E’ probabile che Fabio ed Omar dei Thunderstorm, uno dei nomi di punta della scena doom nazionale, non si siano fatti una grande opinione della lucidità professionale del sottoscritto. Quella che è stata la mia prima intervista telefonica in assoluto, ad un’età nella quale la maggioranza ha già appeso la biro al chiodo, l’ho condotta perlopiù seguendo uno stile dai risvolti Fantozziani. Malgrado la mia voce tentennante, l’indecisione sudaticcia e gli immancabili problemi tecnici previsti dalla Legge di Murphy, l’estrema cortesia e disponibilità dei due musicisti ha permesso comunque di sviluppare un discorso completo e compiuto partendo dall’analisi del recente, ottimo, “Faithless soul”…
- Si è soliti dire che il terzo album rappresenti un traguardo essenziale per un gruppo musicale, il disco che dovrebbe sancire la maturazione definitiva. E’ stato così anche per i Thunderstorm?
- (F.) Ciò che ti posso assicurare è che siamo pienamente soddisfatti dell’album sotto tutti gli aspetti, ed in sostanza riteniamo che questo sia di gran lunga il nostro lavoro più completo. Se il primo mostrava qualche ingenuità come capita spesso all’esordio, ed il secondo era una continuazione meglio definita del discorso stilistico, con “Faithless soul” abbiamo ottenuto una sorta di consacrazione, un risultato che è la somma di tutto ciò che avevamo impostato prima.
Personalmente vedo un miglioramento generale, dal lato vocale alla produzione, dall’impatto dei brani alla limpidezza dei suoni, perfino l’artwork e la promozione sono diventati più efficaci, non potevamo proprio desiderare di più. E’ chiaro che da ora in avanti prenderemo come metro di giudizio questo standard qualitativo.
- Qual è il progresso più evidente rispetto a “Witchunter tales”?
- (F.) Siamo riusciti ad ottenere un sound più duro, più grezzo, mantenendo allo stesso tempo quella caratteristica raffinatezza che è un po’ il nostro segno distintivo. E’ sicuramente il nostro album più diretto ed immediato, con meno arrangiamenti sofisticati, ma riesce ugualmente ad esprimere quell’atmosfera elegante che era già presente in passato. Come ti dicevo è un album che conferma la nostra impostazione ma vi aggiunge uno spirito nuovo, una vibrazione particolare che lo rende più completo e maturo.
- La mia impressione è che il disco abbia un indirizzo più “settantiano” rispetto al passato. Dovessi fare dei paragoni punterei su Trouble, St. Vitus, Obsessed, ecc, anziché magari sui Candlemass, che influenzavano parecchio i lavori precedenti. Inoltre notavo che hai dato più spazio agli assoli di chitarra, prima quasi totalmente assenti, e ciò rende maggiormente grintose diverse canzoni…
- (F.) Certamente è così! Come potrai immaginare noi ascoltiamo in prevalenza il rock di quell’epoca o comunque musica ad esso correlata come lo stoner, il suo equivalente contemporaneo, perciò è inevitabile che questo influisca in qualche misura sul nostro sound. Mi piace pensare di aver prodotto un disco degli anni ’70 rivisto con la mentalità del 2004, ed è proprio il risultato che volevamo ottenere quindi motivo in più per essere soddisfatti.
Anche l’osservazione sugli assoli è giusta, ora sono meglio integrati all’interno delle canzoni vedi ad esempio la cover oppure “Narrow is the road”, in questo modo abbiamo ottenuto un sound più completo e naturale.
- A proposito della cover, come mai la scelta è caduta su un brano come “In a gadda da vida”, certamente un grandissimo classico hard rock ma sotto certi aspetti un po’ distante dal vostro genere musicale?
- (O.) Siccome anche noi avevamo la sensazione che il disco fosse in qualche modo legato agli anni ’70, volevamo inserire una cover di un bel brano di quel periodo ma l’indecisione su quale scegliere era molto forte.
Poi una sera che ci trovavamo in birreria, dopo aver scolato un buon numero di boccali, mi è venuto in mente il famoso riff degli Iron Butterfly ed ho iniziato a canticchiarlo a Fabio per vedere se anche lui lo ricordava. Sul momento ci siamo fatti una risata e la cosa è finita lì, ma un paio di settimane dopo mentre eravamo nello studio di registrazione ci è venuto spontaneo di provarla, ed ha funzionato magnificamente! Comunque se ci fai caso, sebbene la canzone abbia un testo di tipo freak-psichedelico, la parte strumentale è piuttosto oscura e carica di tensione e tutto sommato non è così distante dal nostro stile come può sembrare in un primo momento.
- (F.) Anzi, ti garantisco che le mie idee sono ancora più strane! Il mio sogno è rifare in chiave doom qualche pezzo dei Beatles o dei Rolling Stones, e vedrai che prima o poi salterà fuori qualcosa di veramente malato, ahah!!
- Siete tornati alla formazione triangolare, rinunciando al secondo chitarrista. E’ la formula definitiva, quella che esprime meglio le vostre caratteristiche?
- (F.) Vedi, noi siamo nati come trio e per tantissimo tempo è stata la soluzione ottimale. Ad un certo momento abbiamo pensato di poter migliorare con l’ingresso di un secondo chitarrista, cosa che ci avrebbe permesso nuove variazioni stilistiche ed un sound più potente. Purtroppo in breve tempo mi sono reso conto che la cosa non funzionava. Non soltanto non c’erano stati progressi, ma addirittura stavamo perdendo la nostra identità quasi fossimo caduti in quella mania moderna che vede formazioni continuare ad aggiungere strumenti che in realtà non servono a nulla.
A quel punto siamo tornati velocemente sui nostri passi, andando in un certo senso controcorrente, tornando allo schieramento più semplice ed essenziale della musica rock. Per il nostro stile ed il nostro modo di pensare è la soluzione ideale, quindi c’è la certezza di continuare su questa strada.
- Quello che invece avete cambiato è la casa discografica, come siete arrivati al contatto con Dragonheart?
- (F.) Con “Witchunter tales” si è chiuso il rapporto con la Northwind, che sicuramente ci avrebbe proposto qualcosa di nuovo. Ma noi eravamo dell’idea di guardarci un po’ in giro, perché ritenevamo fosse venuto il momento di fare un saltino di qualità. Così è arrivato il contatto con Dragonheart ed abbiamo firmato per loro. Posso dirti che il rapporto con la nuova etichetta è stato subito eccellente, lavorano in modo splendido e curano perfettamente la promozione con attenzione particolare per la nostra nazione. Siamo felicissimi di aver colto quest’opportunità e particolarmente orgogliosi di come stanno operando per noi in Italia.
- E’ noto che avete un forte seguito in Germania, nazione che io avevo sempre considerato poco ricettiva nei confronti del doom metal. Come vi spiegate questo successo, influisce forse la componente epico-melodica del vostro sound?
- (F.) In realtà negli ultimi tempi è cambiato parecchio l’atteggiamento del pubblico tedesco nei confronti del doom. C’è molto più interesse e maggior rispetto verso questo stile, ed inoltre si sta formando una piccola scena locale assai agguerrita.
Secondo me è in atto una sorta di rinascita a livello europeo, grazie a diverse bands che hanno ottenuto buon successo negli ultimi anni, quindi noi avendo suonato spesso in Germania con ottimi riscontri di pubblico e critica siamo diventati abbastanza popolari da loro.
- E in Italia, invece? Come vedi la situazione?
- (F.) L’eterno problema è che siamo esterofili fino al midollo, tendiamo sempre a dare più considerazione ai gruppi stranieri rispetto a quelli di casa nostra, anche quando è evidente che sono di ottima qualità.
Va detto però che le cose stanno migliorando, grazie al lavoro dei mezzi d’informazione che da un po’ di tempo sostengono pienamente la scena Italiana, dando un giudizio obiettivo sul valore delle formazioni di casa nostra. Agendo in questo modo, le nuove generazioni di appassionati crescono con l’idea che il metal Italiano è all’altezza di quello estero, a differenza del passato in cui la scena nazionale era snobbata un po’ da tutti, e questo non può che avere un impatto positivo sul costante miglioramento della qualità musicale.
- Mi aggancio al discorso per chiederti un giudizio sulla validità dell’informazione musicale in rete, quanto ritieni professionale l’operato delle webzine rispetto alla controparte cartacea?
- (F.) Guarda, la mia idea è che ormai l’informazione cartacea e quella in rete siano complementari. Sicuramente il fascino particolare del gesto di sfogliare una rivista rimane imbattibile, ma internet possiede il grande vantaggio di potersi aggiornare continuamente in tempo reale e questo lo rende uno strumento ormai indispensabile. Riguardo la professionalità, mi sembra che le webzine, specie quelle più importanti, abbiano raggiunto un notevole livello di serietà e personalmente trovo utile sfruttare ogni tipo di mezzo d’informazione.
- Mi interessa molto l’aspetto dei testi, specie alla luce delle recenti polemiche sull’influenza negativa delle tematiche metal sui giovani.
- (O.) Come buona parte dei gruppi doom affrontiamo tematiche occulte ed esoteriche, ben distanti però dal satanismo vero e proprio. I nostri testi, dei quali mi occupo personalmente, di solito descrivono stati d’animo negativi o forze nascoste nell’animo umano, metafore riferite a sentimenti reali o ad immagini particolari, vedi ad esempio “Black light” dove volevo descrivere una luce impossibile da vedere con gli occhi ma che si manifesta come surplus di energia negativa. Cerco di esprimere il lato oscuro e pessimista dell’essere umano, ciò che si nasconde dietro lo schermo di normalità con cui le persone si presentano agli altri. Questo non significa che i Thunderstorm passino tutto il tempo avvolti in una cappa di tristezza e disperazione, anzi tutt’altro!, ma è anche ovvio che certe tematiche ombrose siano più adatte al nostro stile oltre ad essere gli argomenti che più c’interessano a livello personale.
- Anche le copertine dei vostri albums seguono una linea precisa e particolare, ancora una volta per “Faithless soul” vi siete affidati ad un quadro di grande effetto…
- (O.) E’ opera di un pittore fiammingo, ed è un’immagine ricca di particolari che difficilmente si riescono a cogliere tutti alla prima occhiata. E’ proprio la ricerca della complessità che ci ha spinto finora ad usare veri e propri quadri per le nostre copertine, ed anche un certo fascino spirituale che traspare da dipinti come questo. Con tutto il rispetto per i grafici che sanno creare ottimi artwork, i pittori impiegano mesi, talvolta anni, per completare le loro creazioni, ed io penso che riescano ad infondere parte della loro essenza al quadro che dipingono, un po’ come succede al musicista con le canzoni. Per questo ci siamo sempre orientati verso immagini dal forte significato simbolico.
- Per quanto riguarda l’aspetto live, quali sono i prossimi impegni?
- (F.) A breve faremo una serie di date in Italia, poi ci sposteremo in Germania dove in Aprile avremo l’importante appuntamento del Doom Shall Rise Festival, al quale aggiungeremo diversi altri concerti in quella nazione. In estate invece parteciperemo sicuramente a qualcuno dei tanti festivals metal.
- Siamo al termine dell’intervista, che solitamente concludo chiedendo di indicare i cinque dischi che ritieni fondamentali per la tua formazione musicale..
- (F.) Vediamo..al primo posto metto “Master of reality”, al secondo “Nightfall” dei Candlemass, poi “Plastic green head” dei Trouble, “Adagio” dei Solitude Aeturnus…e per finire un altro disco dei Black Sabbath perché sono troppo importanti, diciamo “Paranoid”. Una lista ben oscura, ahah!
- Non resta che salutarci, lasciandoti lo spazio per una piccola promozione personale di “Faithless soul” verso i lettori di Eutk.net..
- (F.) Consiglio solamente di avvicinarsi al disco senza pregiudizi, troppe volte il doom è stato visto come un genere poco eccitante ed aggressivo, invece vi assicuro che si può ottenere un buon “tiro” anche sfruttando le caratteristiche peculiari del doom, cioè le cadenze lente e pesanti e la grande tensione drammatica. Doom or be doomed !!!