto di suggestive immagini a tema proiettate sul fondale posizionato sul palco, parte tiratissimo con una sequenza (“At tragic heights”, “Night eternal” e “Finisterra”) devastante per i sensi, colpiti subito dopo da un’entusiasmante versione di “Opium”, dove diminuisce la “forza bruta”, ma non certo il pathos emotivo.
Si continua con l’ipnotica “Scorpion flower” (e purtroppo, Anneke non è presente!), le crepuscolari vicende di (“… a little girl called”) “Luna”, e con “Vampiria” e “Alma Mater”, i due pezzi che riscuotono la reazione migliore nella platea del Musicdrome, a testimonianza di quanto sia ancora amato il debut full-length “Wolfheart”.
Si finisce con “Full moon madness” e con colui che una volta si faceva chiamare Langsuyar che invita gli astanti a non “essere timidi” e percuote i piatti della batteria con delle bacchette che usa anche per comporre una croce da esporre al “cielo” del locale meneghino, in una sorta di gesto catartico che ci risveglia da quest’incantesimo a cui è sempre assai appagante abbandonarsi.
A cura di Marco AimassoCradle Of FilthMai amati più di tanto dal sottoscritto, i britannici Cradle of Filth chiudono la serata con una prestazione che supera le mie aspettative.
Ovviamente la maggior parte dei presenti alla serata non la pensa allo stesso modo e, infatti, sono qui principalmente per vedere all’opera Dani Filith e la sua oscura corte.
I suoni non sono migliorati e lo stesso gruppo appare un po’ stanco e forse non del tutto a suo agio sul sacrificato palco del Music Drome, ma il folletto Dani non rinuncia al proprio ruolo di trascinatore e leader del gruppo, con la sua voce stridula e maligna che si snoda lungo un set non lunghissimo e che tende a privilegiare il loro passato rispetto al recente “Godspeed on the Devil's Thunder”, dal quale comunque propongono l’opener “Shat out of Hell”, prima di fare un passetto indietro a “Nymphetamine” con “Gilded Cunt”, e di un bel salto temporale con “Dusk and Her Embrace”, un classico di fronte al quale comunque non sfigura la nuova “The 13th Cesar”, uno dei brani più azzeccati del loro show.
Si sente poi la mancanza di Liv Kristine Espenas su “Nymphetamine”, rimpiazzata dalla tastierista che si è tenuta ben defilata sul palco. Rieccoli a braccetto tra passato e futuro con “The Principle of Evil Made Flesh” e “Honey and Sulphur”, prima di una nuova manciata di pezzi, trai quali si segnala “Cruelty Brought Thee Orchids”, preludio alla conclusiva “From the Cradle to Enslave”.
Stasera, mi sono talvolta apparsi come dei nobili decaduti, ma la classe dei Cradle of Filth è ancora evidente.
Spero per loro che tenga ancora per un po’.
A cura di Sergio Rapetti