Non si può certo dire che gli ultimi anni dei Labyrinth siano stati tutti rose e fiori. Benchè perseguitati da problemi di ogni tipo, la band è comunque riuscita a dare alle stampe due eccellenti studio album. E' uscito da pochi giorni il nuovo “Freeman” e ho l'occasione di parlarne con Roberto Tiranti, voce ed anima della band italiana. Ecco cosa ci ha confessato!
Ciao Rob! Parliamo del nuovo disco, “Freeman”. Mi ha piacevolmente sorpreso, e credo che prenda un po' le distanze dai precedenti dischi dei Labyrinth. Sei d'accordo?
Questo disco è figlio di altri anni, rispetto ai dischi precedenti, è figlio di altre situazioni, di altri stati d'animo. Tutto sommato quello che dici è vero, per certi aspetti ha del sorprendente. E' stato un lavoro piuttosto 'umorale', ci siamo trovati in determinate situazioni che ci hanno quasi dettato questi pezzi e questo modo di scriverli.
Questo cambiamento quindi è dovuto più a situazioni vissute come band, o come persone vere e proprie?
Credo sia più che altro ciò che è successo a noi come band. Questo disco è la diretta conseguenza di “Labyrinth” del 2003. Con quel disco cominciammo un discorso particolare, che voleva essere un pochino meno Power come strada, e chiaramente non potevamo dare allora un taglio netto di quel tipo. Allora abbiamo cercato di fare una cosa un po' più morbida. Quest'anno invece abbiamo deciso di dare una svolta, anche se è una conseguenza diretta del disco precedente. In questo disco si realizzano quelle cose che avevamo accennato già su “Labyrinth”, come le contaminazioni Thrash e determinate sonorità particolarmente Progressive, che anche qui sono venute fuori, e sono anche aumentate, per certi aspetti.
Dove e quando avete registrato il nuovo album?
L'abbiamo praticamente registrato a Milano, nello studio del batterista (Mat Stanciou, NdR). Avremmo voluto tornare nello studio del precedente disco, ma non ci è stato possibile. Le attrezzature acquistate nell'ultimo anno da Mat non sono molto diverse dalle attrezzature di quello studio. L'unica cosa che è rimasta uguale è il fonico, perchè abbiamo lavorato con la stessa persona che ci aveva fatto da fonico su “Labyrinth”. E questo è il risultato.
Quindi non c'è stato un cambiamento radicale dal punto di vista della produzione...
Fondamentalmente no. Sono state fatte praticamente le stesse cose, ma chiaramente sono diversi i pezzi. Le nuove canzoni sono più scure, più cupe. Abbiamo cercato di “dare un vestito” al disco in base alle esigenze dei pezzi stessi. Ma dal punto di vista tecnico non è cambiato molto.
Ti va di farmi una breve descrizione track-by-track dei pezzi nuovi? Partiamo dal primo pezzo, “Light Years Away From Here”.
Questo pezzo, che è diventato il primo del disco, è nato in maniera molto particolare. I ragazzi fecero la base, ed io rimasi in studio durante l'ora di pranzo, e mentre loro erano a mangiare io scrissi la melodia. Avvenne tutto molto rapidamente. E' un pezzo che ha una melodia semplice, accattivante, morbida, in modo che possa essere cantata, ma si contrappone ad un suono comunque molto robusto, c'è una certa dicotomia tra le due cose. Secondo me è molto buona come canzone di apertura dell'album.
Poi c'è “Deserter”, che è la conseguenza di “Just Soldier” del disco precedente, e ciò si può notare dai riferimenti nel testo alla vicenda di questo soldato. E del pezzo precedente condivide le stesse contaminazioni Thrash anni '80, invece le strofe sono più morbide ma comunque moderne.
Credo che “Dive in Open Waters” sia il pezzo più cattivo che abbiamo mai scritto, io stesso canto la strofa con una cattiveria che non è solitamente mia, però mi sono divertito molto. Pensa che un mio amico ha sentito il disco e non ha riconosciuto la mia voce su quella canzone!
E' un pezzo molto aggressivo, ma anche molto melodico...
Certamente. Io cerco sempre di stemperare i toni mettendo nell'inciso la melodia, infatti anche quel pezzo è piuttosto orecchiabile. Non per una scelta precisa, ma perchè mi viene naturale, è il mio modo di vedere la musica, e viene sempre fuori.
“Freeman” è un po' l'emblema di quello che sono oggi i Labyrinth, che incarna al 100% i Labyrinth, in tutto e per tutto: nel modo di scrivere, di cantare, di suonare. Stiamo cercando di seguire una strada con meno fronzoli e più contenuto. Anche il testo è discretamente impegnato, parla della possibilità di essere liberi pur restando fuori da determinati schemi, schemi di religione, di politica, senza entrare troppo nello specifico.
Questa libertà, evidenziata anche dal fatto di avere scelto questo pezzo come title-track, va quindi oltre la musica, ma riguarda anche la vita di tutti i giorni?
Sicuramente sì! E' un messaggio che ho voluto dare io, significa che si può essere liberi da ogni clichè musicale, da ogni genere, da ogni situazione. E questo potrà far discutere, ma è molti anni che facciamo discutere, vuoi perchè ormai abbiamo poco del classico gruppo Power... anche se non sputerei mai su quanto abbiamo fatto in passato. Anzi, io una canzone come “Moonlight” non la rinnegherò mai! Diamo sempre a Cesare quel che è di Cesare: noi abbiamo avuto grandi cose da questo genere musicale, da determinati pezzi. Ci sentiremmo ridicoli oggi, nel 2005, a fare pezzi come quelli, perchè erano ottimi dischi, ma collocati in quel periodo storico.
Poi c'è “M3”, ed il titolo nasce dalla mia grande passione per quel modello di macchina della BMW, che ho posseduto per sei mesi, e ho scritto addirittura un pezzo a riguardo. Già altri gruppi hanno scritto, in passato, della sensazione di correre in macchina, della libertà che si prova. Ci ho costruito sopra una canzone piuttosto “easy”, ma io ritengo che all'interno di un disco ci sia sì spazio per il “concetto”, ma anche per il lato divertente e spensierato, che è poi l'anima del Rock'n'Roll. Si sente anche dal pezzo in sè e dall'arrangiamento, è un mid-tempo molto movimentato, molto fresco.
Poi c'è “Face and Pay”, è uno dei momenti seri del disco, è un pezzo ben articolato, che ha all'interno richiami progressive. Quelli che ci conoscono meglio magari inorridiranno di fronte a quello che sto per dire, ma a mio parere questa canzone ricorda certe atmosfere di “Return to Heaven Denied”. C'è una parte centrale molto bluesy, con tastiere tipicamente anni '70, chitarre semi-pulite che fanno delle frasi molto jazz. E' un brano un pochino più sperimentale, ma comunque di un certo impatto.
“Malcolm Gray” nasce invece da una idea del tastierista, Andrea De Paoli. E' la storia di una persona che ha un incidente in macchina – potrebbe essere quello che guidava l'M3 di prima (ride) – non ricorda più nulla dopo l'incidente, si trascina all'interno di un bosco e trova una persona all'interno di una casa che sta suonando il pianoforte. Questa melodia lo fa impazzire e lui diventa un serial killer, e ogni volta che sente quella melodia di piano, suonata in quel modo, lui re-impazzisce. Fino a quando si accorge che potrebbe essere stato tutto un sogno... ma un sogno non è stato. E' una storia un po' particolare, che magari meriterebbe un concept vero e proprio, ma che è stata esaurita tutta in una canzone, con strofe recitate più che cantate. E' un brano che potrebbe essere collocato più in un musical che in un disco Metal.
“Nothing New” è un pezzo che ci riguarda da vicino, parla di quello che ci è successo come gruppo. Nel senso che, pur avendo cambiato direzione, siamo sempre i soliti e non c'è nulla di particolarmente nuovo. Siamo andati avanti, siamo cresciuti... certamente non sarebbe il caso di fossilizzarsi sul passato, ma di andare avanti. Molte cose sono cambiate, ma noi restiamo gli stessi e cerchiamo sempre di fare onestamente il nostro lavoro. E' anche questo un pezzo abbastanza “incazzatello”, strofe morbide, pre-incisi e incisi abbastanza veloci e violenti.
“Infidels”, dal punto di vista del testo, è un altro pezzo abbastanza pesante. Lo scrissi quando accaddero quei tremendi fatti a Beslan, rimasi parecchio scosso. Eravamo a lavorare sul disco, e mi venne da scrivere questo testo sull'ennesima strage compiuta dai terroristi, mi venne proprio di getto. Non è assolutamente un qualcosa di politico contro i musulmani, anzi. I musulmani hanno tutto il mio rispetto, ma devo dire che, se è vero che non tutti i musulmani sono terroristi, è vero che tutti i terroristi sono musulmani. Quella dell'11 Settembre è stata una strage fuori dal mondo, senza precedenti, ma questa, per certi versi, mi ha toccato ancora di più. Quella era una strage compiuta ai danni di un'enorme potenza mondiale, questa invece è stata fatta contro dei bambini... è veramente agghiacciante.
“Meanings” è un altro pezzo che chiude il disco in maniera un po' “drammatizzante”. E' come se fosse un qualsiasi autore di canzoni che sta scrivendo un pezzo, ma gli manca l'ispirazione. E' quindi proprio una questione di “significati”, dell'esigenza di questo autore di scrivere qualcosa di significativo. Ma a un certo punto si rende conto che se una persona non ha niente di importante da dire, è meglio non dire niente. Il concetto è proprio questo: se non hai niente di interessante da dire, fai una figura migliore a stare zitto! Secondo me la grandezza dell'Hard Rock, del Metal, è che ti puoi permettere di dire un po' di tutto, ti permette di avere uno spazio ludico, ma anche di avere momenti molto più seri. Personalmente non amo dischi con concetti seri dall'inizio alla fine, così come non amo dischi con delle stupidaggini dall'inizio alla fine. Ci vuole un giusto equilibrio, per rendere la cosa piacevole per tutti. Anche perchè non tutti magari ascoltano i testi, ma altri invece li ascoltano, e magari preferiscono avere una cosa non eccessivamente pesante, nè troppo leggera.
Su “Freeman” è presente il vostro primo video ufficiale, quello di “L.Y.A.F.H.”. Innanzitutto, perchè avete utilizzato l'acronimo e non il titolo per esteso?
Innanzitutto perchè il titolo per esteso sarebbe stato troppo lungo! (ride) L'idea è venuta a Mattia, anche io la prima volta che ho visto la sigla non ho collegato le due cose. Ci è piaciuta e l'abbiamo conservata, e una cosa che ti incuriosisce fino a quando non scopri cosa significa. Nessun significato nascosto! (ride)
In merito al video, cosa rappresentano le camicie di forza che vi imprigionano, e cosa invece significa il manichino?
Abbiamo voluto usare le camicie di forza sia per il set fotografico, sia per il video, perchè crediamo che rappresentino la nostra condizione. Diciamo tutti di essere estramemente liberi, ma per certi aspetti abbiamo tutti le mani legate, o da determinati tabù, o da ostacoli materiali che ci pone la vita. Idem il manichino: anche lui rappresenta quello che spesso noi siamo. Siamo tutti chiusi dentro determinate caselle, con delle vite fatte in un certo modo, che devono corrispondere a determinati modelli. Anche questo non è semplicissimo da spiegare, ma è riconducibile al discorso “Freeman”. Questo si riflette anche sulla copertina, piuttosto inquietante, ma particolare. C'è il manichino con le mani legate dietro alla schiena dalle manette, ma con le chiavi a portata di mano, come se le guardasse. C'è quindi anche una possibilità di liberarsi da determinate cose, ma chiaramente è molto difficile. E' questo il concetto che abbiamo voluto esprimere.
Questo è il vostro primo disco pubblicato dalla “Arise” nel resto d'Europa. Qual è la ragione di questo cambio di etichetta?
E' presto detto: la Century Media nel 2003 ha letteralmente buttato via il nostro disco. Ha preso “Labyrinth” e l'ha buttato via. Quindi a questo punto è sicuramente meglio essere i primi per un'etichetta piccola come la Arise, che essere i numero 200 della Century Media. E questo lo stiamo già toccando con mano, perchè la Arise sta facendo un battage pubblicitario incredibile. Sta facendo un grandissimo lavoro, si sta già preoccupando per eventuali tour fuori dall'Italia, sta facendo un lavoro promozionale davvero degno di nota. Fra l'altro hanno anche visto il DVD bonus che abbiamo preparato per “Freeman”, e vorrebbero anche pubblicarlo in futuro come uscita vera e propria.
Proprio questo volevo chiederti: avete intenzione di pubblicare un DVD vero e proprio in futuro?
Quello di “Freeman” è già un DVD vero e proprio, è da 9.2 Gigabyte. Contiene il concerto di Tokyo, gran parte del concerto di Londra, con noi che facciamo i cretini durante il viaggio a Londra... contiene fotografie, il video di “L.Y.A.F.H.” e quello del making of di “Freeman”, e un sacco di altre cose. E' un DVD molto completo. C'è questa possibilità di far uscire in futuro il DVD separatamente, per il momento è solo un bonus per il Giappone e per l'Italia. Tra l'altro è più che doveroso, perchè in tanti ci hanno chiesto un live e non l'abbiamo mai fatto.
Hai recentemente cantato sul progetto “Headrush” di Alex De Rosso. Come è iniziata questa collaborazione?
Alex ed io avevamo in mente di fare qualcosa insieme già da diversi anni. Però all'epoca avevo un sacco di impegni, tra New Trolls, Labyrinth e tutto il resto, e non ho mai trovato il tempo per fare un discorso musicale con Alex. La scorsa estate ci sono stati i presupposti per poterlo fare, è un disco Hard Rock molto dokkeniano. E' stata una bella esperienza, anche perchè a me il genere è sempre piaciuto molto: a livello personale, ho sicuramente più influenze nell'Hard Rock che nel Metal! Nel Metal posso nominare Queensryche, Iron Maiden e Judas Priest. Poi tutti gli altri sono gruppi Hard Rock: Deep Purple, Whitesnake, Rainbow, e così via. Poi l'Hard Rock ci ha sempre regalato grandissimi cantanti, come Glenn Hughes o Eric Martin. Mi sento più portato per l'Hard Rock che per il Metal.
Credi che la tua voce renda meglio sull'Hard Rock o sul Metal più classico?
Non te lo saprei dire! Bene o male cerco sempre di fare mie le cose, anche quando il genere non è esattamente dalla mia parte. Coi Labyrinth è semplice perchè ho carta bianca, e faccio più o meno quello che mi pare. Probabilmente molte delle parti che ho cantato con i Labyrinth andrebbero bene anche su pezzi Hard Rock. Comunque non saprei, credo che sia tutto estremamente soggettivo. Dipende da molte cose, soprattutto da chi scrive i pezzi: se il brano è bello, mi ci trovo bene a prescindere!
Sono stati recentemente confermati i nomi delle band che prenderanno parte all'edizione 2005 del Gods of Metal, e anche quest'anno i Labyrinth non ne faranno parte. In generale, è un po' di anni che mancante da un grosso festival estivo. A cosa è dovuta questa “latitanza”?
Ci sono delle novità interessanti... ovviamente non riferite al Gods of Metal, perchè la questione ormai è chiusa. Ma abbiamo in programma delle cose molto interessanti quest'estate per i Labyrinth, ma non te ne posso ancora parlare. Qualcosa si sta muovendo. Comunque tra poco suoneremo qualche data in Italia con Dream Theater ed Angra, ed è già un buon inizio.
E' una bella occasione, vero?
Sicuramente. Pur avendo pubblicato “Labyrinth” nel 2003, siamo fuori dal giro dei festival e delle manifestazioni grandi da, come minimo, quattro o cinque anni. Non suoniamo al Gods dal '99. Abbiamo fatto diversi festival fino al 2001, dopodichè non abbiamo più preso parte ad eventi così grossi, se non in tournè all'estero. Ora, col discorso Dream Theater, si riapre per noi un discorso di “visibilità” molto importante. E non è detto che grazie a questo, quest'estate non si facciano altre cose di questo tipo... ma per ora non posso dirti altro! (ride)
In ogni caso negli ultimi anni avete suonato molto all'estero...
Questa è la nostra fortuna! Tanti dicono “sono morti”, “sono finiti”... saremmo anche finiti, ma abbiamo fatto dei signori giri! (ride) In Asia è stato meraviglioso. Abbiamo avuto un ottimo pubblico ovunque, sia in Cina, sia a Taiwan, sia a Honk Kong, sia a Pechino. Ovviamente le malignità in Italia non sono mancate, “avranno suonato davanti a cinquanta persone”. Vedranno, i lor signori, la gente che c'è sul DVD di Tokyo!
A parte il Giappone, hai nominato tutti paesi in cui di solito non vengono organizzati molti concerti Metal... immagino che però la richiesta sia forte da quelle parti!
Guarda, siamo stati il primo gruppo occidentale a suonare a Pechino dopo non so quanti anni... credo addirittura dopo i casini di Tienanmen! Proprio a causa dei problemi politici che nacquero dopo quell'evento. E' stata una grande soddisfazione, abbiamo suonato davanti a diverse migliaia di persone in un locale al chiuso, molto bello, è stata veramente una grande emozione. L'ultima data l'abbiamo suonata all'Underworld di Camden, a Londra. Io ero un po' terrorizzato dall'idea di andare a suonare a Londra, per il semplice fatto che siamo italiani, e non sempre là siamo apprezzati per questo genere di musica. Invece abbiamo trovato un calore inaspettato, la gente saltava, cantava, avevano un sacco di magliette di “Labyrinth”. Abbiamo trovato un po' ovunque un'ottima risposta, così come ci era accaduto nel 2000 in occasione del tour sudamericano. Una bellissima situazione, una grandissima risposta da parte del pubblico, ci sono persone che abbiamo conosciuto in quel tour con cui siamo ancora in contatto oggi.