La recente calata milanese della band statunitense è stata l’occasione per scambiare due graditissime parole con il cantante e chitarrista dei Black Stone Cherry, Chris Robertson, che come sempre si dimostra persona dotata di una calma olimpica quasi sovrannaturale. Nell’attesa di scoprire se sia solo una strategia tantrica per liberare tutta l’energia una volta salito sul palco, ecco quello che ci ha detto.
Ciao Chris, bentornato tra noi e complimenti per il nuovo disco: ho avuto l’opportunità di ascoltarlo in anteprima e devo dire che avete nuovamente fatto centro!
Grazie, man! Questo album è stato forse il più divertente da realizzare, perchè è stato il primo veramente autoprodotto. Per scriverlo ci siamo chiusi in studio solo noi della band con un ingegnere del suono, il risultato è la cosa più onesta e naturale che potessimo tirare fuori, senza alcuna interferenza esterna. Siamo davvero fieri del nuovo disco.
La libertà in fase di composizione ha anche contribuito ad inasprire I suoni, che sono diventati più duri rispetto al recente passato, sbaglio?
In effetti nessuno ha mai pensato a fare un disco per la radio, è una cosa che non vogliamo più fare, quello che ci interessa è suonare del rock and roll nella maniera più heavy possibile.
Ma tu, appassionato come sei di registrazioni, stavolta non hai mosso un ditto in tal senso?
No, stavolta no. Per il mixaggio e il mastering ci siamo rivolti a professionisti. Io mi sono occupato in prima persona dell’ultimo DVD che abbiamo lanciato.
Dopo dieci anni di carriera e di presenza nel music business, vedi qualche cambiamento intorno a voi?
Vedo cambiamenti molto positivi. Ci sono molte più band che suonano rock senza tanti compromessi. È splendido vedere tanti ragazzi giovani che cercano di riscoprire il gusto di suonare rock and roll.
Ma questo cambio di label da Roadrunner a Mascot Records nasconde retroscena particolari?
No, davvero, dopo tanti anni era semplicemente arrivato il momento di cambiare, è stato naturale e condiviso da entrambe le parti. Arrivare alla Mascot è stato grande, abbiamo trovato tanti professionisti e tanta esperienza.
I membri dei Black Stone Cherry sono amici d’infanzia e vengono tutti da Edmonton, nel Kentucky. L’attaccamento alle proprie radici è una costante che, oltre a figurare questa volta addirittura nel titolo dell’album, spesso ricorre nei testi delle canzoni. Quanto contano per voi le vostre origini?
Se fossimo nati in una qualsiasi altra parte non solo del mondo, ma anche degli USA o dello stesso Kentucky, la nostra musica avrebbe un suono diverso. Anche riguardo ai testi, sono così perchè semplicemente scriviamo di quello che conosciamo e che comprendiamo, non ci interessa parlare di grandi cose.
Cosa ti piace fare nel tempo libero?
Ho sempre amato stare a contatto con la natura. Per un certo periodo anche andando a caccia, ma sono tanti anni che non ci vado più, ora porto mio figlio in giro per I boschi. Devo dire comunque che anche la caccia non è mai piaciuta per il fatto di uccidere, ma più che altro la vedevo come un’unione quasi mistica con le nostre radici, con la natura.
Chiudiamo con una domanda sul tour in corso, quasi giunto al termine della parte europea: puoi già fare un primo bilancio del tour?
Oh man, il tour sta andando alla grande, con venue sempre piene e pubblico entusiasta. Non era scontato, perché il nuovo album deve ancora uscire e le persone stanno scoprendo live alcuni nuovi brani. Quest’estate saremo negli States ma tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 spero di poter tornare in Europa.
Sicuro che con tutte queste date, giorno dopo giorno, ormai salire sul palco non sia diventato quasi un lavoro?
No, salire sul palco non è mai un lavoro, assolutamente, non l’ho mai pensato neanche lontanamente. C’è stato un periodo qualche anno fa in cui ero un po’ stanco ma non sono mai arrivato a non volerlo fare e, sinceramente, ora come ora mi diverto come mai in passato. Suonare la mia musica, vedere facce nuove ogni giorno, questo è quello che voglio fare!
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