Uno degli album migliori del 2020, giunto quasi al termine dell'anno, proviene dall'Italia.
Parliamo di "Beyond the Shores (On Death and Dying)" degli Shores of Null, che ha peraltro la particolarità di essere composto da un solo brano di quasi 40 minuti di durata, al pari di un capolavoro come il celeberrimo "Crimson" degli Edge of Sanity.
Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Matteo Capozucca e Davide Straccione, rispettivamente bassista e cantante della formazione laziale.
Ciao e benvenuti su Metal.it, innanzitutto complimenti per la vostra musica sempre di qualità. Il vostro nuovo disco consta di un unico lungo brano di ben 38 minuti prevalentemente doom, il che si discosta non poco dai vostri precedenti album, come mai questa scelta?
Matteo: Ciao a tutti e grazie per lo spazio che ci state dedicando.
La nascita di questo disco è stata frutto di diversi episodi. Ci trovavamo ormai in rotta con la nostra precedente etichetta,
Candlelight/Spinefarm, vista la totale mancanza di assistenza e supporto da parte loro.
Allo stesso tempo avevamo ultimato la produzione di un full-length composto da diverse tracce, a cui però non volevamo che fosse riservato lo stesso pessimo trattamento promozionale ricevuto dal precedente “
Black Drapes For Tomorrow”, così decidemmo di provare qualcosa di più sperimentale per il nostro terzo e ultimo album previsto sotto questa etichetta, per poi avere libertà di presentare il disco “vero” ad altre label.
Non avevamo pianificato inizialmente di comporre un disco mono-traccia, ma nel mezzo della scrittura ci siamo resi conto che la direzione sarebbe stata quella, visti anche i riff molto dilatati e la struttura inusuale che stava venendo fuori.
In realtà alla fine ci siamo svincolati dal contratto che ci legava a Candlelight/Spinefarm in ogni caso, così al termine della composizione e della produzione ci siamo ritrovati con due full-length completi, ‘
Beyond The Shores’ e il suo successore, ancora inedito.
Come è nata la collaborazione con un personaggio importante della scena come Mikko Kotamäki cantante degli Swallow the Sun e come mai stavolta avete deciso di non affidare a Davide le parti in growl/scream?
M: Abbiamo sempre molto amato gli Swallow The Sun, e mano a mano che la composizione procedeva abbiamo realizzato che la presenza di Mikko avrebbe davvero dato una marcia in più al disco.
Siamo riusciti ad entrare in contatto con lui anche grazie ad un’amicizia comune, e si è rivelato subito disponibile ed entusiasta.
Gli altri aspetti molto importanti di questa collaborazione con Mikko sono stati sicuramente la sua presenza a Roma per l’arrangiamento delle sue parti, a cui ha partecipato attivamente, e per la registrazione.
Lo stesso è avvenuto per gli altri due featuring principali presenti sul disco, quello di
Thomas Jensen dei
Saturnus ed
Elisabetta Marchetti degli
Inno.
Davide: Sì, come accennava Matteo, la scelta di Mikko è stata quasi “obbligata”, nel senso che provando ad immaginare delle linee vocali su alcune parti, suonavano estremamente adatte per Mikko, per cui abbiamo provato a contattarlo.
Fortunatamente nel novembre 2019 gli Swallow The Sun hanno suonato al Traffic di Roma con gli
October Tide, e in quella occasione ho avuto modo di incontrare Mikko e definire il tutto. Tra gennaio e febbraio 2020, prima che scoppiasse la pandemia, abbiamo avuto modo di invitare a Roma sia Mikko che Thomas, e queste sono state le ciliegine sulla torta, abbiamo infatti avuto il privilegio di avere degli ospiti in carne ed ossa, e non solo delle voci sul disco, e questo credo si senta nell’amalgama generale.
Ci spieghi il concept del disco ispirato al libro della psichiatra svizzera Elisabeth Kubler-Ross intitolato appunto “On Death and Dying”?
M: Il suggerimento per questa tematica è arrivato dal nostro chitarrista
Gabriele, che era a quel tempo venuto a conoscenza del lavoro di Elisabeth Kubler-Ross. Nel suo libro “On Death And Dying” descrive la sua teoria secondo la quale una persona a cui viene comunicata la condizione di malato terminale affronta la vita passando attraverso cinque fasi di elaborazione: negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione.
Queste non sono rigidamente consecutive, ma possono mescolarsi tra loro nel tempo. Visto lo stile musicale del disco e la sua struttura, abbiamo pensato che potesse essere un ottimo connubio.
Il concept viene quindi raccontato dal punto di vista di un narratore, che è colui a cui viene comunicata la condizione terminale, il quale attraversa queste cinque fasi fino a poi raggiungere l’accettazione della sua condizione e andare “oltre”, ossia “beyond...the shores”.
Quindi è vero che avete registrato due dischi nuovi di cui “Beyond the Shores (on Death and Dying)” è la prima uscita?
M: Sì, è esatto. Come ho accennato prima, “Beyond The Shores” è stato il realtà il nostro quarto disco in ordine di composizione, ma il terzo in ordine di pubblicazione.
Il prossimo album è già pronto, e possiamo anticipare che avrà una normale struttura a più tracce, e rappresenterà una naturale evoluzione del sound dopo “
Quiescence” e “
Black Drapes For Tomorrow”.
E’ il terzo disco di fila che registrate col produttore/ingegnere del suono nonché bassista degli Hour of Penance Marco Mastrobuono e presso i suoi studi di registrazione, ci dici il perché di questa decisione?
M: Marco, oltre ad essere un amico di vecchia data, è un produttore eccezionale, davvero un’eccellenza del panorama italiano. Siamo sempre stati soddisfattissimi della metodologia di lavoro e dei risultati che questa metodologia ha portato, ottenuti con una collaborazione pressoché perfetta.
Per questo motivo non ci è mai passato per la testa di registrare in altri studi. Come si suol dire, squadra che vince non si cambia.
Anche il disco ancora inedito è stato prodotto interamente da lui.
Ci spieghi come nasce un brano degli Shores of Null?
M: La composizione parte dai nostri due chitarristi, Gabriele e Raffaele, che gettano le basi del pezzo e la sua struttura principale. In seguito basso e batteria vengono arrangiati da me ed Emiliano, per poi passare ad un processo di arrangiamento di insieme e limatura dei pezzi.
Per ultimo, Davide compone le linee vocali e aggiunge i testi.
Il nuovo album vede il cambio di etichetta dalla Candlelight Records alla Spikerot Records, vuoi dirci qualcosa in merito e come è stato il rapporto con una label importante come la Candlelight?
M: Al tempo del nostro debutto “Quiescence”, ricevere le attenzioni di un’etichetta del genere, che aveva pubblicato i dischi di esordio di tanti gruppi che adoravamo (pensiamo solo a
Opeth ed
Emperor, per esempio), è stato davvero incredibile.
Siamo stati da subito convinti della scelta, firmando un contratto per un disco, più opzione da parte loro per un secondo ed un terzo. Il lavoro di promozione fatto con “Quiescence” è stato ottimale, portando buoni risultati per una band totalmente sconosciuta.
Prima dell’uscita del nostro secondo album però, Candlelight è fallita e tutto il suo catalogo è stato inglobato da Spinefarm (Universal), etichetta ancora più grande, forse troppo per una band come noi.
Da quel momento, purtroppo, sono iniziati i problemi, sia comunicativi (decine di mail da noi inviate senza nessuna risposta), che gestionali e promozionali per quanto riguardava la nostra musica.
Non solo la promozione del secondo album è stata praticamente assente, ma ci sono state gravi mancanze da parte loro dal punto di vista di publishing, copyright e aspetti tecnici di questo tipo.
Tutto ciò ha causato, tanto per fare un esempio, ritardi di quasi un anno sul rilascio di videoclip che erano nati per promuovere il disco nei mesi della sua uscita, e semplicemente non potevamo farci nulla, non avevamo nessun tipo di controllo su nessun aspetto della nostra musica.
Questo è ciò che ha dettato la scelta di passare ad una realtà completamente diversa come Spikerot Records: volevamo una collaborazione più diretta per coordinare ogni tipo di scelta, e non accettavamo compromessi sul controllo della nostra musica. Da questo punto di vita, tutto è stato perfetto. I ragazzi di Spikerot stanno facendo un lavoro eccezionale e la linea diretta che abbiamo con loro, anche grazie al fatto che il nostro cantante Davide è uno dei soci, ci permette di agire velocemente e precisamente in ogni aspetto.
Davide, vuoi parlarcene spiegandoci la scelta di aprire una tua casa discografica e come procede questa esperienza?
D: è da molto tempo che mi dedico alla musica, non solo registrando dischi e facendo concerti con le mie band, ma anche come local promoter, cosa che da sempre fa anche il nostro chitarrista Gabriele, il fatto di non essere semplicemente degli attori passivi nella nostra scena di riferimento è stato da sempre un fattore determinante.
Qualche anno fa il mio amico
Antonello Forte mi parlò di voler aprire un’etichetta discografica e che mi avrebbe voluto al suo fianco.
L’idea di aprire un’etichetta era anche uno dei miei sogni per cui accettai subito, coinvolgendo anche
Alessio Leocadia, nostro amico e figura attivissima in ambito metal estremo. Insieme ai miei due soci abbiamo dato vita a Spikerot nel 2018, in 3 anni abbiamo fatto una ventina di uscite, tra doom, death metal, grindcore, post metal, sludge, black, ma anche la ristampa in vinile di colonne sonore cosiddette “cult”, che rappresentano uno degli elementi che ci differenziano maggiormente dalle altre etichette dello spettro “heavy”.
Inoltre abbiamo uno shop/mailorder dove distribuiamo anche altre band e etichette, un lavoro a tempo pieno insomma.
Aprire un’etichetta è stata una scelta dettata per prima cosa dalla passione, e ovviamente far uscire “Beyond The Shores” per la mia etichetta è stato qualcosa che mi ha messo doppiamente in gioco e sono felice dei risultati raggiunti, sia dal punto di vista della band che della label.
Nonostante non sia stato possibile promuoverlo nella maniera classica (concerti, tour, ecc.) i responsi sono stati ottimi, tantissime ottime recensione, ma anche l’inclusione in decine di classifiche dei migliori album del 2020, questo ci ripaga dei mesi di duro lavoro.
Come vedi oggi la scena gothic/doom/death di cui fate parte e che band della scena, casomai meno conosciute, consiglieresti ai nostri lettori?
Matteo: penso che l’Italia in questo genere abbia diverse band che possano rivaleggiare senza problemi con i nomi esteri più blasonati. Tanto per citare due band a noi vicine, gli album di debutto di
Invernoir ed
Inno sono dei gioielli che meritano grande riconoscimento.
Quali band vi hanno maggiormente influenzato e perché, e quali generi musicali ascolti oltre a quello degli Shores of Null?
M: l’idea con cui sono nati gli Shores Of Null è quella di mescolare e elaborare in chiave personale le sonorità di gruppi gothic, doom, melodic death e black della scena degli anni ‘90, come
Katatonia,
Paradise Lost,
My Dying Bride,
Sentenced,
Anathema,
Saturnus,
Dark Tranquillity,
Enslaved,
Borknagar...e se ne potrebbero nominare tantissimi altri.
Personalmente mi piace molto spaziare, posso dire che a parte il power, nel metal ascolto praticamente di tutto, con una predilezione per death, black, e gothic.
Ho un debole soprattutto per tutte quelle band che deviano dai generi considerabili “puri”: penso per esempio ad
Opeth,
Green Carnation,
In The Woods,
Ulver,
Wayfarer, tutte band che hanno aggiunto qualcosa di personale al loro genere di appartenenza.
Ascolto anche molti gruppi appartenenti all’area “post”, sia metal che rock, come
Isis,
Cult Of Luna,
Heretoir,
Red Sparowes.
D: Devo dire che io e Matteo andiamo molto d’accordo musicalmente e ha descritto appieno quello che è alla base degli Shores.
Come ascolti prediligo doom, black e gothic, ma anche stoner/sludge, death metal, post rock/metal, neofolk, ultimamente anche qualcosa riconducibile al mondo synthwave, insomma non ci sono davvero limiti a ciò che si può ascoltare oggigiorno, e l’avvento dello streaming e di piattaforme come Spotify e Bandcamp, ha reso possibile la ricerca musicale a 360 gradi.
In generale sono molto aperto alle sperimentazioni e adoro le band in grado di contaminare il proprio sound in maniera intelligente.
Talvolta, quando mi chiedono conto delle band che mi piacciono con domande del tipo “che genere fanno”, non so mai dare una risposta netta. Il bello della musica è anche questo.
Ti faccio una domanda ricorrente in questo periodo, come avete affrontato e state affrontando questa pandemia che sta incidendo pesantemente in negativo sull’attività dei gruppi musicali, sui concerti e su tutto quello che gli gira intorno?
M: è un momento chiaramente molto difficile. Ad oggi la maggior parte degli introiti per una band del nostro livello provengono dalla vendita di dischi e merchandise ai concerti, e a livello promozionale i tour sono sicuramente lo strumento principale per farsi conoscere.
Non poter suonare dal vivo diventa quindi un ostacolo enorme per la crescita di una band. Abbiamo dovuto quindi rimboccarci le maniche, cercando di andare a migliorare in tutti quegli aspetti su cui è possibile lavorare in un momento come questo, come il marketing online, i social network o l’uso appropriato dei servizi di streaming musicale, e devo dire che abbiamo visto degli ottimi risultati in questo senso.
Se la situazione mondiale dovesse continuare così, sicuramente prenderemo in considerazione vie alternative per suonare, come un live streaming.
Intervista a cura di Claudio “Ytseshadow” Paolone