Il nuovo album dei Dream Theater, “The Astonishing”, porta sostanzialmente la firma di due persone. La prima, John Petrucci, è l’anima storica di questa band e, perso Mike Portnoy, rimane colui che più di tutti rappresenta il nome e il blasone del gruppo nel mondo. La seconda, Jordan Rudess, presentatosi ai fan con il monumentale “Metropolis Pt.2 – Scenes From A Memory”, è un personaggio controverso, a volte amato a volte meno, che però questa volta è riuscito ad esprimere una creatività rara, mettendo il sigillo su quello che, a mio modesto parere, rientra di diritto tra i migliori lavori di sempre della band statunitense. Abbiamo avuto l’opportunità di fare due chiacchiere con Jordan, che ci ha svelato diversi retroscena sul nuovo album dei progster più amati e odiati del globo.
Ciao Jordan, benvenuto su metal.it! Innanzitutto complimenti per un disco che ritengo davvero ottimo! Raccontaci come è nato e perché questa volta il processo compositivo non ha coinvolto l’intera band
Ciao e grazie mille! Fin dall’inizio abbiamo pensato di fare qualcosa di speciale. Solitamente ci chiudiamo in sala con tutto il gruppo per comporre, ma stavolta cercavamo qualcosa di più tranquillo, per poter lavorare con serenità sulla storia, sulla musica e su ogni aspetto. Quindi ci siamo trovati io e John Petrucci, con chitarre e tastiere, un computer e un ingegnere del suono. Per un po’ di giorni abbiamo lavorato in isolamento e credo che il risultato abbia premiato questa scelta, abbiamo lavorato nel modo giusto.
Questa volta le parti orchestrali sono state registrate con una vera orchestra, non realizzate interamente da te con tastiere e synth. Come mai?
La scelta è dipesa anche dalla storia del concept, che propone il confronto tra le macchine e l’uomo. Non volevamo che i suoni risultassero troppo elettronici, ma molto più naturali, quasi fossero materia organica, viva. Ad esempio per registrare anche io ho usato un pianoforte a coda e un vero organo invece di riprodurre questi suoni con le tastiere. Ogni volta che abbiamo potuto abbiamo utilizzato veri strumenti. Devo ammettere che all’inizio non ero troppo contento, perchè amo realizzare le parti orchestrali, ma poi a poco a poco il mio entusiasmo è aumentato, soprattutto quando abbiamo cominciato a lavorare con David Campbell, un grande maestro. Io e John abbiamo lavorato in studio sui suoni portanti delle parti orchestrali, poi abbiamo dato tutto a Campbell e lui ha capito in pieno quello che cercavamo, trasformando le nostre idee in musica ma soprattutto realizzandole con tutti gli strumenti a disposizione dell’orchestra.
Grande merito a David Campbell, dunque, ma so che un’altra persona esterna ai Dream Theater andrebbe ringraziata, giusto?
Sì, si tratta del produttore Richard Chycki, un talento particolare, davvero mostruoso con la tecnologia, completamente a proprio agio con qualsiasi innovazione ma allo stesso tempo estremamente musicale. Non si limita a registrare e mixare la musica, ma entra nel merito delle cose, si immerge nel progetto, ci ha accompagnato dalle prime prove fino alla fine delle session. Non esagero quando dico che per registrare questo album Richard è stato il sesto membro dei Dream Theater, davvero un elemento in piu’ che ha contribuito alla buona riuscita del disco.
Costruire un’opera rock è un lavoro lungo e complesso, tanto che spesso e volentieri ci si affida a fonti di ispirazione più o meno vicine. A me, in particolare, alcuni passaggi hanno ricordato celebri musical, sbaglio o ci sono citazioni più o meno velate ad altre opere?
Uhm…sì, sbagli (risate..) Ci siamo ispirati a grandi rock opera come The Wall, Tommy e 2112. Anche ai grandi musical come Jesus Christ Superstar, ma non ci sono citazioni volute o riferimenti diretti.
Quale futuro ora per The Astonishing? Solo disco e tour o sfrutterete la storia per altre trasposizioni?
Abbiamo già iniziato a lavorare su un possibile libro, abbiamo pensato a un videogioco ma anche fatto qualche chiacchierata con dei registi per una trasposizione cinematografica. Il teatro è sicuramente un’opzione e mi piacerebbe molto vederla realizzata. Adesso però siamo molto concentrati sul tour, vedremo quali forme la nostra opera potrà assumere in futuro.
Il tour, che vedrà la band impegnata in ben quattro date italiane (17, 18 e 19 marzo a Milano, 20 marzo a Trieste), si annuncia come uno dei più spettacolari di sempre: puoi anticiparci qualcosa?
Stiamo partendo per Londra con una settimana di anticipo per concentrarci sulle prove, dovete aspettarvi uno show gigantesco. Tutto ciò che sarà nella coreografia, nei video, nel contorno alla musica è stato affidato ad una società canadese specializzata, che ci accompagnerà per tutto il tour. Anche in passato abbiamo fatto cose simili, più in piccolo, ma senza mai affidarci a dei grandi professionisti e gestendo le cose in autonomia. Sicuramente registreremo anche un live, ci teniamo molto, ma al momento non abbiamo ancora programmato nulla.
Qualche anno di militanza e ormai tre dischi alle spalle: come vedi oggi il ruolo di Mike Mangini all’interno dei Dream Theater?
Mike è uno dei più grandi batteristi in circolazione, oltre ad essere una persona divertente e disponibile. Il suo arrivo ci ha aiutato tantissimo perchè tecnicamente e musicalmente è forse il più preparato di tutti noi. Si è guadagnato il posto e oggi è assolutamente un membro della band a tutti gli effetti.
So che in passato hai collaborato con David Bowie, recentemente scomparso. Hai qualche ricordo particolare che ti va di condividere con noi?
Beh…che fosse un grande musicista lo sapete, ma era davvero una persona incredibile, un personaggio vero, sempre disponibile. Quando ho registrato per lui trovava sempre il tempo di condividere dei momenti con me. In particolare, mi raccontava quello che visualizzava mentre scriveva le canzoni. Una volta stavo registrando il pianoforte e lui mi disse: suonala come se fossi in un locale francese, con l’aria carica di fumo, seduto a un vecchio pianoforte con le sole candele a farti luce...aveva sempre una storia pronta per tutto, è stato divertente lavorare con lui. Un aneddoto simpatico riguarda una delle session di registrazione: arrivo in studio e trovo due pianoforti, di cui uno bellissimo a coda e uno piccolo e un po’ malandato. Io mi sedetti al pianoforte più bello, ma arrivò David e mi disse che avremmo registrato con l’altro. La cosa mi stupì parecchio ed ero anche un po’ dispiaciuto, ma lui mi disse che l’aveva accordato in maniera particolare. Mentre stavo per sedermi al pianoforte piccolo, entra il producer e chiede di registrare con il piano più bello. Dopo qualche minuto di discussione David ha sistemato i due pianoforti molto vicini, in modo che suonando il pianoforte a coda venissero sollecitate anche le corde dell’altro...il suono che ne uscì lo potete sentire nella canzone Slip Away.