Per la seconda volta ho l’opportunità di rivolgere alcune domande a Mercy, uno dei musicisti italiani più lontani dai soliti stereotipi e dalle insulse banalità. In quest’occasione lo interpello come cantante e compositore de “Il segno del comando”, estensione rock progressiva dei molteplici impegni dell’artista ligure, fresca del bellissimo “Der Golem”….
- Prima di tutto, complimenti per il vostro “Der Golem”. E’ certamente uno dei migliori ascolti dell’annata e, come ho detto nella recensione, mi ha offerto le sensazioni di un caposaldo settantiano come “Darwin!” del Banco del Mutuo Soccorso. Ti sembra un paragone inerente ed accettabile?
- Grazie, ma credo che quel lavoro fosse di ben altro spessore rispetto al nostro. Al tempo stesso, però, credo che fosse il risultato di una fase storica e di una temperie culturale oggi morta e sepolta. Il Mondo è cambiato così profondamente da allora!
- Ti sarà stato chiesto già mille volte, ma non posso fare a meno di accodarmi nel chiederti delucidazioni sul significato del concept. Come va interpretato questo riferimento al Golem di Meyrink?
- E’ risaputo che Meyrink fu membro in vista di alcuni circoli iniziatici molto esclusivi e la cosa in sé non differisce sensibilmente dalla condizione di altri letterati, anche insospettabili, che trascorsero l’intera vita in preda ad un anelito verso il mistero e la trascendenza. Ma nel suo caso abbiamo un opera che testimonia al di là di ogni ragionevole dubbio la veridicità della dimensione profetica. Il primo scorcio di 900 e, successivamente, il periodo tra le due guerre
mondiali vide il moltiplicarsi di figure che, tra letteratura, filosofia ed avanguardia fornirono interessantissime chiavi di lettura per comprendere dei quesiti, degli snodi epocali che oggi più che mai ci angosciano. Naturalmente, nel caso di Meyrink, abbiamo anche un grande afflato verso il fantastico che lo rende godibile anche sul piano della pura narrativa.
- Praga nera, Praga cubista, Praga della tisi e dei bordelli, perchè la collocazione del vostro progetto nella mittleuropa?
- A quel tempo le avanguardie artistiche procedevano secondo uno schema interdisciplinare davvero impensabile oggi, tra tutti quei tromboni paludati degli intelettuali istituzionali. Pittura, musica, Poesia, Narrativa, Grafica, Teatro e Cafè d’avanguardia. Si discuteva di Arte, di Politica, di Filosofia, ci si accapigliva, ma si creava, si tracciavano coordinate estetiche ed ideologiche, si facevano circolare idee. Si tirava mattina nei Cafè letterari, nelle bettole, nei Tabarin tra discussioni interminabili. Si perdevano ore di sonno nelle tipografie clandestine con l’orecchio teso per avvertire l’arrivo della Gendarmeria Asburgica. E si producevano capolavori. Che epoca fantastica! E che destino tragico per quella generazione immolata sui campi di battaglia di un Europa già ostaggio delle sue eminenze nere. Oggi si fa un gran parlare di Europa, ma si tratta di una risibile e
sfiatata adozione di un pragmatismo economicista di stile americano che nulla ha a che vedere con la tragica grandezza di una civiltà immolata sul filo spinato di due guerre mondiali.Mitteleuropa è oggi un luogo dello Spirito oltre che una rivolta dello Stile.
- Il Segno del Comando ed i Malombra, senza dimenticare Helden Rune, attingono al medesimo clan di musicisti ma riescono ad essere entità completamente diverse. Come riuscite in fase compositiva a tenere distaccati i vari progetti, quasi esistessero in voi personalità differenti?
- Io credo che esistano delle personalità differenti. Ogni artista o presunto tale è un po’ schizofrenico, con buona pace di tutti gli avvocaticchi con l’ossessione del controllo che impestano il mondo della musica oggi.
- E’ risaputo che è raro vedervi suonare dal vivo, specie come Segno del Comando, in parte per la difficoltà di riprodurre una musica complessa come la vostra, ma anche e soprattutto per le limitate possibilità offerte dal nostro paese. Perchè è così difficile proporre musica di qualità in Italia?
- Una domanda da poco eh? Vediamo di chiarire. Il Segno è sempre stato, almeno fino ad oggi, un gruppo da studio, ma lo stesso non si può dire di Malombra. Eppure le occasioni di suonare sono rare e, il più delle volte, in condizioni talmente disagiate da non rendere neppure possibile un’esposizione dignitosa del nostro repertorio. Perché? Non saprei. Credo che molto abbia a che fare con una situazione ormai atavica della scena italiana. Leggi e costi proibitivi, gestori di locali mascalzoni, pubblico pigro e distratto nonché, nel nostro caso, la difficoltà ad inquadrarci in un filone specifico. Quest’ultimo aspetto esercita un peso assai più rilevante di quanto si possa immaginare in un epoca che vive di specializzazioni. Certo che l’ostinazione da parte di alcuni a volerci descrivere come una band seventies oriented, mentre è evidente che non lo siamo affatto, alla lunga ci ha danneggiato non poco. D’altronde ci sono delle ottime bands, anche italiane, che mi sembrano ben lanciate verso un meritato riconoscimento internazionale, ma hanno avuto l’intelligenza di gestirsi in maniera radicalmente diversa. Meglio per loro e peggio per noi.
- Nei vostri lavori esprimete una visione pesantemente negativa della realtà attuale, quali sono le motivazioni di questa conclusione e quanto influisce il fatto di vivere a Genova, città da sempre schiacciata tra mare ed industria?
- Io credo che il collasso verso il quale ci stiamo rapidamente avviando sia generalizzato ed epocale e che il luogo dove abbiamo la sfortuna di vivere sia solo un tassello insignificante di questo affresco. Chiarito questo, non posso tacere il fatto che questa città da sempre feudo, senza opposizioni di sorta, di quelle forze culturali, prima che politiche, a cui è lecito attribuire le più pesanti responsabilità di questo collasso, sia un luogo dove l’immediato futuro è già visibile e godibile: una cloaca a cielo aperto, piena di puzzoni ignoranti, di parassiti senza dignità. Un luogo da dove chi ha sale in zucca cerca di fuggire mentre ogni disgraziato senza arte ne parte, ogni tagliagole vi elegge dimora per istintiva empatia con quest’atmosfera che è il perfetto punto di incontro tra la Kasba e la Favela. Anche la Genova operaia non esiste più. Gli intellettuali “organici” nostrani la chiamano Movida, ma per me è solo un’immensa fogna. Più precisamente è un serraglio di cretini che si beano dela terzomondizzazione della loro città come se fosse chissà quale valore.
- In una precedente intervista che mi hai concesso come Malombra, esprimevi una forte repulsione verso le bands, diciamo stoner, che rivisitano le basi settantiane forse in modo troppo folkloristico, tra fumi di marijuana e collanine neo-hippie. Ma visto che anche Der Golem è in parte allacciato al rock progressivo anni ‘70 non è comunque positivo uno stile che vive d’improvvisazione e libertà esecutiva in contrapposizione alla musica di plastica, massificata che qualcuno vuole imporci?
- Non credo di avere usato espressioni poi così severe riguardo allo Stoner che è una musica, di per sé, rispettabilissima. Quello che non riesco proprio più a digerire è proprio questo Hippysmo. I “miei” anni 70 sono tutt’altro che Hippie. Ho sempre amato Bowie, I Roxy Music, oppure il Kraut Rock, i Magma, il Folk alla Malicorne, Comus , il Rock decadente pre-Punk e Wave. Nulla a che vedere con la mistica degli “stonati”, con il Peace and Love. Mai creduto in simili sciocchezze. Poi bisognerebbe cercare di chiarire cosa significa musica massificata e musica “spontanea”. Sono massificati i Planet Funk? Direi di si secondo l’ottica che sottende certe etichette compresa la nostra. Eppure hanno fatto un disco bellissimo, raffinato, intenso e pieno di sfumature. A volte mi vedo proporre certi “paladini” della “vera musica” che sono imbarazzanti tanto sono rozzi, ottusi e mediocri nelle idee, nei suoni e nei contenuti. Sarebbe ora di finirla una buona volta con i luoghi comuni. Da l’una e dall’altra parte, e di far parlare l’intelligenza ed il buon gusto. Personalmente mi riservo di ascoltare e di giudicare e non di cadere vittima della sindrome settaria che, a questi punti, non può che danneggiare la musica e l’arte in genere.
- Ancora una spiegazione. Il protagonista di Komplott Charousek, così vividamente descritto, è immaginario o si tratta di un riferimento a qualche episodio storico?
- No, affatto. Si tratta di un monologo interiore di uno dei tanti, indimenticabili, personaggi del romanzo. Lo studente Boemo, tisico e cencioso, mantenuto in vita solo dalla sua sete di giustizia e di vendetta e pronto a consegnarsi al riposo della tomba solo quando la sua missione sarà compiuta.
- Der Golem è stato realizzato per un’ambito ed un pubblico strettamente progressivo o lo ritenete adatto ad un riscontro più ampio ed eterogeneo?
- Questo davvero non saprei dirlo. E’ un lavoro di Progressive, non ci sono dubbi, ma credo che possa avere qualche pretesa di trasversalità.
- Il forte spessore intellettuale, le tematiche oscure, complesse, di difficile interpretazione, che avete trattato nel disco non rischiano di essere un’ostacolo alla diffusione dell’opera in un pubblico italiano che, diciamolo, solitamente è abituato a cose molto più semplici ed immediate?
- E’ un rischio che abbiamo messo in conto. Crediamo che ognuno debba essere sé stesso. Se poi la gente preferisce Bugo, tanto peggio.
- Avete sempre evidenziato il concetto di evoluzione musicale come vostro primo obiettivo, quale sarà il prossimo passo evolutivo dei vostri numerosi progetti?
- Per quanto mi riguarda sono all’opera su dei progetti orientati verso una dimensione tra il marziale, l’Industrial, il NeoFolk. Cose con echi del primo 900 e con il rumore delle macchine. Forse potrebbero diventare l’eredità di Helden Rune, oltre, naturalmente, la progettazione del nuovo Segno del Comando.
- In conclusione, so che siete già al lavoro sul nuovo album del Segno del Comando, cosa insolita per un gruppo che ha tempi creativi piuttosto dilatati. Potete darmi qualche anticipazione in merito?
- Anche questo aspetto necessiterebbe di qualche chiarimento. I nostri tempi creativi sono tutt’altro che rarefatti se nell’arco di un paio d’anni abbiamo messo in cantiere e completato 3 diversi lavori più un quarto di cui non è il caso di parlare in questa sede. Il triennio che andava dal 96 al 99 fu infruttuoso perché funestato da continui stravolgimenti di organico e, ad un dato momento, dall’assenza di un medesimo. La rarefazione ed i tempi biblici riguardano piuttosto altri aspetti che poco hanno a che vedere con il processo creativo in sé.
Riguardo al nuovo Segno ti posso anticipare che non ci schioderemo dalla Mitteleuropa poiché il romanzo ispiratore è, questa volta, “L’altra parte” di Alfred Kubin. Musicalmente mi sembra di ravvisare una ancora più decisa discesa agli inferi, ma è ancora troppo presto per descriverne con più precisione le caratteristiche.