I Dark Lunacy sono una bella realtà del panorama death tricolore; insieme con Mike, voce della band abbiamo parlato un po’ del loro nuovo “Forget Me Not” e dei programmi futuri del quartetto parmense…
Ciao Mike, qui Marco di EUTK, iniziamo subito parlando un po’ del vostro nuovo album.
Ok, iniziamo! Allora, “forget Me Not” rappresenta l’approdo del gruppo ad un nuovo viaggio; con la differenza rispetto al primo album che, mentre quello rappresentava l’insieme di molti anni di composizioni e di cambiamenti, questo è invece il frutto di poco più di un anno…è tutto molto più amalgamato, sia dal punto di vista musicale che lirico. Sono 10 poesie che si rifanno tutte al “forget me not”…so che in inglese è scorretto ma io ho voluto proprio prendere spunto dal fiore…il non ti scordar di me. Ho voluto usare questa immagine per rendere l’idea della mie indole, che è naturalmente malinconica: una cosa che mi rattrista molto è l’idea che le cose si dimentichino man mano che passa il tempo, e io ho urlato tutto il mio disappunto contro questa cosa.
Che ne dici di farci un’analisi di qualche pezzo, magari di quelli che senti più “tuoi”?
In assoluto quello che sento di più è “My Dying Pathway”, perché l’ho scritta senza pensarci: è uscito tutto al primo colpo e alla fine mi sono stupito di aver fatto una cosa del genere: non hai certezze, non hai speranze e cammini lungo dei sentieri morti, che nemmeno sai se ti porteranno da qualche parte oppure no. Il pezzo invece più atipico è “Fiamm”: è l’unico pezzo che non prende spunto da una mia riflessione; si tratta invece della rivisitazione della famosissima fiaba della piccola fiammiferaia: questa povera bambina sta morendo al freddo sotto la neve e accende tre fiammiferi: ogni fiammifero è un’immagine del suo passato…e le ombre che vengono proprio dal passato la vengono a prendere e la portano in un posto diverso…la morte alla fine è un crocevia fra passato e futuro. Anche “Serenity” è a suo modo particolare, perché è un vecchio pezzo scritto molto tempo fa, che mi emoziona ancora adesso!
Avete firmato un contratto con la Metal Blade, fatto che, per un gruppo italiano è davvero notevole, come è stato passare da una piccola label ad una etichetta così importante?
Guarda, non sono tutte rose e fiori! Il nostro primo disco uscì sotto Fuel, e dopo che le vendite iniziarono ad andare bene la metal blade decise di mettere il suo marchio sul prodotto. Il problema è però che se la Metal Blade ti considera un gruppo di seconda fila non hai tutta questa promozione e fai così pochi concerti che li puoi contare sulle dita di una mano…è meglio essere il primo o il secondo pilota della Minardi piuttosto che il terzo della Ferrari, no? Per lo meno se corri in Minardi puoi disputare tutte le gare! (metafora geniale! NdMagò). E’ per questo che abbiamo deciso di staccarci dalla Metal Blade, a meno che non ci proponga qualcosa di interessante.
A tuo parere, quali sono le differenze principali fra il vostro disco d’esordio e “Forget Me Not”?
Beh, prima di tutto l’esperienza: abbiamo fatto molti errori da cui abbiamo imparato molto! Parlando delle differenze fra i due dischi invece, la prima cosa che salta all’occhio è l’assenza dei cori che erano così presenti sul precedente…li abbiamo eliminati abbiamo messo bene in evidenza il quartetto d’archi che ci accompagna lungo tutto il disco, dato che volevamo evitare l’etichetta di “gruppo con i cori e i violini”. I suoni di “Forget Me Not” sono inoltre molto più presenti e ben fatti rispetto al passato.
Sempre a proposito di produzione; dove avete registrato, e quanto tempo avete speso per tutto il processo?
Vedi, volevamo proporre un disco di circa 70 minuti, con canzoni anche molto complesse e articolate, e quindi impegnative da registrare: andare in uno studio con il costante assillo dell’orologio non ci sembrava proprio l’idea migliore, così con l’appoggio del nostro produttore abbiamo costruito uno studio in casa…e devo dire che è stata proprio una grandissima idea: se sei stanco e stai registrando in uno studio “vero” devi continuare, magari correndo il rischio di fare le cose non al top della forma…invece se sei a casa tua puoi semplicemente dire “ok, ragazzi, riprendiamo domani, non ce la faccio più!”, inoltre il non avere il costante assillo del tempo che passa e del costo che lievita ogni secondo di più è una cosa che ti fa lavorare con uno stato d’animo molto più rilassato, il che si traduce in un lavoro migliore. L’altro lato della medaglia è che, però, i tempi si allungano un poco, nella fattispecie noi abbiamo impiegato circa 6 mesi per la produzione.
Ora una domanda personale: parlami un po’ del tuo background musicale: quali sono i tuoi gruppi preferiti, e quelli con cui hai cominciato ad “addentrarti” in questo genere?
Io all’inizio ero patito di molti gruppi di scuola tedesca come Rage, Blind Guardian, Helloween, poi un bel giorno ho scoperto i Therion, che mi hanno aperto le porte alla scuola svedese: mi piacciono molto anche gli In Flames…e direi che tutti questi elementi power, gothic, black, death e anche classici si fondano perfettamente fra loro a formare il nostro sound.
Domanda stupida: che cosa vogliono dire i vostri pseudonimi e perché avete scelto di usarli?
Ahaha…aspettavo questa domanda! Abbiamo scelto di usarli quasi per gioco e per darci un tocco di internazionalità! Baijkal è un amante della cultura russa e ha preso il suo nome da un lago della Russia che è circondato da un alone di leggende. Imer è il vero nome del nostro bassista: credo sia un nome russo, e in effetti sta molto all’interno della band. Enomys è “Simone” letto al contrario e Mike non è nient’altro che il diminutivo di Michele!
Progetti per il futuro? Raccontaci cosa avete in testa per i vostri fans.
Allora, ad agosto partiremo per un tour in Messico e nell’America del Sud per promuovere il nuovo album…inutile dire quanto questa cosa sia importante per noi! Dopo qualche settimana di vacanza (meritata!) programmeremo una serie di date fino a gennaio-febbraio, dopo quel punto vedremo se iniziare a scrivere qualcosa per un ipotetico terzo cd o se continuare con i live shows.
Beh, Michele, siamo alla fine, grazie per l’intervista!
Grazie a te Marco, un saluto a tutta la redazione e a tutti i lettori di EUTK!
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