A pochi mesi dall’uscita del secondo disco della prog-metal band Pentesilea Road, intitolato Sonnets From The Drowsiness, il chitarrista (e mastermind) Vito F.Mainolfi, ci ha gentilmente concesso la seguente intervista:
(
foto band tratta dal booklet di "Sonnets From The Drowsiness" autorizzata alla pubblicazione dalla band)
Ciao Vito e benvenuto sulle GLORIOSE pagine di metal.it!
Partiamo dagli albori: parlaci un pò di te. Chi è Vito Mainolfi? Se non erro, vivi in Olanda, come sei finito li?
Salve a tutti!
Sono originario della Campania, ma precedentemente ho vissuto in diversi paesi. Da alcuni anni, vivo effettivamente in Olanda, principalmente per una serie di coincidenze professionali e personali. È un paese che offre molto, anche dal punto di vista musicale: c’è una scena viva, aperta e ben organizzata. Mi ci trovo bene, anche se le radici italiane restano forti.
Cosa ci puoi dire invece del “Vito musicista”? Come nasce e come si forma?
Bèh, la musica è sempre stata una costante nella mia vita. Ho iniziato da autodidatta, suonando la chitarra abbastanza tardi in realtà, credo verso i 15 anni. Col tempo poi, ho imparato a suonare decentemente altri strumenti e la cosa mi aiuta molto in fase di composizione. In ogni caso, la mia formazione è più istintiva che accademica.
Non l’avrei mai detto! Del resto, non si può certo dire che ti manchi la tecnica! Quali sono le tue principali influenze come chitarrista?
Grazie mille!
Guarda…ovviamente i nomi sono tanti! Probabilmente, i chitarristi più influenti sono
Marty Friedman,
Jim Matheos, il solito
Petrucci,
Adrian Smith,
David Gilmour,
Satriani…direi una lista lunga e variegata!
Credo che ognuno di loro, a modo suo, ha avuto un’importanza fondamentale sul mio modo di “sentire” la musica e su come suonarla. Ad esempio,
David Gilmour per la sensibilità melodica,
John Petrucci e
Marty Friedman per la tecnica,
Steven Wilson per l’approccio creativo.
E invece, le influenze dal punto di vista musicale? Quali sono le bands con cui sei cresciuto?
Anche qui, la lista è infinita! Ho iniziato con un mix di NWOBHM, Bay Area thrash metal e Power Metal teutonico.
Come tanti della mia generazione sono stato (e sono tuttora) un grande appassionato di
Iron Maiden,
Metallica,
Anthrax,
Helloween,
Queensrÿche…poi ho conosciuto la parte “sinfonica” del metal con i
Savatage, e infine, ho trovato l’approdo naturale nel progressive, e quindi
Fates Warning e
Dream Theater prima e
Porcupine Tree,
Opeth,
Spock’s Beard e
Riverside, in un secondo tempo.
In generale comunque, mi piace ascoltare di tutto…da Battisti e Battiato, alla PFM, dai Pink Floyd a Lucio Dalla.
Negli ultimi anni mi sono interessato molto al post-Rock: Russian Circles, Pelican, ad esempio.
I
Pentesilea Road rappresentano musicalmente buona parte delle influenze musicali della mia vita, la parte progressive è un po’il collante che tiene insieme tutto nella mia costante ricerca di contaminazione musicale.
Ecco appunto; parliamo dei
Pentesilea Road. Nel 2021 ho avuto il piacere di scoprirli, recensendo l'
omonimo disco d’esordio, che mi sorprese parecchio in positivo. Come è nata la band?
È nata come progetto solista nel 2014, quando vivevo nel Regno Unito. Pubblicavo demo su SoundCloud, cercando collaboratori e, dopo vari tentativi, nel 2020 ho deciso di registrare seriamente il primo album, coinvolgendo musicisti da diverse parti del mondo.
Il nome della band deriva da “
Le Città Invisibili” di Italo Calvino ed è il simbolo di un mondo liquido e globalizzato. È un progetto che parla di vari argomenti, ma anche di dissidenza, identità e radici.
Quando ho avuto la possibilita’ di collaborare con
Mark Zonder e
Ray Alder, mi sono messo in contatto con
Ezio di Ieso (con il quale avevo gia’ suonato nei Circle of Believers nel 2007) per le tastiere. Ezio, a sua volta, mi ha fatto conoscere
Alfonso Mocerino (batteria), mentre per il cantante e’ stato piu’complesso e dopo un paio di tentativi infruttuosi, finalmente ho conosciuto
Vincenzo Nocerino che ha cantato gran parte del primo album.
Se il disco di debutto omonimo aveva il compito di “rompere il ghiaccio” e di farvi conoscere, il secondo album Sonnets From The Drowsiness, uscito quest’anno, è indubbiamente un’opera molto ambiziosa.
Parlaci un pò della loro genesi, cosa hanno in comune e in cosa sono diversi i due lavori?
Dunque, partiamo dalle differenze: il primo era più istintivo, anche se e’stato composto in un lasso di tempo molto ampio. Alcuni pezzi sono stai scritti prima del 2008 e qualche linea di chitarra è stata registrata piu’ di 10 anni prima dell’album, ma ho comunque voluto mantenere le registrazioni orginali. Quindi, le mie parti di chitarra sono strate registrate tra Roma, UK e Olanda, in un arco di tempo di un paio di lustri! Per questo motivo, mi piace pensare al primo album omonimo, come ad una sorta di lungo ed irripetibile viaggio, nel tempo e nello spazio.
Il fatto poi che ci siano molte collaborazioni (3 cantanti e 2 batteristi) è un aspetto peculiare che non ho mai considerato un limite, anzi, il progressive e’ anche questo, la ricerca di soluzioni nuove.
Il secondo album invece, e’ stato concepito in maniera differente.
Innanzitutto, e’ stato composto in soli 8-9 mesi ed e’ stato suonato da una band completa vera e propria, con
Michele Guaitoli alla voce e con
Giovanni Montesano al basso. Abbiamo speso molto piu’ tempo sull’arrangiamento che sulla composizione vera e propria. La ricerca delle soluzioni ritmiche e delle orchestrazioni e’ stata molto complessa, ma ha portato ad un album che incarna una una visione condivisa da tutta la band.
In ogni caso, entrambi i dischi hanno una comune anima progressive e sono concepiti come un viaggio nelle emozioni, nel tempo e nello spazio.
Dal punto di vista tematico poi, ambedue condividono la sottile critica socio-politica al mondo globalizzato e alla societa’ del “
Capitalismo della Sorveglianza” (dal libro omonimo di
S.Zuboff). Questo aspetto e’ secondo me fondamentale per capire perche’ i due album, soprattutto il secondo, sono lunghi: il viaggio e la scoperta richiedono i loro tempi, per potersi sviluppare in maniera completa.
Infatti, Sonnets From The Drowsiness è un un lavoro che va decisamente controcorrente rispetto all’andazzo generale del music-business odierno fatto di playlist e di musica a “spizzichi e bocconi”.
Si tratta di un’opera molto lunga e complessa eppure, a mio avviso, costruita molto bene, sia musicalmente, sia come concept e, alla lunga, si rivela un disco incisivo. Come nasce l’idea di un concept basato sulla tematica del Sogno Lucido? Sei forse un sognatore? Insomma, per dirla alla Marzullo: “i sogni aiutano a vivere o si deve vivere per inseguire i propri sogni?” No aspetta, forse non era cosi...
Ahahah...Ti ringrazio per i complimenti!
La lunghezza e la complessità sono volute e rientrano nella visione provocatoria e critica verso la società moderna che sta alla base del progetto. Trovo inaccettabile che la musica sia solo un business; mi piace ancora pensare che sia un’espressione artistica, ma forse il mio punto di vista è influenzato dal fatto che non faccio musica per vivere, ma anzi, direi che è proprio il contrario!
Dunque, restare fuori dalle convenzioni del music-biz, è una scelta, magari opinabile, ma comunque è una scelta ben precisa.
Il sogno lucido è una metafora potente: la capacità di prendere coscienza dentro un mondo onirico. È anche una riflessione sulla realtà, su quanto siamo davvero consapevoli di ciò che viviamo. Si tratta di un’idea suggerita dalla poetica visiva di Fellini; come in “8 e ½ “, in
Sonnets, il salto tra il mondo del reale e la dimensione onirica è costante, eppure la line di demarcazione tra i due mondi è piuttosto sfumata.
Sonnets si sviluppa tra i due mondi e narra una serie di storie, di riflessioni intime e molto personali, criticando ferocemente il mondo dell’iper-connessione e dell’informazione e, se ci pensi si tratta nuovamente di un viaggio, ancora nel tempo e nello spazio. Si parla di storie, di identità. A tratti, è molto personale: basta guardare il video clip di “
The Geometry of Nothing”, ad esempio, una storia romanzata ma, in gran parte, vera.
Nei testi, mi piace adottare uno stile di narrazione denso. Ricorro costantemente all’utilizzo di metafore che generano riflessioni ermetiche, attraverso cui è possibile esprimere concetti complessi, in poche frasi e inoltre, questa tecnica lascia molto spazio all’interpretazione personale.
Mi piace pensare ai
Pentesilea Road come ad un guardaroba pieno di vestiti. Sta all’ascoltatore decidere, in base alla propria sensibilità, cosa scegliere di indossare. Dunque,
Sonnets è un album che va certamente ascoltato, ma anche letto, compreso e, possibilmente, interpretato. A tal proposito, mi è capitato di leggere alcune recensioni di
Sonnets che mi hanno letteralmente sorpreso! L’’interpretazione del significato di alcuni pezzi, magari diversa da quella che avevo in mente io, ha comunque una sua logica. L’obiettivo era esattamente questo: instaurare una sorta di dialogo con l’ascoltatore, il quale, in questo modo si sente parte integrante e attiva della storia. Un concetto, secondo me, molto bello. Mi rendo conto che un disco della durata di 100 minuti sia effettivamente lungo, soprattutto, come dici tu, nell’epoca della “musica usa e getta”, ma la durata e la complessità fanno parte della poetica della band.
Chiarissimo.
E invece, come è nata la collaborazione con un artista affermato (e super-impegnato) del calibro di Michele Guaitoli?
Mi sono messo in contatto con
Michele (che, per inciso, ha successivamente mixato alla grande
Sonnets) per il mix del primo album, anche se all’epoca lo conoscevo solo di nome. Si è subito instaurata una sintonia immediata tra noi.
Le voci del primo album erano già state registrate e ricordo, dopo aver guardato qualche video di una sua performance dal vivo, di essermi reso conto che
Michele sarebbe stato il cantante prefetto per
Pentesilea Road!
Purtroppo, in quel momento, non avevo pezzi per lui ma, pur di averlo come ospite sull’album, scrissi il testo di
Stains, che originariamente era un brano strumentale e sono rimasto molto colpito dalla sua interpretazione, è stata una gran bella sorpresa!
In seguito, gli ho proposto di cantare in pianta stabile sul secondo album e lui ha accettato. Per me è stata la conferma che quel tipo di cantato, tecnico e teatrale allo stesso tempo, incarna alla perfezione la filosofia della band!
Michele è un ottimo cantante e un professionista serio, che mi ha aiutato parecchio anche nella produzione, ma soprattutto è un grandissimo interprete.
A proposito di artisti affermati, cosa ci puoi dire delle collaborazioni con Ray Alder (che compare come guest in due tracce del precedente album) e Mark Zonder?
Ray ha portato una profondità emotiva unica alle tracce in cui ha cantato. Non c’è da girarci troppo intorno, da grande estimatore dei
Fates Warning, per me collaborare con lui è stato un grande onore. Le parti vocali che mi ha consegnato erano praticamente perfette. Lavorare con Ray è stato anche molto piacevole; è un professionista impeccabile e onesto.
Stessa cosa per Mark che, oltre ad essere un batterista leggendario, è una persona disponibile e curiosa. Le sue linee di batteria sono un trademark riconoscibilissimo.
Collaborare con loro è stato un gran piacere e, vi assicuro che con artisti di questo calibro, la cosa non è affatto cosi scontata.
Mark Zonder ovviamente, ci porta direttamente al tuo progetto parallelo The Nudge Unit...che ci dici al riguardo?
The Nudge Unit è un progetto che nasce sempre dalla mia costante curiosità di esplorare territori diversi, più elettronici e atmosferici. Un viaggio (un altro!) sonoro che mescola ambient, prog e suggestioni visive.
Nasce come progetto parallelo e solista. Nell’album suono anche il basso, alcune parti di tastiera e, per la prima volta, ho addirittura cantato su un album!
Tutto questo mi ha permesso di conoscere meglio i miei limiti come musicista. Anche l’uso di una batteria sintetica su 3 pezzi, oltre a quelli suonati da Mark, è una scelta di produzione precisa. Insieme a me e Mark, c’è anche l’olandese
Hans Duynhoven, del conservatorio di Leeuwarden. Un album diverso e sperimentale. Lo trovate sul Bandcamp di The Nudge Unit.
Cambiamo decisamente argomento: come vedi la scena metal (o se preferisci, quella musicale, in generale) attuale? C’è qualche band (senza fare torti a nessuno) che ti piace o che segui particolarmente?
È frammentata, ma viva. Ci sono tante bands valide, anche se spesso faticano a emergere. Mi piace molto quello che fanno i
Riverside, i
Leprous, i
Soen e alcune realtà underground che mantengono una forte identità.
Ovviamente, sono anche un fan delle vecchie glorie! I Maiden, ad esempio, quest’anno sono stati fantastici dal vivo, cosi come Steven Wilson. In studio invece, ho apprezzato molto l’ultimo album degli Helloween!
Qualche band italiana invece (non per forza metal) che ti ha colpito particolarmente negli ultimi anni?
Ho scoperto solo recentemente i dischi bianchi di Battisti. Il
Don Giovanni mi ha letteralmente colpito! Gli arrangiamenti sono di un gusto sopraffino!
Nel progressive, mi piacciono ovviamente i gruppi storici come la PFM, i Goblins, i New Trolls…la tradizione prog italiana degli anni 70 è fantastica!
In ambito heavy invece, devi scusarmi, ma non sono molto aggiornato, colpa mia! Potrei farti i soliti nomi: i
Visions of Atlantis e i
Temperance di
Michele e all’epoca mi piacevano molto anche i
Vision Divine ai tempi di Michele Luppi! (f
orse Vito non è a conoscenza della recente reunion, ndr).
Ad ogni modo, la scena italiana purtroppo, risente dello scarso supporto dei media specializzati, che tendono a fossilizzarsi sui soliti noti.
Ad esempio, in Olanda o in UK, la scena underground è esplorata approfonditamente dalle riviste specializzate e lo dico anche sulla base della mia esperienza personale!
Pentesilea Road è stata recensito moltissime volte, soprattutto in Olanda; paradossalmente invece, ad eccezione di voi di metal.it, e nonostante le eccellenti collaborazioni, siamo stati completamente ignorati da riviste e portali specializzati del “Belpaese”!
Per una band indipendente come la nostra, la copertura mediatica è fondamentale ed eticamente imperativa, almeno per le riviste specializzate. Immagino comunque ci siano tantissime band italiane valide che, come noi, sono nella stessa situazione.
(
illustrazione tratta dal booklet ad opera di Giuseppe Famiglietti - pubblicazione autorizzata dalla band)
Siamo giunti quasi alla fine, porta pazienza ancora un pò e poi l’interrogatorio è finito, ma questa è una domanda che faccio sempre e non posso non porla anche a te: cosa ne pensi dei servizi musicali di streaming e dell’Intelligenza Artificiale? Queste tecnologie, secondo te, possono essere più utili o dannose in campo musicale?
Argomento complesso, che richiederebbe una risposta altrettanto complessa!
Direi che dipende dal punto di vista e, come da sempre con la tecnologia, dall’utilizzo che se ne fa!
In generale, sotto il profilo etico, di sicuro può aiutare molto, soprattutto nell’esecuzione delle mansioni ripetitive, ma va capito quale sarà l’impatto sulle nuove generazioni, per le quali la mansione ripetitiva è una componente essenziale del processo di progressivo apprendimento e, soprattutto, quale sarà l’impatto del deep learning, quando la computazione quantica sarà disponibile per utilizzo di massa, in un futuro magari non troppo lontano.
L’ambito musicale non fa eccezione.
Ritengo che nel medio termine l’IA generativa sostituirà in buona parte, o quasi, l’essere umano in alcune fasi: missaggio, produzione musicale, produzione di colonne sonore, ad esempio. Non c’è nemmeno bisogno guardare troppo lontano; il mondo della musica è già pieno di copertine generate sinteticamente e di videoclip (anche molti dei Lyric video di PR). Insomma, staremo a vedere…
Quali sono i tuoi progetti futuri? Avete magari in programma un tour promozionale con i Pentesilea Road?
Ho completato da poco la prima versione di PR3!
Il processo di arrangiamento e di produzione sarà lungo, ma credo che un giorno lo ascolterete. Nel frattempo, sto lavorando a un altro progetto con
Hans Duynhoven (lo stesso di
The Nudge Unit).
Per quanto riguarda il tour:
Pentesilea Road nasce come band in studio e resta tale, per ora. Confesso però, che mi piacerebbe molto portare la band su un palco, un giorno. Vedremo…
Per concludere, prima di congendarti augurandoti un enorme in bocca al lupo, ti concedo l’onore di interagire con il GLORIOSO pubblico di metal.it; vuoi lasciare qualche messaggio particolare o semplicemente un saluto?
Beh guarda, Metal.it è una testata che seguo da anni e che mi ha dato tantissime informazioni sul variegato territorio metallico, dunque per me è doveroso un caloroso saluto a tutti quelli che, come me, seguono il glorioso portale metallico.
Permettetemi di ricordare che
Sonnets from the Drowsiness è disponibile in doppio digipak, con la bonus track
The Geometry of Nothing nella versione di
Zak Stevens, esclusivamente su
Dutch Music Works (
https://store.dutchmusicworks.com/) o in digitale su tutte le piattaforme di streaming: se vi va, ascoltatelo e fateci sapere che ne pensate!
E mi raccomando: seguite i nostri canali social e/o
www.pentesilearoad.com!
Un’ultima cosa prima di chiudere, ci tengo enormemente a ringraziare tutta la redazione di metal.it ed in particolare Ettore, per averci concesso (per ben due volte!) lo spazio nella lista delle recensioni e addirittura l’onore dell’intervista!
Grazie e un carissimo saluto a tutti!
(artwork ad opera di Tracy Lundgren - pubblicazione autorizzata dalla band)