Quando, nel convulso panorama discografico attuale, un album continua a monopolizzare i tuoi ascolti (magari mentre il resto di materiale da recensire ormai si sta pericolosamente accumulando … sssh … non ditelo all’headquarter di Metalhammer.it!) anche dopo alcuni mesi dalla sua uscita, con molta probabilità significa che il suo valore è davvero “speciale” e che è in grado di andare oltre ogni eventuale forma d’infatuazione iniziale.
“Devil On My Shoulder”, seconda fatica degli Hell In The Club, è, per quanto mi riguarda, proprio uno di questi casi d’imperioso “catalizzatore sonoro”, ratificando, peraltro, un consenso a quanto pare condiviso dalla stragrande maggioranza della comunità hard-rockofila.
Ebbene, anche se, come attenti appartenenti a tale categoria, dovreste già sapere tutto (o quasi) su questo formidabile gruppo nostrano e sul suo eccellente lavoro, vi propongo la lettura di questa chiacchierata con Davide Moras, un passato di scribacchino su queste colonne e un presente (e un futuro!) da rockstar (una di quelle tanto talentuose quanto umili e disponibili …) di statura internazionale … al limite consideratela una sorta di simpatico (spero!) reminder utile a non perdere di vista le “cose importanti” di una scena brulicante di uscite.
Ciao Davide! Grazie per la disponibilità, complimenti per il vostro nuovo disco (finito direttamente nella mia TOP playlist del 2014 … meglio di un Grammy Award, insomma …) e bentornato sulle nostre pagine virtuali!
Ahahah, grande! Ma grazie a voi!!
Iniziamo subito con le curiosità su “Devil On My Shoulder” … com’è nato e in che modo il diavoletto del titolo ha “concorso” alla sua realizzazione?
In realtà “Devil on my Shoulder” è nato poco dopo l’uscita del nostro primo disco. O almeno una parte di esso. Le numerosissime date live e i nostri altri impegni hanno notevolmente rallentato i lavori sui nuovi pezzi, quindi la gestazione dell’album è stata davvero lunga. Il diavoletto ci ha poi messo del suo dal momento che a turno ognuno di noi ha vissuto momenti personali più o meno difficili. E’ stata una vera fatica insomma ahah! Ma alla fine posso dire che ne siamo davvero soddisfatti. E forse è proprio la difficoltà nel realizzarlo che oggi ci rende così entusiasti del risultato.
L’approccio del nuovo albo mi è sembrato più adescante e “edonistico” rispetto a quello rilevato in “Let The Games Begin”, con un maggiore apporto di numi tutelari come Poison e Warrant. E’ stata una scelta voluta e consapevole?
Ma, non direi ...! Direi che ci siamo affacciati al songwriting con la stessa attitudine della prima volta. Questa volta abbiamo però aggiunto al bagaglio l’esperienza e un’intensissima intesa fra noi quattro, nata e maturata sul palco. Siamo stati forse un pelino meno istintivi, quello sì. Ma con questo voglio solo dire che abbiamo curato maggiormente gli arrangiamenti e la produzione. Per quanto riguarda le tematiche dei testi invece è stato proprio il contrario. Nel primo disco siamo sicuramente stati più spensierati (a parte qualche episodio) mentre in “Devil on my Shoulder” i testi si sono fatti un pochino più “seri”, se vogliamo, e hanno coinvolto momenti personali dal grande impatto emotivo. Ovviamente non mancano gli episodi spensierati o più “superficiali”… siamo qui anche a divertirci, alla fine :).
Mi piacerebbe proprio approfondire quest’apparente “dicotomia” … nonostante il suddetto clima sonoro parecchio “spensierato”, dal punto di vista dei testi non avete rinunciato a sfruttare anche influssi letterari importanti. Come mai avete deciso di ispirarvi alle opere di Paola Barbato e Daniel Pennac?
Personalmente ho voluto fare un piccolo tributo soprattutto al lavoro di Paola, che reputo una delle scrittrici più talentuose e intense degli ultimi anni. Ci siamo sentiti ed è stato veramente emozionante sapere che ha apprezzato la canzone. Più di qualcuno mi ha detto che dopo aver ascoltato “Bare Hands” è corso a leggersi il libro e questo mi riempie di gioia. Adoro quando diversi tipi di arte s’incontrano e fanno nascere nuovi spunti.
A modo nostro ci abbiamo provato e direi che ci siamo riusciti!
L’incremento della vostra coesione come “gruppo” mi è sembrato un elemento piuttosto significativo nell’economia dei brillanti risultati raggiunti. In sede di recensione ho ipotizzato un consolidamento della vostra “sicurezza” in un campo un po' diverso da quello per cui siete maggiormente conosciuti (ricordiamo che si tratta di musicisti provenienti da Elvenking, Secret Sphere e Death SS … nda). Puoi confermare tale sensazione?
Hai perfettamente ragione! Questa cosa è nata principalmente perché siamo quattro persone in totale sintonia. Siamo completamente diversi ma quando ci troviamo, nasce la “magia”, eheh! È incredibile perché è una cosa che non mi era mai capitata prima. Ed è forse la forza motrice di questa band effettivamente. A questo aggiungiamo un’esperienza live davvero notevole, abbiamo suonato tantissimo dopo l’uscita del primo disco e questo non ha fatto altro che consolidare il nostro affiatamento.
Il programma dell’album è molto appassionante senza eccezioni, ciononostante ritengo “Proud” e “No more goodbye” due brani veramente di grande livello, all’altezza dei migliori interpreti del cosiddetto hair-metal … ti chiedo di raccontarci tutto su queste autentiche perle soniche e se le ritieni, come me, molto rappresentative della vostra essenza attuale …
“Proud” è senza dubbio uno dei pezzi forti di questo disco. Oltre ad essere un brano di forte appiglio è anche una dichiarazione d’intenti, un piccolo inno alla nostra musica e alla nostra band. E’ già diventato un cavallo di battaglia dal vivo. Per quanto riguarda “No more Goodbyes” invece direi che è un pezzo un po’ atipico per noi – forse vicino a “Since you’re not here” dal primo disco. Una canzone più introspettiva, priva di grossi arrangiamenti, dove la mia voce si attesta su tonalità più basse a esprimere un testo dove ripercorro un momento molto difficile della mia vita.
Il perseguimento dell’originalità è un tema sempre piuttosto dibattuto e anelato (più che altro a livello di critica musicale, in realtà) … è una materia che gli Hell In The Club ritengono “centrale” per la stesura dei loro brani o sono altri gli obiettivi prioritari che vi ponete quando componete?
Sappiamo tutti che, soprattutto in questo genere, l’originalità è senza dubbio la cosa più difficile (se non impossibile) da raggiungere. Infatti, non abbiamo questa pretesa. Sentiamo però la necessità di scrivere e suonare con la massima personalità. Si deve poter sentire che siamo noi, che si sta ascoltando un pezzo degli Hell in the Club. E tutto sommato credo che in questo ci siamo riusciti. O almeno ce lo stanno dicendo un po’ tutti, quindi direi che è probabilmente la strada giusta da percorrere. Non siamo qui per essere l’ennesima band clone di dubbia qualità. E se lo siamo, ditecelo, così ci ritiriamo ahahah!
L’immaginario di riferimento del disco è sostanzialmente all’insegna del classico “nothin’ but good time”, una “roba” da party selvaggi, divertimento ed eccessi, condita da bel numero di groupies entusiaste … è solo una “suggestione” o siete riusciti a integrare l’aspetto artistico con quello … ehm, squisitamente ludico … proprio come le vere “rockstar” del settore :)?
Ce lo chiedono in molti in effetti. Pensa invece che da bravi noiosoni quali siamo, abbiamo passato gli ultimi aftershow a pensare a tutte le cose che possiamo migliorare per essere sempre più professionali e coinvolgenti dal vivo, altro che groupies ahahah! Comunque a parte gli scherzi siamo qui anche per divertirci, quindi non ci tiriamo indietro quando possiamo passare una bella serata prima, durante e dopo un concerto. Di certo non sono più gli anni ’80 e la scena è completamente diversa al giorno d’oggi. Quindi lasciamo volentieri le band di ragazzini giocare alle piccole glam star di periferia. Noi pensiamo a tutto il resto, anche perché le nostre vite sono già abbastanza al limite e non abbiamo bisogno di cercare ulteriori guai ahah! :)
Accantonando le facezie, credi che il rock n’ roll non abbia ancora perso, dopo così tanti anni di “onorato servizio”, il suo ruolo trasgressivo e ricreativo?
Direi di no, anche se ora il cerchio si è allargato moltissimo. Una volta il rock era la vera trasgressione. Ora è diventato solamente un “accessorio”. Poi parlando di trasgressione potremmo andare avanti per ore. In un’epoca dove tutto sembra lecito e non esistono più cose che shockano sul serio, arrivano Miley Cyrus o i romanzi di E. L. James e fanno scandalo. Non capisco dove stia lo scandalo, la trasgressione. Proprio stamane ho letto una recensione di “Cinquanta sfumature di grigio” dove parlano di record d’incassi e di donne impazzite. Forse la fantasia ha ancora bisogno di essere stuzzicata nonostante qualsiasi cosa sia esplicitamente alla portata di tutti … e, a proposito di questo, forse il rock’n’roll ha ancora speranza? Staremo a vedere :).
Immancabile questione live … prospettive importanti da questo punto di vista?
Stiamo completando un tour italiano che abbiamo inaugurato a fine novembre. Stiamo visitando alcuni dei più importanti live club italiani per promuovere il disco e pian piano ci muoveremo anche all’estero. Prossime date ad aprile a Torino, Pisa e Roma e a maggio in Repubblica Ceca. Stiamo facendo ripartire la macchina come si deve, insomma!
“Devil On My Shoulder” è stato accolto molto favorevolmente dall’intera “collettività rockofila” … qual è il commento all’albo che vi è piaciuto di più?
La cosa che più ci ha fatto piacere è stata sentire che praticamente tutti concordano nel dire che non abbiamo nulla da invidiare alle formazioni estere più blasonate, che meriteremmo lo stesso interesse e lo stesso pubblico. Spero che questo porti a sensibilizzare un po’ chi questo genere lo segue da sempre e non ha mai trovato in Italia band che possano veramente competere con gli elevatissimi standard internazionali.
Tu e Federico avete recentemente pure contributo alla realizzazione di “Out Of The Cage” delle Cellulite Star (tra l’altro un buonissimo lavoro … congratulazioni a tutti!
Qui la rece …). Cosa ci dici di questa proficua partnership? Qualche altra collaborazione in vista?
Io mi sono occupato delle Cellulite Star dall’inizio, collaborando con Kla la chitarrista nell’opera di ricostruire una band che si era completamente sfaldata e scrivendo le canzoni assieme a loro (e in realtà, in un modo o nell’altro tutti gli HITC hanno partecipato al disco. Fede ha registrato e mixato il disco mentre Andy ha registrato le parti di basso per i vari cambi di line-up e Picco ha fatto un solo di chitarra come ospite). Credo sia una realtà unica in Italia, una band rock di ragazze che scrivono musica e suonano così non esiste ed è questo che mi ha spinto a lavorare assieme a loro. Sono straordinarie, andate ad ascoltarle!!
Rinnovando ringraziamenti e complimenti, a te le ultime parole di questa piacevolissima conversazione …
Vi ringrazio moltissimo per l’intervista!! Per me è sempre un piacere essere ospite di Metal(hammer).it, dal momento che ci ho collaborato per un periodo quando ero ancora ragazzino. Bellissimi ricordi. Grazie ragazzi!!!