Non sono stato molto contento della dipartita di Michele Luppi dai Vision Divine. I tre dischi realizzati con lui alla voce sono stati tra gli highlights assoluti della mia lunga carriera di ascoltatore, arrivati per giunta in un periodo drammaticamente avaro di nuove uscite. Tanto mi erano sembrati scialbi e vuoti “VD” e “Send me an angel”, tanto mi ero esaltato con “Stream...” e i suoi successori. Eppure, dopo aver ascoltato “9 degrees west of the moon”, il sesto lavoro della band di Olaf Thorsen, mi sono dovuto ricredere sul fatto che il valore aggiunto di questa band risiedesse solo e unicamente nel suo straordinario singer. Già, perchè il ritorno di Fabio Lione dietro al microfono non ha coinciso con un'inversione di tendenza e un ritorno nostalgico al passato; il nuovo disco pare proseguire in pieno il discorso artistico iniziato ormai cinque anni orsono e non sembra proprio abbia nulla da invidiare ai capitoli precedenti. Forte di queste premesse positive, sono andato al Rock 'n Roll di Milano, un bellissimo locale che è un vero e proprio tributo al genere (si potrebbe stare ore solo ad ammirare i cimeli appesi alle pareti!), per fare due chiacchiere con la band al completo. Sono stati poi i soli Olaf e Fabio a concedersi ai nostri microfoni, e ne è venuta fuori una chiacchierata informale e decisamente piacevole, nella quale si è parlato un po' di tutto, con la proverbiale franchezza che solo due personaggi senza peli sulla lingua come i due toscani possono avere!
E' indubbio che i Vision Divine siano saliti agli onori della cronaca con l'album “Stream of consciousness...
(Fabio): Già, un album che ho fatto io... (ride)
E i dischi successivi, legati alla voce di Michele Luppi, hanno fatto crescere sempre di più l'interesse verso questo gruppo. Ora sei tornato tu: come pensi che reagiranno quei fan che hanno apprezzato i Vision con gli ultimi lavori? E vuoi anche raccontarmi perché hai deciso di tornare?
(Fabio): E' stata una decisione naturale: parte del motivo per cui ho lasciato questa band dopo aver lavorato per circa un anno e mezzo su “Stream...” assieme ad Olaf e a Oleg Smirnoff deriva dal fatto che, avendo anche un'altra entità chiamata Rhapsody, avendo la Magic Circle come etichetta e management, ero sottoposto ad una certa pressione, per cui ho preferito lasciare la band. Ormai l'album era pronto, ho parlato loro delle mie difficoltà, e gli ho invitati a trovare un'altra persona che ci potesse cantare sopra. Adesso la situazione coi Rhapsody è cambiata, io non ho nessun vincolo con Magic Circle Music, Michele è andato via dalla band (che poi sia andato via lui o l'abbiano cacciato non mi interessa), per cui è stata una cosa naturale far parte di nuovo di una band che comunque, non bisogna dimenticarlo, è nata nel 1998 con me e Olaf. Anche per lui, non avrebbe avuto senso chiamare un altro cantante. La band è partita con me, poi c'è stato questo periodo con Michele che sicuramente ha contribuito a far crescere le quotazioni del gruppo; Michele è indubbiamente un artista valido, non ho mai detto il contrario, non lo conosco benissimo, l'ho incontrato solo 4 o 5 volte per cui non so. Sicuramente lui cerca dalla musica esattamente l'opposto di quello che cerco io. Non so chi sia dei due a sbagliare, ma indubbiamente questa è una cosa che ci rende molto diversi. E' positivo che questa band abbia avuto due cantanti differenti come stile e impostazione, che comunque hanno entrambi arricchito la sua proposta musicale.
Ma non ti intimorisce il fatto che spesso e volentieri un fan identifica il gruppo nella figura del cantante?
(Fabio): Anche se ci sono molti fan che hanno conosciuto la band con “Stream...” uno degli apici di questa band, se parliamo di vendite il disco che ha venduto di più è stato il primo, non c'è paragone.
Stream è stato indubbiamente un grande album e Michele ha dato proprio un grosso contributo alla sua riuscita. Ci sarebbe da dire, come ho accennato all'inizio, che in quelle canzoni c'è molto di mio, ma non sono uno che ci tiene a rimarcarlo polemicamente: lasciamo perdere e diciamo chiaramente che ci ho lavorato un anno e mezzo per niente e lasciamo pure dire a qualcuno che è tutto suo, va bene così, non c'è problema!
Ripeto: Michele ha dato molto a questa band, è un cantante molto valido, un esecutore molto valido, non a caso milita anche in una band che fa cover (i Mr. Pig NDA). Io ho sempre interpretato il canto dal punto di vista dell'interpretazione, in questo senso sono diverso da lui; bisogna comunque dargli atto perchè è uno dei pochissimi cantanti in Italia che ha saputo portare il metal di casa nostra ad un ottimo livello. E' del resto la stessa cosa che ho sempre fatto io: che siano stati i Labyrinth, gli Athena, i Rhapsody o i Vision Divine, nel mio piccolo ho sempre cercato di far dire qualcosa all'Italia, che non è certo una nazione che eccelle nel metal. Sono dunque molto contento che uno come lui abbia saputo dare qualcosa alla band e al nostro paese. Ci sono molti gruppi in Italia che sono validi, ma che non hanno quella scintilla in più che possa fargli emergere. Ai Vision questo non è successo: Michele li ha saputi portare al successo e questo non può che farmi contento. Sarebbe stato molto più triste per me lasciare una band ad un cantante valido, che però non fosse riuscito a dare un valore aggiunto a questa band. Adesso ci siamo rimessi insieme e speriamo che l'album che abbiamo fatto venga riconosciuto come la prosecuzione di un cammino. D'altronde noi non abbiamo mai voluto fare dei copia e incolla dai dischi precedenti...
Il tuo ritorno in pianta stabile nei Vision Divine dipende dalla situazione di stallo nella quale si trovano al momento i Rhapsody?
No, questa band è nata con me e Olaf per cui ci sarei comunque entrato...
E non avrai problemi a gestire due gruppi, una volta che i Rhapsody torneranno in attività?
No, farò come ho sempre fatto dal 1998 al 2003, senza nessuna difficoltà. Ho lasciato questa band nel 2003, quando suonammo all'Heineken Jammin' Festival con gli Iron Maiden, dopo aver discusso per due ore al cellulare con Joey De Maio perchè non voleva che salissi sul palco...
Cambiamo argomento: cosa mi puoi dire del processo di lavorazione del disco?
E' stato molto diverso dagli altri. Abbiamo scelto un metodo diverso, abbiamo registrato la batteria mentre tutti suonavamo insieme. E' stata una cosa molto live, suggerita da Timo Tollki, e trovo che abbia dato a tutto il disco un feeling maggiore, molto più spontaneo. In generale, anche per quanto riguarda i suoni, abbiamo voluto fare una cosa diversa, sperimentare un po' nuove soluzioni. Io ho cantato praticamente tutto il disco alla prima take, e anche batteria e basso hanno molto più groove. Si sente che il gruppo è lo stesso, ma ad uno stadio diverso della sua evoluzione.
Tra l'altro, ascoltando il disco, non può non colpire la varietà della tua interpretazione. In particolare, su “The killing speed of time”, la tua voce sembra quasi irriconoscibile, al limite del growl...
Già. Avevo già provato cose di questo tipo coi Rhapsody, ma questa è la prima volta che registro alla prima. Infatti Tollki era già soddisfatto alla prima volta, io avrei voluto rifarla ma lui è stato irremovibile: “Is there”, mi ha detto: “E' lì, va bene, non la senti?”. E io: “Almeno fammela ascoltare!” (ride) Coi Rhapsody ero stato io a proporre certe soluzioni, e loro all'inizio erano molto restii, soprattutto Staropoli, perchè lui è sempre stato un cultore della voce pulita. Ci ho messo un po' a convincerli, ma poi la cosa è piaciuta. Trovo che il fatto di provare cose di questo tipo sia molto importante per un gruppo: vedi, soprattutto all'estero, i cantanti vengono etichettati in base al genere, alla tipologia di voce. Si dice ad esempio: “Questo è un cantante power metal”. Ma che cosa vuol dire? Che non sai cantare basso? Che non sai cantare medio? Che non sai cantare sporco? Che non sai cantare hard rock? In pratica sei una gallina! Invece se sei un cantante sei un cantante: io definisco un cantante come una persona che comunica parole, emozioni, attraverso la musica. Che poi lo faccia cantando alto, sporco o pulito, questo non ha nessuna importanza. E' come se uno che suona la chitarra facesse solo sweep! Per essere considerato un bravo chitarrista devi essere in possesso di tutte le tecniche. Nel caso di “The killing speed of time”, Olaf mi ha proposto questo riff molto veloce, e io dopo averci lavorato su, mi sono reso conto che l'unico modo di affrontarlo era cantarci sopra una melodia di questo tipo. Per me funziona così, cerco di volta in volta di adattare lo stile di canto che più si addice ai pezzi che mi vengono proposti. Spero, in definitiva, che questa canzone sia venuta bene e che grazie ad essa tutte le persone che mi hanno sempre apprezzato come cantante “pulito”, possano interessarsi anche a questa mia ulteriore sfaccettatura.
Effettivamente bisogna dire che la tua prova su questo album risulta ottima, soprattutto se paragonata alle ultime cose dei Rhapsody che, in molti frangenti, mi sono apparse parecchio ripetitive. Qui le linee vocali sono molto più varie e interessanti...
Devi considerare che nei Rhapsody la stragrande maggioranza delle cose sono composte da Turilli e Staropoli, linee vocali comprese, soprattutto i ritornelli. Anche se io ho una libertà di cambiare alcune delle cose apportate da loro, ci sono dei limiti maggiori, hai dei paletti all'interno di cui ti devi muovere. Quando questi paletti non ci sono, sono libero di fare come più mi piace. Questo accade in particolare con Olaf, dato che ci conosciamo da tanti anni. Spesso e volentieri succede che lui compone qualcosa avendo già in mente la mia voce e sa che io sono in grado di percepire quello che lui compone e adeguarmi di conseguenza. E' la stessa cosa che mi ha detto anche Tollki: mi faceva sempre cantare la prima proprio perchè si era accorto che io “sentivo” la musica e che grazie a questo ero in possesso di un modo molto versatile di cantare, ragion per cui lui si fidava di me, perchè sapeva che qualunque cosa avessi fatto, sarebbe andata bene. E questo, sempre secondo le sue parole, è una cosa che non gli era mai capitata di incontrare in altri cantanti. Lui mi diceva che ha collaborato con cantanti anche molto validi, ma che non si discostavano mai da un certo stile. In pratica, facevano sempre le stesse cose
(Stava forse pensando a Timo Kotipelto? Ma nooo! Perchè bisogna essere così cattivi? NDA)Devo dire che non è facile lavorare con Tollki, soprattutto se sei uno puntiglioso. A lui piace molto cogliere il momento, per cui è spesso istintivo, sente la sensazione, percepisce il groove che stai dando alla canzone, anche nelle sfumature più piccole; questo è senza dubbio positivo, anche se devo ammettere che non è sempre facile, perché a volte vorresti cantare la stessa parte più di una volta, lavorarci su con calma...
In defintiva, sono molto contento della mia prova su questo disco, ma non credo di aver dato tutto il possibile. Non mi sono mai ritenuto il miglior cantante di questo pianeta, non me la sono mai tirata, non voglio raggiungere un'estensione pazzesca. L'unica cosa che mi interessa è trasmettere emozioni, fare cose diverse con la mia voce, sperimentare nuove soluzioni, ecc. Una cosa che purtroppo non riesco a riscontrare nei cantanti che sento in giro: bravissimi, per carità, ma che cantino un pezzo veloce o uno lento sono sempre uguali... ma come fanno a non accorgersene?
La cover di “A touch of evil” è abbastanza recente rispetto ai brani più storicamente legati agli anni '80 e in questo senso vi siete un po' discostati dai cliché. Eppure... da un gruppo come il vostro mi sarei aspettato una rilettura di un pezzo preso dalla tradizione pop o dance, e non uno così classicamente legato al metal...
Questa canzone ci piace moltissimo, a prescindere. L'avevamo suonata in precedenza dal vivo, e ci è sempre venuta bene. Sono poi personalmente legato a Rob, che per pochissimo ha mancato la partecipazione al disco. A marzo li andrò a vedere, anche perchè mi ha chiesto di sentire la nostra cover, per cui passerò a salutarlo. Tra l'altro mi ha dato una grossa mano con la questione della Magic Circle...
E' un pezzo molto particolare, è il mio preferito da “Painkiller”, per cui per una volta ci siamo detti che non avremmo registrato la cover pop. C'è da dire che Tollki non la voleva, pensava non c'entrasse col resto del disco, ma alla fine gli abbiamo detto che il disco era nostro e lui ha dovuto cedere (ride)!
(A questo punto compare anche Olaf, che era impegnato a rispondere alle domande di un collega. Fabio ne approfitta per riposarsi, e da questo momento interverrà solamente una volta, dopodiché andrà a concedere un'altra intervista nel tavolo a fianco NDA) Un'altra cosa che mi ha sorpreso è che quando vi ho visto quest'estate al Rockin' Field a Milano, avete suonato anche molti pezzi dell'era Luppi: mi sarei aspettato che per l'occasione sareste stati maggiormente sulle cose registrate da te...
(Olaf): Abbiamo fatto quattro concerti prima dell'uscita del disco e abbiamo cercato di prendere canzoni da ogni album nella stessa percentuale. E' stata una scelta consapevole: per noi tutti i dischi sono importanti e quindi li trattiamo alla stessa maniera...
E questa mi sembra una cosa positiva anche nei confronti del nuovo lavoro: il come back di Fabio non ha coinciso con un ritorno al power metal, come magari molti fan di vecchia data avrebbero pensato o desiderato...
(Olaf): Il fan che si aspetta il classico album power speed rimarrà spiazzato. E' un disco personale, che continua il cammino di una band in continua evoluzone. Certo, è facile per i giornalisti definirci un gruppo power metal, ma non è così! Non è proprio la stessa cosa sentire un nostro cd e uno degli Edguy...
Che peraltro non fanno più power neanche loro...
E infatti! Perchè è difficile definire che cosa sia veramente “power”! Ho ascoltato l'ultimo dei Primal Fear: anche lì, non è proprio così scontato nelle sue sonorità...
Ma non potrebbe alla lunga risultare rischioso, questo continuo processo di evoluzione? Voglio dire, i Labyrinth sono praticamente spariti perché nessuno è riuscito ad apprezzare quello che hanno voluto proporre dopo “Return to heaven denied”...
(Olaf): Non saprei: se parli ai Judas Priest, loro ti diranno che la gente da loro continua ad aspettarsi “Painkiller”, eppure dal 1974 ad oggi hanno fatto 15 dischi uno diverso dall'altro! Fa parte dei rischi di essere artista. Io faccio cinque o sei prodotti, ed è normale che poi la gente ne scelga uno in particolare, lo elegga a suo favorito, e si aspetti che tutti quelli che vengano dopo ne ricalchino gli stilemi. Di per sé non è negativo. Quello che è negativo è come l'artista lo vive. I dischi dei Vision Divine sono tutti diversi uno dall'altro, per cui è più che normale che ogni fan abbia il suo preferito. Allo stesso tempo però ho il diritto, da musicista, di continuare a fare la mia musica. E' un po' un terno al lotto, non c'è una formula precisa per avere sempre successo, altrimenti saremmo tutti milionari! Io probabilmente ho avuto la fortuna di creare negli anni un nucleo di persone che ci segue e che lo fa proprio perché ogni disco è diverso dall'altro. Poi, è normale che quando cambi cantante l'attenzione si sposti anche su altre cose. Però devo dire che questo disco è esattamente come sarebbe stato se ci avesse cantato sopra Michele, né più né meno. Se anche non avessimo cambiato cantante ci saremmo evoluti comunque. Certo, se cambi i musicisti le cose sono anche più facili perché ogni musicista nuovo porta sempre delle cose in più. Nel nostro caso, quello che stupirà la gente è il fatto che Fabio, pur essendo già stato nella band, fa cose diversissime rispetto ai primi anni in cui era con noi. Le impressioni per adesso sono positive, per cui vuol dire che alla lunga la cosa ha pagato...
(Fabio): credo che sia molto difficile per una band fare delle cose vincenti e nello stesso tempo mettersi in discussione. E' più facile delle cose vincenti mantenendo sempre la stessa formula, facendo l'unica cosa che sai fare e che il pubblico si aspetta da te. Il difficile è fare il contrario: fare dischi sempre diversi cercando di mantenere alta la qualità. In poche parole, cambiare lo stile e rimanere vincente. Fare gli album in fotocopia è semplice, però anche questo è rischioso, alla lunga potrebbe stancare sia te che gli ascoltatori.
(Olaf): E' indubbio che gli ultimi dischi sono stati tutto un crescendo di consensi. Ogni volta però questo pone un problema al nostro interno: “E adesso che si fa?”. Io avrei anche potuto decidere di fermarmi, di dire “Ok, questo alla gente piace, lo copio.” Però questo sarebbe stato molto pericoloso, perché evolvendosi continuamente la gente si aspetta sempre qualcosa in più ad ogni disco. Se io però non cambio e a un certo punto, come è successo a noi ora, cambio cantante, la gente poi si concentra solo sulla voce nuova e quindi inizia a fare confronti: “Era meglio il cantante vecchio o quello nuovo?” Oppure “Erano più ispirati i brani vecchi o quelli nuovi?”. E' una cosa più che evidente: se io faccio due bicchieri identici, la gente può dire quale dei due preferisce; se io continuo a fare una serie di bicchieri di qualità, ma completamente diversi l'uno dall'altro, che confronto puoi fare? Sono diversi e basta! Poi uno può avere i suoi dischi, ma i paragoni inutili sarebbero assolutamente banditi. Poi è ovvio che anche noi abbiamo il nostro marchio di fabbrica, ci mancherebbe. E' solo che ogni volta ci piace rimescolare le carte in tavola in modo da poter stupire chi ci ascolta.
Ci sono invece gruppi come gli Ac/Dc che devono fare sempre le stesse cose, ma è giusto così, parliamo di band da milioni di copie, è tutto un altro contesto, noi qui se ogni anno non si inventa qualcosa non si arriva alla fine del mese (ride NDA)!
Che mi dici invece dei testi? “9 Degrees West of the moon” è un titolo curioso..
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(Olaf): Ti dico subito che non è un concept. Nei dischi precedenti abbiamo sviluppato una trilogia, e lo abbiamo fatto consapevolmente. “Stream...” parlava di cosa c'è dopo la morte. “The perfect machine cercava di rispondere alla domanda: “E se non muoio?” “The 25th hour” affrontava invece il tema della reincarnazione. Questi soggetti erano collegati tra loro, pur senza essere una saga (solo tra il primo e il terzo c'era un legame diretto). Adesso, anche per il discorso che ti facevo prima, fare un altro concept non avrebbe avuto senso.
Questi testi trattano di un dialogo tra un padre e un figlio che non è mai nato: “9 gradi ad ovest della luna” è infatti il punto in cui il padre rivolge lo sguardo quando ha questi dialoghi immaginari col bambino. Quindi in un certo senso prosegue il discorso di una band che sin dalle sue origini ha affrontato tematiche di un certo livello. Ora, io non mi sento né un poeta né un filosofo, ma semplicemente uno che non riesce a scrivere di sesso, droga e rock 'n roll! Non riesco a scrivere di cose che non mi coinvolgono, ho bisogno di affrontare temi abbastanza seri; forse dipende dall'età che ho, ma non credo, visto che dieci anni fa era la stessa cosa! In questo caso anche il cantato di Fabio è molto influenzato dai testi: se io canto “Che bello, stasera mi trombo una figa bionda occhi azzurri” (ride), l'interpretazione sarà di un certo tipo, mentre se dico “Mi è morto il figlio e non lo vedrò mai”, io mi aspetto che il cantante la faccia diversa. Il motivo per cui Fabio in questo disco suona così diverso è perché i testi parlano di cose diverse. E' questo che apprezzo di più in lui: che prima ancora che “Come devo cantare?”, lui mi chiedeva “Che cosa devo dire?”.
Discorso live? Ho notato che non ci sono ancora date ufficiali sul vostro sito...
(Olaf): Posso già darti qualche anteprima. Dovremmo cominciare il 14 febbraio a Roma. Non è un caso che la presentazione del disco la facciamo qui e il primo concerto a Roma: è un po' un modo simbolico di coprire tutta l'Italia. D'altronde, dati alla mano i Vision Divine sono la band che in assoluto ha coperto di più il territorio italiano. Siamo anche la band che ha suonato di più al sud, e per questo motivo abbiamo scelto un discorso di questo tipo. Anche perché l'anno scorso a Roma c'era più gente fuori che dentro il locale, per cui è anche una scelta consapevole. Da Firenze in giù di solito si suona poco, ed era dunque nostra intenzione valorizzare una città e una zona dell'Italia che a noi ha sempre dato molto. Poi ti posso già annunciare che suoneremo delle date in alcuni festival in Spagna e in Inghilterra. Devo dire che ancora prima che esca l'album notiamo un grande interesse dietro la band, e vogliamo fare le mosse giuste per gestirlo al meglio.
Come vedi tutto questo insistere sul “metal italiano”? Non sarebbe ora di darci un taglio?
(Olaf): Il problema dell'Italia è che ci sono più musicisti che ascoltatori! E questa è una cosa che si vede soprattutto su internet: se io vado ad un concerto, e questo mi piace, vado sul sito della band e glielo scrivo. Se io suono la chitarra, non sono soddisfatto di me stesso, oppure credo che il mio successo dipenda dall'insuccesso di qualcun altro, userò i forum a disposizione per fare critiche. Ma mettiamo insieme tutte queste persone: scommettiamo che non arriviamo a più di 30? Allora, è giusto utilizzare internet, forum, siti per avere il polso della situazione, ma non bisogna neppure farsi influenzare troppo da quello che dicono gli altri. Il metal italiano esiste ormai solo nella testa di poche persone bacate! Se io vado in Inghilterra a suonare, io sono i Vision Divine, non “una band italiana”! Poi è ovvio che sono italiano, e allora? I Gamma Ray sono tedeschi, e allora? Gli Angra sono brasiliani, ma non mi sembra che qualcuno glielo rinfacci! 15 anni fa il Brasile non esisteva, poi sono arrivati i Ratos de Porao, i Sepultura, gli Angra... per l'Italia lo stesso: abbiamo avuto Vision Divine, Rhapsdoy, Labyrinth, Lacuna Coil, Domine... ah ma sono italiani! E tu chi cazzo sei? Prendi la chitarra e suona, invece di criticare...
Noi ce l'abbiamo sempre avuta questa abitudine di autofrustrarci...
E' come se uno dicesse: “Ce l'hanno tutti con me perchè sono negro”. Ma se tu ti chiami negro da solo vuol dire che sei tu ad avere qualche problema, o sbaglio? Io non mi vergogno ad essere italiano! E secondo me a volte sono anche i giornalisti, in buona fede per carità, che quando una band è italiana tendono a parlarne bene per proteggerla... invece dovresti lodarla o criticarla per la sua musica, non per la sua origine! Il metal è fatto da band di tutte le nazionalità, ognuna dà ad esse un modo diverso, una sfumatura particolare, possibile che non ci possiamo stare anche noi? Che cosa c'è di strano nel fatto che anche in Italia non si possa fare musica? Se evidenzi l'italianità vuol dire che sottintendi che c'è qualcosa di male!
E' ora di piantarla con tutte queste etichette: io capisco che fan e giornalisti ne abbiano bisogno per orientarsi, ma in realtà queste lasciano il tempo che trovano. Quando abbiamo iniziato non sapevamo bene che cosa stavamo facendo, non ci siamo mai seduti a tavolino a dire: adesso facciamo Power metal... ce l'ha detto qualche giornalista quando ci ha sentito... io ho sempre pensato solo alla mia musica. Chiaro che tutti abbiamo le nostre influenze, ma io penso a fare la mia musica, non mi interessa di come venga chiamata! Per dire, adesso con questo disco tutti dicono che non facciamo più “power metal”: io sinceramente non ci capisco più niente! Noi facciamo heavy metal, punto e basta! Questo è forse il difetto peggiore che abbiamo in Italia: ghettizzare. Quando vai in Germania ti trattano come una band heavy metal, senza badare al sottogenere e a queste cose qui...
Che dire? Non poteva dirlo in modo migliore! Non resta che darvi appuntamento a febbraio! Fortunati i fan di Roma che se li godranno in anteprima...