Tornano i Ministry, veri pionieri del metal industriale, che molti ricorderanno per il clamoroso successo che l’album “Psalm 69” ebbe esattamente dieci anni fa. Negli anni successivi la carriera di Al Jourgensen (voce, chitarra e factotum della band) e Paul Barker (basso e braccio destro di Al) ha subiti alti e soprattutto bassi, ma pare che da qualche tempo i problemi siano stati superati e la prova è il nuovo, travolgente album dall’impronunciabile titolo di “Animositisomina”: un concentrato di rabbia e potenza, di suoni dannatamente moderni ma anche di strutture molto semplici, schiette e dirette, tanto che questo disco può essere considerato come il più “metal” di tutta la produzione dei Ministry. A quasi vent’ anni dall’esordio, sono gli stessi Jourgensen e Barker a farci il punto della situazione di uno dei gruppi più influenti e coriacei nella storia della vera musica alternativa.
Ad un primo ascolto, il vostro nuovo album suona più diretto e meno elettronico rispetto ai lavori precedenti. Che ne pensate?
Al Jourgensen: “E’ vero, si tratta di un disco più diretto ed è esattamente ciò che volevamo ottenere: avevamo infatti deciso di realizzare canzoni più corte, più veloci e comunque che durassero un po’ meno del solito. Per certi versi questo può essere visto come un disco di punk-rock, proprio per il suo approccio scarno ed essenziale. Non mancano comunque un paio di pezzi molto lunghi e particolari, di quel genere che si sposa bene con certi allucinogeni…”
Paul Barker: “L’ultimo brano, ‘Leper’, è uno strumentale di nove minuti caratterizzato da un riff ripetuto all’infinito e rappresenta per noi un’evasione, una boccata d’aria dopo tre quarti d’ora di musica d’impatto. Abbiamo pensato che avrebbe potuto essere una conclusione adatta ad un album come questo.”
Recentemente avete partecipato alla colonna sonora di due film di fantascienza, “Matrix” e “A.I.”, dimostrando che la vostra musica è quanto mai adatta a quel genere di cinema: pensate di ripetere l’esperienza in futuro?
PB: “Bisogna dire innanzitutto che per quanto riguarda ‘Matrix’ non abbiamo partecipato direttamente alla realizzazione della colonna sonora, in quanto i produttori non hanno fatto altro che chiederci di inserire una nostra canzone nel film e pertanto abbiamo avuto un ruolo piuttosto marginale.”
AJ: “Per ‘A.I.’, invece, le cose sono andate diversamente: il nostro brano è stato scritto appositamente per quella particolare scena, che avevamo avuto modo di vedere e di analizzare in anteprima. Abbiamo potuto farci un’idea precisa della scena che avremmo dovuto interpretare e quindi comporre il brano di conseguenza. Sono molto d’accordo sul fatto che la nostra musica è adatta ad un certo tipo di film, ritengo che essa sia come una sorta di viaggio, un’esperienza diversa dal solito e per questo simile ad un film. In quanto a ripetere l’esperienza… se conosci qualche produttore cinematografico, saremmo ben lieti di essere contattati!”
Qual è secondo voi il modo migliore di ascoltare la musica dei Ministry?
AJ: “Con un paio di cuffie!!! [ride, Nda] Magari con qualche luce un po’ psichedelica…”
PB: “Potremmo anche dire, che so, in fondo ad un pozzo! Ma forse intendevi fare una distinzione fra il cd e i nostri concerti, vero? In questo senso, credo che una nostra caratteristica sia quella di rendere il più possibile ‘viva’ la nostra musica: quando siamo in studio per registrare un album, impieghiamo parecchio tempo per definire un certo tipo di sound e per ottenere la giusta energia, ma quando saliamo sul palco per suonare dal vivo, siamo sempre intenzionati non solo a ricreare il suono che abbiamo sviluppato sul cd, ma anche di superarlo, di renderlo ancora più incisivo. Dal vivo vogliamo aggiungere quella componente umana che magari sul disco viene un po’ a mancare.”
AJ: “Infatti quando suoniamo dal vivo non utilizziamo assolutamente nessuna parte registrata, riproduciamo tutto quello che possiamo con degli strumenti e dei musicisti reali, anche se questo può comportare delle difficoltà. Per esempio, nel tour che stiamo preparando ci saranno otto persone sul palco, in modo da riproporre le nuove canzoni nella maniera migliore: avremo tre chitarristi, un bassista, due batteristi e due tastieristi, tutto per essere sicuri di ricreare efficacemente l’impatto che riusciamo ad avere su disco. Qualcuno si potrebbe chiedere perché abbiamo deciso di avere ben due batteristi ad accompagnarci: la risposta è semplice, con due batterie siamo in grado di ottenere una potenza eccezionale e decisamente adatta alle nostre canzoni. Ci piace l’eccesso!”
Una dozzina di anni fa vi presentavate in concerto protetti da una grande gabbia metallica che vi divideva dal pubblico. Da tempo ormai avete abbandonato questa scelta ma i vostri concerti sono sempre molto particolari: cosa ci dobbiamo aspettare dal prossimo tour?
AJ: “Sicuramente un tipo di show diverso dal passato, questo senza dubbio. In quanto alla gabbia, all’epoca la usavamo perché ero ancora un po’ inesperto e non riuscivo sempre ad evitare tutte le bottiglie che ci tiravano addosso! Oggi invece riesco a muovermi molto più agilmente e quindi non ho più bisogno della gabbia protettiva! [Ride, Nda] Scherzi a parte, la gabbia serviva soprattutto come effetto scenico, ma non ti nascondo che uno dei motivi che ci avevano spinti ad utilizzarla era proprio il rischio di essere bersagliati di oggetti sul palco.”
Dopo vent’anni dal vostro esordio e dieci dal vostro disco di maggior successo, quanto siete cambiati voi e quanto ritenete sia cambiato il vostro pubblico?
PB: “Non credo che ci siano stati poi tanti cambiamenti, in fondo. Certamente io ed Al siamo cambiati, così come il nostro look, ma la nostra attitudine è sempre quella di volerci mettere in discussione di volta in volta, non vogliamo ripetere due volte lo stesso album e penso che nemmeno i nostri fans lo vorrebbero. Siamo consapevoli che alcuni vorrebbero un secondo ‘Psalm 69’ ma non è nelle nostre intenzioni limitarci a ripetere ciò che abbiamo già fatto dieci anni fa. Penso che il motivo per cui la nostra carriera è durata e sta durando così a lungo sia proprio la nostra volontà di fare del nostro meglio per proporre musica sempre più interessante.”
AJ: “Prendiamo l’esempio di un gruppo leggendario come i Rolling Stones: ci sono differenze enormi fra un album come ‘December’s Children’ e ‘Some Girls’ [rispettivamente usciti nel 1965 e nel 1978, Nda]. Gli Stones hanno dimostrato di essere capaci di crescere artisticamente durante la loro lunga carriera e questa è secondo me la ragione per cui sono ancora oggi in attività.”
Cosa pensate della scena musicale attuale?
AJ: “Sinceramente ci siamo stufati di sentire sempre le stesse cose, ci sarebbe davvero bisogno di qualche gruppo veramente innovativo, qualcuno insomma che si possa ascoltare con vero interesse. Purtroppo, anche se siamo consapevoli dell’esistenza di molti artisti validi, abbiamo la possibilità di conoscerne pochi perché tutto quello che si sente in giro è manipolato dal business e dai soldi. Ad ogni modo siamo ottimisti perché oggi abbiamo a disposizione uno strumento straordinario come internet, che offre molte più possibilità per farsi conoscere. Speriamo che la gente prima o poi si renda conto delle enormi potenzialità di questo mezzo di comunicazione, che a nostro avviso potrebbe rivelarsi un po’ come il fulcro di una nuova scena punk, inteso non come semplice genere musicale ma come movimento culturale di più ampio respiro: venticinque anni fa, per esempio, non c’era bisogno di saper suonare per forza, se se ne aveva voglia, si prendevano gli strumenti e lo si faceva, la tecnica sarebbe venuta dopo. Similmente, oggi internet mette a disposizione della gente una libertà senza precedenti per interagire e scambiarsi le proprie idee, penso che grazie a questo si possa giungere in tempi brevi ad una nuova rivoluzione, non solo in campo musicale.”
Al, dalle tue dichiarazioni si evince che questo disco è frutto di rabbia e frustrazione: cosa intendi esattamente?
AJ: ”Vedi, negli anni passati ho avuto una vita molto sregolata, abusavo parecchio delle droghe senza rendermi conto che mi stavano rovinando. Un giorno, alla fine, ho preso coscienza di tutto ciò ed è stato come svegliarsi da un lungo sonno: mi sono reso finalmente conto di essere perfettamente in grado di continuare a fare la mia musica senza dover dipendere da quelle schifezze. Questa consapevolezza di mi ha messo addosso una grande voglia di recuperare il tempo perso, e una grande rabbia da sfogare; ecco perché ho affermato certe cose, adesso abbiamo la rabbia giusta per portare avanti tutti i nostri progetti e posso dire che al momento ne abbiamo davvero molti da realizzare, cosa che fino un paio di anni fa non saremmo riusciti a fare.”
Parlavamo prima di internet; che ruolo hanno i computer nella vostra musica?
AJ: “Abbiamo sempre usato i computer, fin dall’inizio, quando cioè un computer poteva occupare uno spazio ben maggiore di oggi. Quindi per noi non è certo una novità, ma la cosa importante è che siamo sempre riusciti ad usare i computer senza permettere che fossero loro ad usare noi, capisci? C’è una grossa differenza, ci sono bands che si sono rese schiave della tecnologia, mentre noi l’abbiamo sempre utilizzata alla stregua di qualsiasi strumento musicale: per noi qualsiasi tipo di suono può essere utile, se riteniamo che possa integrarsi bene in una canzone.”
PB: “Sicuramente, se non ci affidassimo anche ai computer, non potremmo produrre lo stesso tipo di musica che facciamo attualmente. Però è anche vero che per noi non sono assolutamente necessari al fine di comporre o trovare l’ispirazione.”
Cosa pensate di alcuni gruppi attuali, come per esempio i ben noti Rammstein, che si rifanno più o meno al vostro stesso genere?
[Sentendo nominare i Rammstein, Al e Paul ridacchiano scambiandosi un’occhiata d’intesa]
PB: “Guarda, ad essere sinceri noi che viviamo negli Stati Uniti sappiamo obbiettivamente poco dell’impatto che una band europea come i Rammstein può avere sul pubblico. C’è però da dire che tutto il loro materiale che ho avuto modo di sentire mi ha ricordato sempre il gruppo iugoslavo dei Laibach, il che mi ha dato abbastanza fastidio…”
AJ: “Sono d’accordo con Paul, credo che il gruppo tedesco non sia altro che una copia conforme dei Laibach e come tale non ci interessa minimamente: non hanno una propria impronta, si sono limitati a ricreare ciò che altri avevano già fatto. Intendiamoci, sono del parere che in ambito musicale non ci sia più niente di nuovo da molto tempo, ormai è tutto un discorso di interpretazione. A me piacciono quei gruppi che sono immediatamente riconoscibili perché sono capaci di dare una propria identità alla musica che suonano. Nel caso dei Rammstein, invece, sono in grado di riconoscere con precisione non un loro stile, ma di sicuro la loro principale fonte di ispirazione. Naturalmente ho molto più rispetto per i Laibach, in quanto hanno uno stile particolare e variegato, che prende spunto da diversi generi musicali ma che alla fine crea qualcosa di unico e originale. Anche noi cerchiamo di non limitarci ad un solo genere di musica, pensa per esempio che nel mio tempo libero ascolto sempre musica jazz e country: praticamente non conosco gli altri gruppi metal e sinceramente non mi interessano.”
PB: “La scena metal è senz’altro enorme, ma alla fine tutti i gruppi che ne fanno parte suonano più o meno allo stesso modo e sai perché? Perché si ascoltano tutti fra di loro! Ormai la scena è talmente satura che se vuoi creare qualcosa di originale devi andare oltre il tuo genere, cercare le tue influenze al di fuori del metal. Solo così, a mio parere, si può avere la possibilità di sviluppare uno stile interessante.”
Come mai avete deciso solo adesso di includere i testi in un vostro album?
PB: “Il motivo per cui, finora, non lo avevamo mai fatto, è che eravamo più interessati a provocare la gente che ci ascoltava, volevamo che ognuno interpretasse le canzoni a modo proprio. Ora, sappiamo che in Europa una cosa del genere può risultare difficile in tutti quei paesi in cui l’inglese non è una lingua madre, per cui alla fine io ed Al ne abbiamo parlato seriamente ed abbiamo deciso che forse sarebbe stato meglio inserire anche i testi nel libretto del nuovo cd.”
AJ: “Vogliamo in ogni caso che la gente possa farsi una propria idea sui testi, poiché da sempre ho l’abitudine di scrivere parole molto ambigue e di difficile interpretazione. Ad esempio, se voglio parlare dell’11 settembre, non lo farò parlando del fatto in sé, ma del sistema che ha finito per provocarlo, capisci? Chiaramente, per un nostro fan che non conosce bene l’inglese è molto più arduo riuscire a farsi un’idea di cosa vogliamo dire, se non ha sotto mano le parole delle canzoni. Vorrei puntualizzare che il fatto che abbiamo deciso di pubblicare i testi non significa che adesso abbiamo la pretesa di dire a qualcuno cosa deve fare; anzi, vorremmo che le parole fossero interpretate da ognuno in maniera soggettiva. Per questo motivo, oltre ai testi di ‘Animositisomina’, stiamo pubblicando sul nostro sito (http://www.darkspoon.com) anche tutti quelli degli album precedenti.”
Ancora una volta avete utilizzato una copertina piuttosto forte, su cui fra l’altro compaiono degli eloquenti simboli religiosi; di cosa trattano i vari brani?
PB: “Non c’è un argomento in particolare, piuttosto parliamo della vita in generale, ovviamente riferendoci alla nostra realtà che è quella degli USA. In quanto a certe dispute religiose, direi che non c’è niente di nuovo, d’altra parte queste discussioni vanno avanti dalla notte dei tempi, ma abbiamo pensato che porre in copertina l’immagine di una pecora avrebbe avuto un impatto maggiore sulla gente. Se pensiamo alle copertine di ‘Filth Pig’ e di ‘The Dark Side Of The Spoon’, si trattava di chiare prese di posizione nei confronti della politica americana, e il nuovo album non fa certo eccezione, anche se affronta dei temi che potrebbero essere estesi un po’ a tutto il mondo occidentale.”
AJ: “Si tratta della nostra vita, di tutte le nostre esperienze, è ciò che conosciamo e di cui parliamo ogni volta. Ogni nostro album è lo specchio fedele del periodo in cui è stato composto, ecco il motivo per cui non faremo mai due volte lo stesso disco o la stessa copertina: col passare del tempo la gente cambia, noi cambiamo e di conseguenza cambia anche la nostra musica.”
E’ sempre da sentimenti come la rabbia che nasce la musica dei Ministry?
AJ: “Obbiettivamente io ritengo che ci sia molta speranza nelle nostre canzoni e nei nostri testi: quello che vogliamo fare, in fondo, è porci delle domande. Non abbiamo di sicuro le risposte, ma vorremmo che la gente iniziasse ad aprire gli occhi ed a chiedersi che cosa diavolo sta succedendo intorno a loro. Vogliamo provocare pensieri, emozioni, fare in modo che chi ci ascolta si dia una mossa e si decida per una volta a spegnere la tv e a fare qualcosa di concreto, invece che stare lì a farsi rincretinire davanti a qualche ballerina in bikini. Questo è sempre stato il fine della nostra musica, e come vedi si tratta di qualcosa di fondamentalmente positivo.”
Il vostro recente DVD live, “Sphinctour”, è molto particolare in quanto è costituito non da un singolo concerto ma da frammenti di diversi show, poi montati insieme. Come vi è venuta l’idea?
AJ: “Molto semplice: abbiamo deciso di realizzare un video perché c’era un cameraman che ci ha seguiti per tutto il tour ed è andata a finire che ci siamo ritrovati con più di cento ore di filmati. Il problema era appunto che avevamo una sola telecamera a disposizione, che ovviamente non poteva riprenderci da angolazioni diverse. Questo ha reso necessario tutto il lavoro di post produzione per unire quei tanti pezzi di concerti in modo da dare l’impressione che fosse uno solo.”
PB: “Alla fine sono convinto che sia stato un bene avere solo una telecamera, perché ne è risultato un tipo di video diverso da tutti gli altri. Ci sono gruppi che possono avere a disposizione venti telecamere da altrettante angolazioni diverse, ma finiscono sempre per non dire nulla di nuovo. Noi invece, con una sola camera abbiamo ottenuto a mio parere un risultato migliore di tanti altri.”
Siamo in chiusura, c’è qualcosa che vorreste dire ai fans italiani?
”Certo, speriamo di poter venire da voi molto presto e magari riuscire a suonare a lungo nel vostro paese, sarebbe fantastico fare almeno una mezza dozzina di concerti! Pensiamo in ogni caso di toccare l’Italia entro l’estate.”