Dopo i sei anni trascorsi da “The Roots of Trash”, stavo iniziando a pensare che ormai gli Hyades si fossero ritirati su qualche isola esotica a fare la bella vita, godendosi tutte le royalties che si sono guadagnati con i loro dischi.. e invece ecco che a sorpresa si ripresentano con l’ottimo “The Wolves Are Getting Hungry”.
Com’è andata, la vita da nababbi non vi soddisfaceva più oppure vi siete semplicemente scialacquati tutto il tesoretto accumulato?
Lorenzo: Abbiamo speso tutti i nostri guadagni di royalties in donne e auto veloci… il resto lo abbiamo sperperato! Hahah scherzo ovviamente, questa era una citazione dal grande George Best, ma non ha nulla a che vedere con noi… dato che le royalties non le abbiamo mai nemmeno viste! Ed è questo infatti uno dei tanti motivi per cui non siamo più con Mausoleum Records, ma con la Punishment 18 dell’amico Corrado Breno. Quanto alla tua domanda… beh, in realtà abbiamo voluto fare un disco in tutta calma, ritrovando prima di tutto la voglia di fare musica per noi stessi, senza pressioni esterne, senza deadline da rispettare e cose di questo tipo. Ci sono voluti sei anni? Pazienza, evidentemente era questo il tempo giusto. Le canzoni sono buone e noi ci siamo divertiti a registrare questo disco, come probabilmente non succedeva da tempo.
Approcciandoci a “The Wolves Are Getting Hungry” con ulteriore serietà, devo riconoscere che ho trovato l’artwork davvero eccezionale, nulla da invidiare a quelli del miglior Ed Repka, soprattutto per l’idea di attualizzare il “Il Quarto Stato”. Tutto merito dell’autore oppure ci avete messo lo zampino anche voi?
Mario Lopez ha fatto davvero un ottimo lavoro, ma l’idea in realtà è stata nostra. Volevo qualcosa fortemente provocatorio e oltraggioso; e cosa ci poteva essere di meglio se non una rivisitazione di un’opera simbolicamente così forte, quale “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo? Mi conosci da anni e sai che non ho mai nascosto le mie simpatie verso un certo socialismo, anche e soprattutto nei testi degli Hyades, per cui il disegno della nostra copertina rappresenta prima di tutto una mia amara e disillusa accettazione della realtà in cui viviamo oggi. “Il Quarto Stato” ritraeva il cammino del popolo verso il potere; tutte quelle battaglie sacrosante e condivisibili sono state vinte, eppure la nostra società è migliorata ben poco. Oggi la democrazia è l’espressione, almeno teorica, del popolo al potere; peccato solo sia un popolo senza idee, senza etica e senza valori, pronto a difendere i propri interessi e a sbranare il prossimo per la propria sopravvivenza. La repressione e la povertà sono dei collanti formidabili, ma quando vince la propria battaglia ed esce da questa condizione, l’uomo si palesa per ciò che è davvero. La nostra copertina rappresenta il popolo che ha preso il potere, e lo potete vedere in tutte le sue assurde contraddizioni, in tutta la sua pochezza etica e politica.
Ed Repka è un grande artista e il lavoro che realizzò anni fa con “And The Worst is Yet To Come” è stato pazzesco; ma non si è dimostrato molto interessato alla nostra idea; allo stesso tempo devo dire che anche noi non apprezziamo particolarmente la strada che ha intrapreso ultimamente, con soggetti un po’ tutti uguali; così la scelta è ricaduta su Mario Lopez, che devo dire ha centrato in pieno l’obiettivo e reso al meglio l’idea che avevamo in mente.
Di solito le vostre canzoni trattano tanto argomenti forti e scomodi quanto altri più easy; E’ successo anche questa volta?
In questo disco gli episodi meno “seriosi” si sono ridotti a un paio, vale a dire “Eight Beers After”, che in realtà è un testo scritto da Mark una quindicina di anni fa, e “Sing This Rhyme”. Per il resto devo dire che ha prevalso la tematica sociale/politica, per altro in una veste indubbiamente più cinica e cupa rispetto a quanto scritto nel passato. Abbiamo sempre considerato risibili i testi di una larga fetta del “rock” in senso ampio, sempre autocelebrativi, sempre a raccontare di quanto sono fighi i musicisti che fanno la vita (o credono di fare) delle rockstar. Tutto ciò non ci interessa, anzi ci disgusta. Per noi scrivere canzoni significa inevitabilmente voler comunicare qualcosa, condivisibile o meno che sia. E per altro mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa dicendo che la storia ci ha poi sempre dato ragione… Quelli che oggi sui social network fanno gli espertoni e criticano la politica americana ed europea degli ultimi vent’anni sono gli stessi che ci davano dei complottisti comunisti e ci riempivano di insulti più di un decennio fa, al tempo di “Abuse Your Illusions”.
Mi ha invece stupito trovare una nuova versione di “Hyades”, tutto sommato piuttosto recente; magari si poteva ripescare qualcosa di più datato dai vostri primi demo, no?
Avevamo la necessità di raggiungere un certo numero di tracce e quindi abbiamo raschiato il fondo del barile ripescando una canzone del primo disco! Hahah scherzo, in realtà il nostro “Abuse Your Illusions” è parzialmente penalizzato da una produzione che risente dei limiti tecnici di quegli anni, pur suonando meglio di tanti altri album thrash in circolazione al tempo. Volevamo quindi semplicemente provare a rendere giustizia ad un pezzo che ci piace e che ci rappresenta particolarmente; non era previsto l’inserimento nel disco nuovo, ma poi una volta registrato ci siamo chiesti… “beh, perché no”? Si, certo, avremmo potuto ripescare qualcosa di più datato, ma è innegabile che il sound Hyades dei dischi pubblicati si sia formato da “Abuse Your Illusions” in avanti, mentre i demo più vecchi (che apprezziamo e non rinneghiamo affatto!) avevano un taglio più heavy che poco avrebbe centrato con il resto dell’album.
Ma dopo tutti questi anni a fare del "buon vecchio e sano Thrash", non vi siete ancora annoiati? Quali soddisfazioni si hanno oggigiorno nel suonare Thrash Metal ?
La sola vera ed unica soddisfazione è quella di suonare ancora con degli amici, facendo qualcosa che ci piace. Non abbiamo altre pretese. C’è stato un periodo in cui il nostro nome cominciava a girare bene; erano poche le band italiane riconosciute ed apprezzate all’estero e noi eravamo tra queste; avremmo forse potuto combinare qualcosa in più, ma per farlo avremmo dovuto accettare dei compromessi, leccare qualche culo e pagare botte di soldi per suonare in qualche tour europeo. Abbiamo deciso di non farlo e abbiamo perso il nostro treno. E’ stato giusto così.
Oggi non abbiamo aspettative; nel momento in cui abbiamo voglia di suonare e di fare qualcosa… lo facciamo; altrimenti ce ne stiamo zitti.
Tornando al nuovo disco, le canzoni si sono sviluppare lentamente negli anni che sono passati da “The Roots of Trash”, oppure sono frutto di una fase compositiva contenuta e dedicata appositamente al songwriting del disco?
Tutt’altro. Dopo “The Roots of Trash” ci siamo un po’ fermati proprio con la composizione, perché non volevamo fare un disco uguale agli altri tre. Abbiamo continuato a suonare, soprattutto all’estero, ma ci mancavano un po’ gli stimoli. Tutto ciò che è stato scritto in quel periodo è stato praticamente buttato nel cesso e il songwriting vero e proprio dell’ultimo album ha preso vita nei 6/7 mesi precedenti alla registrazione.
Che ne dici di fare un rapido excursus lungo le tracce del disco sfrugugliando tra gli aspetti musicali, quelli lirici e qualche curiosità?
Mah, a livello lirico come ti accennavo è un album che resta in linea con quelle che sono sempre state un po’ le nostre tematiche principali, a partire dai temi sociali e politici, anche se cambiano i modi e i tempi. Gli episodi un po’ più a sé stanti sono “Sing This Rhyme”, e soprattutto “Eight Beers After”, che se non ricordo male ha una quindicina di anni. Risale ancora agli anni in cui eravamo degli spiantati ragazzetti con il giubbetto di jeans e le scarpe da basket giganti, che la sera si trovava a bere le birre nei parcheggi, con il bagagliaio della Panda aperto e “Nosferatu” degli Helstar a girare a palla nel mangiacassette!
L'album è uscito per la sempre più attenta e attiva Punishment 18 Records, come vi siete "trovati"?
Molto bene, ma già sapevamo a cosa andavamo incontro, conoscendo Corrado Breno da tanti anni, prima ancora che desse vita alla Punishment 18! Era parecchio tempo che con Corrado che si parlava di fare qualcosa assieme, ma eravamo vincolati al contratto con la Mausoleum Records; appena è stato possibile sganciarsi non ci abbiamo pensato due volte. La Mausoleum è un nome “leggendario” in ambito metal, ma non è tutto oro quel che luccica; meglio avere a che fare con qualcuno di veramente appassionato e che crede in quello che fai, costruendo un rapporto trasparente e onesto. Come ben sai, anche questo è un mondo di lupi affamati pronto a sbranarti…
Avete pianificato un tour di supporto a “The Wolves Are Getting Hungry”?
No, niente tour al momento; io e Rob (bassista) in questi anni siamo diventati musicisti professionisti a tempo pieno e giriamo parecchio sia Italia che Europa con un altro progetto, per cui il tempo che ci resta è davvero poco. In realtà ce lo ricaveremmo se la situazione lo consentisse, ma i posti in Italia per suonare sono sempre meno, per cui preferiamo concentrarci ormai su poche date all’anno ma in contesti meritevoli e dove c’è interesse e professionalità. Purtroppo per i tanti amici e fans italiani, queste situazioni sono il più delle volte solo all’estero, tra Germania, Belgio e Olanda. Difficile muovere la gente qui da noi, difficile avere a che fare con promoter o club seri, difficile persino il più delle volte ripagarsi le spese. E poi c’è la solita questione che il gruppo italiano nel proprio paese non viene mai visto al pari dei “colleghi” internazionali.
Quali dei vostri concerti ricordi più volentieri?
I primi da adolescente, quelli con il nodo alla gola prima di salire sul palco; quante emozioni e tensioni, e suonare davanti a quelle venti persone per te era come fare Wembley. Negli anni successivi abbiamo poi avuto la possibilità di suonare in festival davvero validi, uno di questi il Black Out Bash a Geraardsbergen in Olanda, dove torneremo quest’anno a fine Ottobre e sono sicuro sarà un’altra data memorabile.
.. e quali meno?
Non saprei davvero; a livello di esecuzione sarebbero parecchi hahaha, sono un pignolo da competizione e troverei sempre qualcosa da dire su come abbiamo suonato. Ma anche in questi casi si tratta sempre di esperienze positive e di bei ricordi che ci portiamo a casa, soprattutto perché mi rendo conto di essere molto fortunato a poter girare l’Europa proponendo la nostra musica.
Già che si siamo … quali sono stati i momenti più importanti del vostro percorso musicale?
Sicuramente gli anni 2004/2006, quando ci siamo trovati a passare dall’idea di scioglimento al trovarci un contratto con la Mausoleum Records; per una band italiana, che arrivava quindi da una scena con una credibilità nulla verso il mercato estero, era un traguardo davvero impensabile; in quegli anni il nostro nome girava bene anche negli States e in UK. Non ce lo saremmo mai aspettati, è stato qualcosa che ci ha proiettato subito su un altro livello e ha segnato la nostra vita musicale, professionale ed umana.
Qualche rammarico qua e là?
Non avere più vent’anni! Allora si che ne avevamo di tempo da dedicare alla band, ed era facile essere in prima linea su tutto. Adesso come vedi è difficile trovare il tempo anche per un’intervista, che è un piacere prima che un dovere verso chi ci ha sempre supportato negli anni! Per il resto… beh come ti dicevo avremmo forse potuto combinare qualcosa in più e sfruttare meglio il periodo in cui eravamo sulla cresta della nostra piccola onda; ma come in tutte le cose se non hai le spalle coperte a livello economico e l’intenzione di investire (o buttare, chi lo sa) un buon gruzzolo tra promozione, booking agency e ufficio stampa, puoi anche essere bravo ma hai un potere d’azione limitato. Noi abbiamo sempre visto gli Hyades come una grande passione, spesso totalitaria, che affrontavamo però in maniera intransigente: niente compromessi, niente pay to play, niente regole dettate da altri. Non ho però rammarichi, credo che rifaremmo tutto uguale.
Cosa si aspettano gli Hyades nel prossimo (e magari anche più in là ) futuro?
L’anno prossimo festeggiamo i vent’anni di attività; niente celebrazioni roboanti, ma un buon festival dalle nostre parti con un po’ di ospiti e qualche sorpresa ci sarà di sicuro. Essendo freschi di un disco che ci piace, che ci convince e che soprattutto ci è piaciuto parecchio registrare, siamo quasi impazienti di rimetterci al lavoro su materiale nuovo per evitare che il prossimo disco esca tra altri sei anni!
Speriamo di rispettare queste buone intenzioni! :)