Se qualche settimana fa qualcuno mi avesse detto che avrei avuto la possibilità di conoscere Daniel Gildenlow di persona, e che l'avrei fatto ad una decina di chilometri da casa mia, avrei semplicemente risposto ridendo, perché la probabilità di un evento di questo tipo mi sembravano davvero prossime allo zero. Capirete allora lo mio stupore quando ho saputo che Daniel avrebbe accompagnato i Flower Kings nell'unica data del tour europeo della band svedese, e che avrei avuto la possibilità di parlare con lui del disco più bello degli ultimi anni - “BE”. Come una ciliegina sulla torta, ho avuto la possibilità di fare l'intervista con un amico che conosco bene, Enzo di HMP, e questo ha permesso ad entrambi di avere una quantità di tempo decisamente maggiore rispetto a quanto previsto. Risultato: una delle interviste più interessanti degli ultimi anni! Ecco cosa ci ha detto Daniel, che in questa chiacchierata ha dimostrato una volta di più di essere una delle menti più incredibili della scena musicale odierna...
Come stai Daniel? Tutto bene?
Si, ti ringrazio! Come al solito, quando sei in tour non vedi molto della città in cui suoni. Vedi soltanto il tour bus e il locale. Vorrei avere un po' di tempo per dare un'occhiata in giro ogni tanto...
Il concept che sta alle spalle di “BE” è molto interessante e piuttosto complesso. Quando ti sei reso conto che sarebbe stato l'argomento del nuovo album?
Le prime idee sul concept dell'album mi sono venute nel 1996, ma all'epoca non sapevo esattamente cosa sarebbe successo, era soltanto una storia in un angolo della mia testa, che si è formata dopo aver letto diverse teorie e diverse idee che hanno interagito tra di loro. Quindi credo che fosse più o meno il Marzo dello scorso anno, quando abbiamo iniziato a discutere tra di noi in merito alla collaborazione con questo istituto musicale. Loro avevano a disposizione questa orchestra, e volevano iniziare una collaborazione con noi, perché avevano sentito i nostri lavori e li avevano apprezzati.
Quindi sono stati loro a cercare voi, e non viceversa?
Si, è stato così! All'inizio si parlava tra di noi di realizzare la seconda parte di “The Perfect Element”, ma non sarebbe stata una buona idea, perché l'intenzione era di proporre questo show dal vivo, di fronte ad un pubblico, e presentare la seconda parte di qualcosa sarebbe quantomeno strano, di certo troppo strano. E' capitato circa due mesi prima che io iniziassi effettivamente a mettere insieme le varie parti del concept di “BE”, con l'obiettivo di farne un album, e così abbiamo fatto “BE” invece di “The Perfect Element Part II”.
Riguardo al concept di “BE”. Credo che il disco sia fortemente legato alla realtà dei nostri giorni. Credo che possa essere visto principalmente come una critica a quello che l'umanità è diventata in quest'epoca. Sei d'accordo?
Credo che questo sia vero per tutti gli album dei Pain of Salvation, trattiamo ogni volta questi aspetti politico/sociali, riguardo a tutto quello che l'umanità si sta facendo. E questo tema ricorrente fa parte anche di questo album, certo.
Nella mia recensione ho scritto che vedo “BE” come la tua versione personale di “Jesus Christ Superstar”, perché entrambi i lavori trattano della natura dell'uomo. Sei d'accordo con questa affermazione, e credi che quest'opera possa averti ispirato?
Credo di essere stato influenzato da JSS sin da quando ho visto il film da bambino, è sempre stata una grande fonte d'ispirazione. Penso che la differenza principale con “BE” sia che JSS tratta di una determinata serie di eventi, una storia che già è stata scritta, anche se lascia spazio a diverse interpretazioni, mentre “BE” è più un tentativo di combinare le diverse teorie che possiamo trovare oggigiorno, su tutti quei “territori” tipicamente umani: c'è la religione, c'è la scienza, c'è l'aspetto socio-politico, c'è la filosofia, c'è la psicologia. E ognuno di questi campi ha la sua opinione sulla nostra esistenza, e nonostante siano quasi tutti in contraddizione gli uni con gli altri, “BE” è un tentativo di trovare una soluzione, di permettere a tutte queste teorie di parlare nello stesso linguaggio. Quindi è più basato su teorie ed ipotesi, rispetto a JSS, e per questo motivo credo che non siano simili nell'approccio, in quello che si vuole comunicare, ma certamente posso vedere le somiglianze tra di loro, perché la religione è uno degli aspetti considerati, e perché come in JSS in “BE” la musica prende molte forme.
“BE” è certamente un disco coraggioso, per il tentativo di combinare in un contesto rock stili e influenze molto diverse tra di loro. Da cosa sei stato ispirato, sotto questo punto di vista?
Non ne ho davvero idea! In un certo senso è un po' tardi per capire quali influenze ci possano essere state, perché generalmente sei sempre influenzato da tutto quello che senti, anche solo per caso, e alla fine hai soltanto una tua idea di come dovrebbe essere la musica. Cerco semplicemente di creare il mio disco preferito ogni volta, di registrare il disco che io avrei voluto poter comprare. E nessuno lo ha scritto, così ho dovuto farlo io. Quindi credo che le influenze siano piccole frazioni provenienti da qualsiasi luogo in cui sono stato nella mia vita, sarebbe troppo difficile individuarle adesso.
Torniamo al concept. E' corretto dire che in “BE” presenti una specie di dio “vulnerabile”, che non è in grado di controllare le sue creazioni e che probabilmente non riesce a capire sé stesso mentre guarda quello che ha creato?
Una delle basi del concept è che ogni creazione nasce dal desiderio di capire sé stessi. Un'altra ipotesi è che non saresti in grado di ricordare le tue creazioni. Che nessuno sia in grado di rendersi conto del momento in cui inizia la sua esistenza, e di quello in cui la sua esistenza termina. In questo senso, ho fatto l'assunzione che se c'è qualche sorta di “forza creativa” che noi possiamo chiamare “dio” (anche se si tratta di un concetto che non può essere applicato alla nostra esperienza, perché va oltre la nostra comprensione), questa forza ha creato un'immagine di sé stessa nel tentativo di capire la sua natura. Anche noi siamo costantemente impegnati nella costruzione di immagini di noi, e neanche queste immagini sarebbero in grado di rendersi conto del momento in cui iniziano la loro esistenza.
In “BE” dici che “cercare di capire la propria natura è come cercare una casa in cui già ti trovi”. Credi davvero che l'uomo non sia in grado di comprendere la sua natura, di dare le risposte alle classiche domande legate alla ragione della nostra esistenza?
Cercherò di spiegarvelo con una metafora. Credo fermamente nei frattali, che sono un'espressione prettamente matematica per indicare schemi che si ripetono su più livelli. Sono dell'idea che tu puoi renderti conto soltanto di un certo numero di questi frattali: se ti trovi su un certo livello di questi frattali, sei in grado di distinguere soltanto alcuni livelli sopra ed alcuni livelli sotto, e dopo un po' non puoi andare oltre perché sono troppo diversi, anche se sono soltanto una ripetizione più grande dello stesso schema. E credo che se esiste qualcosa, oltre al mondo di cui abbiamo esperienza, si tratta di un frattale che va oltre la nostra consapevolezza, che non può essere capito: deve essere portato al livello del nostro frattale, trasformato in qualcosa che siamo in grado di comprendere, ma facendo questo distruggiamo il messaggio dello schema. Prendiamo due campi del mondo umano che fanno parte del nostro frattale, per esempio quello religioso e quello scientifico; arrivano a conclusioni molto diverse tra di loro, ma è possibile che siano semplicemente due visioni distorte dello stesso frattale più in alto, che è impossibile assimilare al contesto umano. E questi due campi sono in opposizione, pensano di portare due messaggi diversi, specialmente quando si tratta di religioni diverse... si uccidono tra di loro, ma lo fanno sullo stesso messaggio! Perché non riescono a capire il messaggio, è impossibile farlo. Ti faccio questo esempio per farti capire quanto possano essere diversi tra di loro questi frattali. E' dai tempi della Rivoluzione Industriale che gli uomini si paragonano alle macchine, ma invece credo che sia l'esatto opposto. Sono le cose che creiamo ad essere delle immagini di noi, e quando le creiamo ci stupiamo “Aspetta un attimo, ma lavora nello stesso modo in cui facciamo noi, no?”, e questo ci dice molte cose. Forse quando abbiamo creato i computer e il modo in cui funzionano, li abbiamo fatti inconsciamente a nostra somiglianza, creando un'immagine di noi stessi, e tutto d'un tratto scopriamo un sacco di cose sulla psicologia umana, si può iniziare a paragonare l'umanità a questo modello del computer. Per rendere le cose più chiare, userò il modello del computer: ipotizziamo che il nostro mondo, tutto quello che conosciamo, cioè il nostro frattale, sia semplicemente l'hard disk del PC. E in questo hard drive c'è prima lo strato fisico, e al di sopra di esso ci sono le informazioni memorizzate su questo hard disk. Possiamo immaginare che quello che noi chiamiamo “vita”, altro non sia che uno stato binario. Ogni bit di informazione può rappresentare un individuo. E questo piccolo pezzo di informazione può essere un '1' o uno '0'. E in questo stato binario, '1' è la vita e '0' è la non-vita. Nell'immaginario umano la morte arriva dopo la vita, non prima, giusto? Ma in questa rappresentazione binaria tu hai la vita e hai qualcos'altro, uno stato che può essere sia prima della vita, sia dopo la vita. E' sempre lo stesso stato, ma cos'è? Non lo sappiamo! A questo punto ipotizziamo di avere tre di questi bit d'informazione, tutti nello stato di 1, cioè quello che finora abbiamo indicato come vita. Il primo di questi tre è il bit di uno scienziato, il secondo di un religioso, ed il terzo invece passa dallo stato '1' allo stato '0'. Così i primi due si mettono a discutere su cosa può essere successo. Il bit di informazione scientifico direbbe “Ok, questo bit di informazione è andato perduto”. Ipotizziamo che questo individuo sia molto più dotato di noi, che sia in grado di cercare in tutto l'universo e stabilire con assoluta certezza che questo bit di informazione non c'è più, che è andato perso. E questa opinione scientifica è corretta. Poi c'è l'individuo religioso, che invece sostiene che il bit d'informazione non sia andato perso, ma che si trovi ora su un nuovo livello, che sia in un'altra dimensione, o cose di questo tipo. Il concetto di base è che qualsiasi cosa sia effettivamente questo stato di “non vita”, sarà filtrato e interpretato dagli individui di questo hard drive, perché è tutto quello che conoscono! Qualsiasi conclusione a cui loro potranno mai arrivare con la loro immaginazione, sarà influenzata dalla loro vita in questo hard disk. E non potranno mai andare nei livelli superiori, perché ogni tipo di altro mondo che mai potranno provare ad immaginare assomiglierà in qualche modo alla vita nell'hard disk, perché è l'unica che conoscono. E sotto un certo punto di vista sarà giusto.
Mettiamo che io stia di fronte allo schermo del computer, e scriva la parola “YES” pigiando i corrispondenti tasti della tastiera. Nel farlo, creerò e distruggerò un certo numero di individui nell'hard drive, perché cambio diversi stati da '0' a '1' ed altri da '1' a '0'. Ma non è mia intenzione, io sto solo scrivendo la parola “YES”. Quindi c'è uno scopo superiore nelle vite e nelle morti di questi individui, un disegno più grande che non saranno mai in grado di comprendere. E credo che l'idea della vita e della morte, sia semplicemente di un tizio seduto ad un grosso computer che ha scritto “YES” sulla tastiera (ride), non fa parte dello stesso frattale dell'hard disk. E quando creo questa parola, è a questo punto che la magia accade. Ipotizziamo che non sia più possibile recuperare questa informazione dal computer, che sia persa per sempre. E, una volta fatto questo, l'informazione diventa del tutto incomprensibile per gli abitanti dell'hard drive, passa attraverso l'aria, e viene registrata nel mio cervello, ne farà parte per tutto il tempo che vivrò, se voglio ricordarla. Questo è soltanto un metodo per trasferire le informazioni, cambiare degli '1' e degli '0' che sono così distanti dal mio frattale. E così questo mondo praticamente lavora come un hard drive, e sotto molti punti di vista è solo un frattale troppo distante dalla loro comprensione, e se loro si stanno chiedendo se c'è un dio, che li fa vivere e morire... credo che la domanda non sia applicabile, che non abbia risposta, è una domanda troppo strana! Ho usato l'esempio della persona seduta davanti al computer, ma non è per forza la risposta giusta, è soltanto un esempio in cui ho cercato di farvi capire meglio cosa intendo, quanto sia impossibile per noi comprendere ciò che esiste nei frattali più distanti dal nostro livello.
Daniel, in che modo componi la tua musica? Usi un computer?
Non scrivo mai musica al computer. Lo uso più che altro per salvare i dati. La maggior parte della musica che compongo è già finita quando si trova nella mia mente, ancora prima che la metta per iscritto e che la mostri agli altri ragazzi della band. Quindi è quasi tutta nella mia mente, ogni singolo strumento. E solitamente il 99% della musica che mi viene in mente viene scartata, perché non è abbastanza originale o interessante per il mio gusto. Quindi si può dire che uso una parte davvero minima della musica che mi viene in mente. E' una cosa positiva, ma ogni tanto mi piacerebbe poterla spegnere per un po'! (ride)
Una delle cose che più mi ha colpito è l'uso del latino nei titoli delle canzoni. Perché questa scelta?
Sarò un po' lungo anche in questa risposta! (ride) Il discorso è questo: durante la creazione di questo concept, mi hanno colpito in particolare i miti e le leggende presenti in ogni cultura umana, del tutto diversi tra di loro, legati alla creazione dell'umanità. Quando li ho raccolti e li ho confrontati tra di loro, mi sono reso conto che, sebbene potessero sembrare storie completamente differenti, se vengono privati dall'aspetto linguistico, della loro semantica, e se si cerca di osservare un frattale più alto, uno schema più profondo che li leghi, ti rendi conto che raccontano tutti la stessa storia. Ma ancora una volta è una storia impossibile da raccontare, perché non appena cerchi di usare delle parole per narrarla, la “inquini”, diventerebbe una storia personale, e non la vera storia. E questo è stato anche il punto in cui ho iniziato a lavorare sull'idea dei frattali. Ho applicato questo metodo alla maggior parte delle teorie e delle ipotesi in cui mi sono imbattuto, cercando di privarle del loro carattere semantico, del contesto umano, tentando di vedere il frattale più alto, lo schema più grande che sta alle loro spalle. Il problema di mettere insieme tutte le teorie in questo grande concept, è che ad un certo punto vedi qualcosa di bellissimo e molto più grande, ma che in qualche modo è impossibile da comprendere. Puoi vederlo solo in quello specifico stato, e se provi a descriverlo sorgono dei problemi. Quando sono sveglio, nella mia mente riesco a sentire una particolare nota, posso davvero alzarne e abbassarne la tonalità a mio piacimento, anche se rimane sempre la stessa nota. E questo è un esempio di una cosa che non sono capace di spiegare bene con le parole. E' stato il problema principale che ho incontrato: togliere le parole a tutte queste storie e teorie, e poi doverle riutilizzare per creare un concept! E' stata una cosa molto frustrante. E per questo ho utilizzato il latino, in primo luogo perché mi piace il suo suono. La seconda ragione è che il latino ti permette una gamma di interpretazioni decisamente più vasta, quindi è meno “macchiato” dal contesto umano, probabilmente perché è una lingua molto antica. Per esempio l'ANIMA di ANIMA PARTUS può essere “dio” o “spirito”, può essere “vento” o “soffio”, ti offre numerose interpretazioni. Ed in particolare per questo concept, il cui obiettivo principale è proprio quello di cercare di guardare oltre il contesto umano, la lingua latina è davvero adatta a questo scopo, perché ha un campo di interpretazione molto più ampio. Ed il terzo motivo è che ti da' un grado più alto di libertà poetica. Perché, anche se è ancora tenuta in vita e studiata, è a tutti gli effetti una lingua morta, che non viene più parlata comunemente. E' come imparare delle imprecazioni in qualche lingua: anche se sai cosa significano, non hai lo stesso legame emotivo... puoi dire praticamente tutto quello che vuoi in un'altra lingua, perché non ti crea alcuna emozione. E non c'è più nessuno che cresce studiando il latino come madre lingua, quindi con questa lingua si viene a creare un legame intellettuale, più che emotivo. E ciò significa che puoi anche permetterti degli errori linguistici, puoi realmente deformare il linguaggio e non risulta fastidioso per la gente come sarebbe commetterli nella lingua inglese, perché l'inglese ti è sempre accanto nella nostra società. E quindi se anche questi errori fossero intenzionali, darebbero comunque fastidio. Per esempio in “Nihil Morari”, “nihil” significa “niente, quello che resta quando porti via tutto”, e poi c'è “Morari”, il cui senso è quasi di “cadavere, quello che resta”. Entrambe le parole hanno un legame forte con la canzone, ma se le metti insieme e le traduci in inglese, hai “nothing remains”, il plurale di “remain” e quando lo leggi ti resta impresso il verbo “rimanere”... invece nel latino puoi giocare con le parole in maniera più ampia. Probabilmente ci saranno un paio di professori di latino che rimarranno perplessi vedendo i titoli delle canzoni! (ride) E devo rispondere loro scusandomi, dicendo loro che gli errori erano intenzionali.
Hai appena detto che quando parli in un'altra lingua, non hai la stessa emozione della tua lingua madre. Cosa provi allora, quando canti in inglese pur essendo svedese?
E' molto naturale! Sarebbe più strano cantare in svedese, anche perché più della metà dei nostri gruppi canta in inglese. In Svezia non doppiamo neanche i film, l'inglese ha un utilizzo molto più ampio rispetto alla maggior parte delle nazioni. Quindi è molto naturale, e mi piace molto di più il suono dell'inglese di quello dello svedese. Non ti saprei spiegare il perché, forse perché lo svedese è troppo “rigido”.
Daniel, cosa ci possiamo aspettare dal futuro dei Pain of Salvation? E' arrivato il momento della seconda parte di “The Perfect Element”?
A dirti la verità avevamo pensato di scioglierci... (ride) No, a dirti la verità non credo che sarebbe una buona idea pubblicarlo come prossimo album, perché anche quello sarà basato su un'orchestra. E se pubblicassimo due dischi orchestrali di seguito, la gente potrebbe dire “Ok, ora sappiamo cosa sono i Pain of Salvation: una band orchestrale!”. (ride) Quindi credo che dovremmo fare un altro tipo di album in mezzo, vedremo cosa succederà! Di solito riusciamo a stupire noi stessi più o meno quanto stupiamo il pubblico.
Pochi mesi fa avete pubblicato uno splendido live album. Ci sarebbero molte cose che vorrei chiederti su “12:5”, ma visto che il tempo a nostra disposizione sta finendo, ti faccio la più immediata. Perché non c'è neanche un pezzo di “One Hour By the Concrete Lake”? E' una scelta legata al concept del disco?
E' davvero un'ottima domanda! Ad essere sincero non me n'ero accorto da solo, anzi è stato un fan a pormi questa domanda la prima volta. E la mia risposta è stata “Ma no dai, ce n'è certamente qualcuna... no aspetta... hai ragione, non ce n'è nessuna!”. Non ci ho mai pensato. “12:5” si è trasformato in un concept “relazionale”, e credo che “One Hour...” sia quello che dal punto di vista concettuale contiene questi aspetti in quantità inferiore. Probabilmente è stata una cosa inconscia, capitata mentre sceglievo le canzoni. Ad essere onesto non mi sono preoccupato molto di quale canzoni scegliere, mi sono basato sulla mia memoria... e quando il fan me l'ha chiesto, ero davvero sorpreso.
Il booklet di “BE” è davvero magnifico, pieno di foto e riferimenti al concept. E' il vostro modo di combattere la pirateria musicale?
Credo di si, ci abbiamo speso molto lavoro. Immagino che gli atomi siano più difficili da copiare, rispetto ai bit di informazione! (ride)
Ti trovi qui per un concerto dei Flower Kings. Com'è nata questa collaborazione con la band di Roine Stolt? Quali sensazioni provi quando suoni con loro, rispetto a quando suoni coi Pain of Salvation?
E' nato tutto quando sono stato coinvolto nel progetto Transatlantic, con Roine, Portnoy e Neal Morse. Volevano qualcuno che fosse in grado di suonare un po' di strumenti diversi...
Allora hanno scelto la persona giusta!
Penso di si! Anche perché Roine è stato così felice delle mie performance da chiedermi di suonare anche coi Flower Kings dal vivo. Poi ci sono state le registrazioni e diversi concerti dal vivo. E' così che è nato tutto. La cosa che mi piace di più di tutto questo è il modo in cui le nostre tre voci si intonano, è davvero un piacere cantare queste armonie vocali. E' molto diverso dai Pain of Salvation, non solo dal punto di vista musicale, ma anche da quello strutturale. Per me è anche molto interessante, perché nei Pain of Salvation sono il fulcro creativo, mentre nei Flower Kings ho un ruolo decisamente meno importante, e lo apprezzo perché mi offre una nuova prospettiva sulle cose. E' molto bello ogni tanto non avere tutte queste responsabilità, è quasi una specie di vacanza, perché puoi divertirti limitandoti a suonare.