John Wetton è un artista che non ha bisogno di molte presentazioni: per lui parlano in modo più che eloquente la sua musica e la sua sensibilità espresse in molte occasioni diverse, spesso al fianco di altrettanto importanti personalità, attraversando i generi, ma mantenendo come denominatore comune una qualità pressoché immutata.
Dopo il riavvicinamento nella sua più recente produzione da solista (quel “Rock of faith” che non dovrebbe essere trascurato da nessun appassionato di rock che possa considerarsi tale), Wetton ritrova il compagno dei primi gloriosi tempi degli Asia (i migliori, almeno per il sottoscritto) Geoff Downes in modo più ampliato, e l’antica “formula chimica” fatta d’emozione, incantevole melodia e splendore stilistico, ritrova il suo dosaggio più opportuno, il cui risultato, “Icon”, è oggi a disposizione di chiunque voglia concedere la possibilità a questi maturi signori di dimostrare le loro consistenti virtù.
Quello che segue è il resoconto della chiacchierata che ho avuto l’onore di sostenere con il mitico bassista e vocalist di Derby all’indomani dell’uscita del suddetto prezioso dischetto, che, quindi, vi consiglio tranquillamente d’includere senza batter ciglio nella Vostra collezione, adatto sia ai suoi sostenitori della prima ora, sia a tutti quelli che cercano eleganza, buone vibrazioni e calore genuino in una serie di “fredde” scanalature digitali.
Dopo la fantastica collaborazione ai tempi degli Asia e, più recentemente, il contributo di Downes nel tuo ultimo disco solista (tra l’altro davvero stupendo!), tu e Geoff tornate insieme in questo spettacolare progetto … Cosa ci puoi dire in merito alla nascita di questa nuova esperienza?
Sembra davvero come se avessimo ripreso esattamente da dove avevamo interrotto. La stima reciproca e la creatività sono rimaste inalterate nel corso di questi ultimi venti anni ed il progetto è nato seguendo gli incoraggiamenti continui d’amici e colleghi a noi molto vicini. Geoff partecipò alla stesura di due brani nel mio disco del 2002 “Rock of faith” e si unì alla mia band per un concerto a Filadelfia durante il “Fan club weekend”.
La nostra amicizia non è mai diminuita così è stato naturale sedersi allo stesso pianoforte con il quale abbiamo composto i brani degli Asia negli anni ’80 e dare vita ad un nuovo inizio.
Il titolo che avete scelto per il disco ha qualche significato particolare?
E’ da un po’ che ci pensavamo: è un titolo breve, che attira l’attenzione, che si riferisce all’artwork del Cd e che ispira in senso più generale tutto questo nuovo progetto.
Nel nuovo Cd suonano molti musicisti eccellenti. Cosa ci puoi dire di loro e del modo in cui hanno contributo al disco?
Steve Christey e John Mitchell suonano con la mia band da parecchi anni e sono musicisti di gran qualità.
Hugh (McDowell N.d.A.) ha partecipato anche a “Rock of faith” ed è insuperabile con il suo violoncello, contribuendo in modo molto emozionale al nostro suono e quest’apporto sarà ancora maggiormente evidente nel nuovo Ep (John si riferisce al prossimo maxi-single schedulato per fine agosto, con un brano nuovo di zecca e versioni inedite di brani già pubblicati … check it out! N.d.A.).
Io ed Annie (Haslam N.d.A.) abbiamo già lavorato insieme nel 1971 con i Renaissance e possiede una voce assolutamente ideale per i duetti.
Collaboro con Ian McDonald da molto tempo, sia dal vivo, sia in studio e Mike Stobbie è un arrangiatore orchestrale la cui eccezionale abilità sarà anch’essa ancor meglio messa in mostra nell’imminente nuova release.
”Icon” contiene canzoni straordinarie come “Let me go”, “I stand alone”, “In the end” (il duetto con Annie Haslam è semplicemente favoloso) e “God walks with us”. Ti andrebbe di raccontarci qualcosa di questi brani meravigliosi?
“God walks with us” ha la tipica struttura anthemica che caratterizza il nostro songwriting.”Asia”, “Alpha” e “Astra” erano dischi che s’aprivano con brani molto radio-friendly e anche le openers di “Icon” sono molto forti ed importanti da questo punto di vista.
“I stand alone” è contraddistinta da uno schema musicale discendente all’interno di una tipica serie d’accordi alla Wetton / Downes ed è uno dei nostri arrangiamenti maggiormente peculiari e riconoscibili.
“In the end” è un naturale epilogo al disco ed è un chiaro messaggio di speranza. In effetti, la voce di Annie è perfetta, in grado di catturare la vera essenza della canzone.
Quali sono le vostre principali fonti ispirative per la scrittura dei brani?
Non è facile rispondere a questa domanda, poiché non è agevole identificare in modo preciso la provenienza delle nostre idee. Quello che è certo è che, non appena ci siamo seduti insieme a scrivere le nostre canzoni, siamo stati trascinati da una sorta d’immediata energia creativa.
Normalmente, le idee hanno difficoltà a fluire durante la classica struttura della session, ma in questo caso, la forza creativa è nata fra noi proprio in questa situazione.
Adoro letteralmente i primi due albums degli Asia e anche se, dopo quei capolavori, la band è stata capace di realizzare altri buonissimi dischi, l’alchimia perfetta mostrata in “Asia” e “Alpha”, non è più stata, per quanto mi riguarda, ripetuta … fino ad ora, con questo lavoro fantastico che mi sembra possieda la stessa “magia”. Quali furono le circostanze che portarono alla vostra separazione ai tempi degli Asia e come siete riusciti a ripristinare quel feeling?
Il feeling di cui parli non si è mai realmente estinto, semplicemente siamo andati avanti. Fra noi, non c’è mai stata una qualche flessione creativa, ma la natura stessa di un gruppo come gli Asia prevede che i suoi componenti siano molto “richiesti”.
Gli Yes e gli E.L.P. non avevano cessato la loro attività, così era naturale prevedere che ci sarebbero state delle nuove “convocazioni” per Carl e Steve e tutti noi avemmo l’opportunità di fare altre esperienze eccitanti ed affascinanti. Mi fa piacere che tu creda che quella “magia” sia ancora presente, perché è la stessa cosa di cui noi siamo convinti.
Con i primi albums degli Asia raggiungeste un enorme successo di critica e di pubblico, cosa ricordi di quel periodo?
Eravamo tutti musicisti piuttosto esperti e avevamo già provato l’ebbrezza del “successo” anche prima degli Asia. La compagnia discografica si aspettava che il gruppo potesse conseguire un grosso consenso ed era chiaro che la Geffen si era preparata a sostenere la band specialmente nel mercato dei singoli e questa, in effetti, fu la vera novità. Il grado d’apprezzamento che raggiungemmo fu esaltante e la massiccia attività di marketing di cui usufruimmo fu una cosa inedita per tutti noi.
Con le nostre passate esperienze avevamo già realizzato brani diventati hit singles, ma fu davvero pazzesco riuscire a “sfondare” in America attraverso questi hit, che ci portarono anche ad importanti riconoscimenti nazionali.
Una cosa davvero elettrizzante fin dall’inizio.
Quali sono, secondo te le caratteristiche che deve possedere un disco rock per diventare un “classico”? Quali sono quelli che tu consideri degni di questa definizione?
La mia prima influenza è stata “God only knows” dei Beach Boys; mi piacciono i Beatles, i Journey, gli Eagles e Don Henley, la musica classica e tutta quella che dimostra intelligenza. I gusti cambiano secondo l’umore.
Che cosa pensi dell’attuale scena della musica rock?
Troppa quantità a discapito della qualità, senza riservare sufficiente attenzione nello sviluppare il vero talento. La musica “preconfezionata” c’è sempre stata, ma oggi lo squilibrio verso questo tipo di prodotto mi sembra molto evidente.
Ritieni che “Icon” sia solo una questione per vecchi fans degli Asia o credi che possieda le caratteristiche per attrarre anche gli ascoltatori più giovani? Cosa ti aspetti da questo disco?
Sia io che Geoff siamo molto contenti delle reazioni del pubblico. Siamo realisti e sappiamo che abbiamo bisogno di molta promozione e di suonare dal vivo.
Stiamo già pianificando il seguito di “Icon” e speriamo di poter “raggiungere” quel pubblico che sappiamo essere là e che ci ha sempre supportato in passato.
Da quanto dici, quindi, è intuibile che ci sarà un’attività live a sostegno dell’album … Quali sono i vostri piani per il futuro?
In effetti, le nostre intenzioni sono quelle d’intraprendere, nei prossimi mesi, un tour per supportare “Icon” e il prossimo anno di organizzarne un altro per sostenere il suo successore!
Ed ora una domanda per noi un po’ pericolosa … ma sono curioso di conoscere la tua opinione … Qualcuno ritiene che le webzines siano superficiali e decisamente meno professionali rispetto alla tradizionale carta stampata specializzata. Credi abbiano ragione? Qual è il tuo pensiero sul fenomeno internet in generale?
Il fenomeno internet non può che essere completamente accettato, è parte integrante del marketing e dei sistemi per farsi conoscere nell’attuale mercato e sarà proprio quest’ultimo a decretare il successo o il fallimento delle webzines, in modo che solo quelle più professionali possano sopravvivere e crescere. Com’è normale che sia, se c’è la classe e la competenza queste saranno ben accolte.
Ed ora, puoi terminare quest’intervista nel modo che preferisci …
Grazie per il tempo e l’interesse dimostrato. Ti prego di portare i miei saluti a tutti i vostri lettori e spero che possano divertirsi ascoltando “Icon” almeno quanto io e Geoff l’abbiamo fatto nel realizzarlo.
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