Saints Trade: santi, eroi & rock n’ roll

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Il 2019 è stato un anno importante per la scena melodica italica, forte di un dinamismo, di una professionalità e di una qualità che le hanno consentito d’issare la bandiera tricolore al fianco di quelle che anche per tradizione e storia normalmente svettano nel settore.
I Saints Trade, con il loro secondo album "Time To Be Heroes", hanno sicuramente contribuito ad un dato di fatto che solo i “malati gravi” di esterofilia (e ce ne sono, ve lo assicuro …) riescono ancora a confutare.
Conosciamoli meglio …

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Ciao ragazzi e benvenuti sulle gloriose pagine di Metal.it! Il vostro album, uscito da poco, s’intitola "Time To Be Heroes" e allora direi di cominciare con il domandarvi a cosa vi riferite con l’esortazione contenuta nel suo titolo …
Ciao Marco, grazie a te. E' un piacere e un onore essere sulle vostre pagine. Il titolo dell'album rappresenta bene il periodo che abbiamo trascorso per arrivare a realizzare questo lavoro, attraversando non poche difficoltà e provando a metterci in gioco come persone e come musicisti. In questo senso per noi il "momento di essere eroi" significa crederci fino in fondo. Più in generale essere eroi significa non arrendersi mai, anche nella vita di tutti i giorni. Non serve fare gesti eclatanti, basta fare qualcosa di ordinario in maniera straordinaria. O qualcosa di straordinario in maniera ordinaria... Insomma, chiunque può essere un eroe quotidiano se porta avanti le sue passioni e realizza ciò che vuole fare della sua vita nonostante le difficoltà di ogni giorno.
Continuiamo con gli approfondimenti “esteriori” sull’opera … cosa rappresenta l’artwork d’ispirazione “metropolitana” - nel senso di mezzo pubblico di trasporto :) ?
L'artwork è a cura di Antonella Astori di Aeglos Art, che ha fatto davvero un ottimo lavoro seguendo il nostro ragionamento di poco fa, ovvero che per essere eroi basta davvero poco. Cosa fa l'uomo dell'immagine? E' in partenza, in arrivo o sta aspettando qualcuno? Perchè brucia il suo biglietto? E perchè la metropolitana è ferma con le porte aperte? Sono tutte domande lasciate in sospeso, a cui ognuno può rispondere come crede. Ci piace che ognuno possa dare la propria interpretazione, magari ispirata dall'ascolto dell'album.

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Rispetto al vostro, pur apprezzabile, lavoro precedente (“Robbed in paradise”), credo che il nuovo disco evidenzi un rilevante miglioramento in molti aspetti espressivi … in che cosa vi sentite di essere “cresciuti” e quali sono state le circostanze che ritenete abbiano contribuito a tale miglioramento?
In effetti siamo cresciuti parecchio. Ci siamo messi in discussione e abbiamo cercato di imparare tanto in questi anni, ascoltando musica, suonando live e sudando in sala prove. Probabilmente siamo maturati anche nel songwriting, cercando di dare una direzione precisa al nostro stile: un hard rock più roccioso nella struttura ma con una grande dose di melodia. Abbiamo prestato più attenzione alla forma delle canzoni, lavorato di più sugli arrangiamenti e sperimentato qualcosa di nuovo. Anche l'ingresso di Andrea al basso, dopo alcuni cambi di line up, in qualche modo ha contribuito a portare nuove idee e una mentalità dinamica. Insomma, non ci siamo mai seduti sugli allori.
Addentrandoci nei contenuti dell’albo, considero “Two as one”, "Hills of Sarajevo”, “Middle of nowhere” e "Twist in the tail” i momenti più efficaci del programma e mi piacerebbe che ci forniste qualche breve delucidazione su questi brani davvero emozionanti …
Hai scelto senza dubbio i brani più "teatrali" dell'album, di sicuro quelli meno immediati rispetto ai due singoli (“Higher” e “Livin' to Rock”) o ad altri brani più caciaroni come “Destiny”, “Born Hunter” o “Queen of Love”. Partiamo da “Two as One”: è la ballad del disco, volutamente dai toni oscuri, che tratta il tema della difficoltà di invecchiare e del tempo che passa senza tornare. Le liriche sono di un nostro caro amico, Armando Febbo. “Hills of Sarajevo” parla della guerra in Bosnia e dei dolori che può causare l'odio tra i popoli. E' il primo pezzo che abbiamo scritto ed è anche quello su cui abbiamo lavorato più a lungo, arrivando a inserire un finale in qualche modo onirico che accentua la malinconia e il tormento della prima parte, più aggressiva, della canzone. “Middle of Nowhere” è una sorta di favola sul senso della vita e sulle scelte che ognuno di noi è portato a fare. E' un esperimento più sinfonico, quasi una piccola opera rock, e il coro finale a canone è una bella scommessa che crediamo di aver vinto, anche grazie alla regia del grande Roberto Priori al mixer. E infine "Twist in the Tail", un pezzo dal sapore metal old school su cui si intrecciano alla perfezione gli arrangiamenti di tastiera di Pier Mazzini. Il tutto contribuisce ad accompagnare la storia 'faustiana' che raccontiamo nelle liriche, quella di un ragazzo timido e introverso, ma al tempo stesso un genio della chitarra, che per superare le sue paure stringe un patto con... beh, indovinate voi con chi.
Rimanendo sul tema, quali sono invece per voi i passaggi chiave di “Time To Be Heroes”? Quali i pezzi di cui siete maggiormente orgogliosi e perché?
Nel complesso siamo molto orgogliosi di ogni singola nota che abbiamo inciso. Su tutte le canzoni abbiamo fatto un lungo lavoro, provando e riprovando in saletta, limando struttura, arrangiamenti e testi di ogni brano. Per questo non abbiamo un pezzo preferito in particolare, anche se sicuramente i due singoli scelti rappresentano bene il disco: “Livin to Rock” è un bel pezzo immediato e autocelebrativo, in onore dei nostri 10 anni di attività; “Higher” vanta la collaborazione della talentuosa Eleonora Mazzotti, la cui voce in duetto con Santi è un autentico valore aggiunto.

Avete celebrato la pubblicazione del disco al "Rock Your Xmas Fest", con Bonfire, Soul Seller e Wheels Of Fire … cosa ci raccontate di questa esperienza? Quali sono le prospettive future dal punto di vista delle esibizioni dal vivo?
E' stata un'esperienza bellissima, che ci ha permesso di confrontarci con band di grande caratura. Ed è stato anche liberatorio, dopo tanto lavoro, suonare finalmente dal vivo i brani nuovi. Lo scorso 25 gennaio abbiamo poi suonato da headliner all'Alchemica music club di Bologna, supportati dagli Alchemy, nostri "cugini" di label: un'altra serata magnifica. Certo, giocavamo in casa. Ma è stato davvero emozionante suonare davanti al locale pieno, sentendo il pubblico cantare le nostre canzoni. Fantastico! Ora continueremo a lavorare per organizzare nuove date, qualcosa potrebbe concretizzarsi a breve, provando anche a varcare i confini italiani. E ci dedicheremo anche a stabilizzare la nostra line-up.
Parlateci un po’ del vostro rapporto con il Burning Minds Music Group, un network discografico che sta operando davvero egregiamente in una scena sempre più complicata e convulsa …
In un panorama, diciamolo pure, abbastanza triste per l'hard rock in Italia, soprattutto underground, avere una label come la Burning Minds è una vera fortuna. Con loro avevamo già collaborato per il precedente album e ci siamo sempre trovati bene. Oltretutto si stanno progressivamente ampliando, con meritati riconoscimenti. Sono persone serie, che si danno un gran daffare e si concentrano molto sulla qualità delle loro produzioni, più che sulla quantità. Di questi tempi, è una pietra preziosa. Sappiamo bene che il mercato è saturo ed emergere è sempre difficile. Ma i ragazzi della BM stanno facendo un lavoro egregio e siamo molto contenti di questa scelta. Tra l'altro c'è grande collaborazione anche tra i vari artisti del roster e questo è un vantaggio in più.
Tra i tanti generi “disponibili”, perché avete scelto di suonare proprio hard melodico? Cosa lo differenzia dagli altri e quali sono le peculiarità che per voi lo rendono “speciale”?
Non è stato un calcolo fatto a tavolino, ma piuttosto il vero punto di incontro delle influenze che ognuno di noi ha nel vasto campo del rock. Mettendo insieme i gusti di tutti e tre andiamo dal blues al death metal melodico, passando per l'hard rock settantiano, il classic metal degli anni '80, l'Aor e il thrash metal. In fondo siamo figli degli anni '70 e '80 ed è questo il background musicale che ci portiamo orgogliosamente dietro. Senza disdegnare i grandi cantautori italiani, che rappresentano comunque la cultura che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Da questo minestrone viene fuori il nostro sound: un hard rock di impatto ma con grandi aperture melodiche, che rendono i pezzi orecchiabili e riconoscibili. E' uno stile che ci piace e su cui la grande sintonia che abbiamo fra noi tre si esprime al meglio.

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Viviamo in un contesto di “opinionismo” sfrenato e di profusione d’informazioni, e allora vi chiedo di esprimere un parere sul ruolo della cosiddetta “critica specializzata” … per i musicisti ha ancora un senso o si tratta esclusivamente di una sorta di “auto-gratificazione” per grafomani appassionati di musica?
Le critiche ci piacciono, sono fonte di crescita e di ispirazione. A patto che siano costruttive: una stroncatura fine a se stessa è inutile, al pari di lodi sperticate senza validi appigli. Detto questo, la critica specializzata è sempre molto importante. L'underground musicale procede e si salva anche grazie a questa nicchia di appassionati che continua a esistere e contribuisce a mandare avanti tutto il movimento, avendo le webzine come riferimento. Certo, non è un lavoro semplice. Serve competenza, conoscenza approfondita della musica e soprattutto occorre tenere a bada i propri gusti personali per non perdere la giusta dose di imparzialità. Per quanto ci riguarda, siamo naturalmente contenti di ricevere interviste e recensioni. Siamo orgogliosi che si parli della nostra musica e del nostro lavoro. Poi, uno di noi collabora proprio con una webzine e un altro il giornalista lo fa di mestiere. Quindi non possiamo che appoggiare e supportare chi ha ancora voglia di intrappolare in parole la propria passione per la musica.
Il 2019 è appena terminato ed è consuetudine per i musicofili stilare la classifica delle migliori pubblicazioni discografiche dell’anno … e allora chiedo anche a voi di prendere parte alla simpatica (e spesso “complicata”) incombenza … qual è la vostra personale Top Three?
Il 2019 è stato indubbiamente l'anno dei Tool, sia per l'attesa legata al loro nuovo lavoro sia per la qualità che hanno effettivamente espresso nel disco. Per quanto ci riguarda, ci sono piaciuti molto anche "Flesh & Blood" degli Whitesnake e "Rewind-Replay-Rebound" dei Volbeat. Però ci piacerebbe citare soprattutto tre album di rockers nostrani: "Don’t count on heroes" dei Danger Zone, "Dyadic" degli Alchemy e "Break down the gate" dei Bullring. Artisti che meriterebbero di essere valorizzati di più e ben altri palcoscenici.
Siamo alla fine, nel ringraziarvi per il tempo dedicato e augurandovi un sincero "in bocca al lupo" per tutto, vi affido la chiusura "a piacere" di quest’intervista …
Viva il lupo Marco! Grazie mille per il supporto e per lo spazio che ci avete concesso. In chiusura non possiamo che dire ai lettori di Metal.it di ascoltare il nostro album e di venirci a vedere dal vivo. Venite a fare un po' di casino sotto il palco, vi aspettiamo!
Intervista a cura di Marco Aimasso

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