L'appuntamento milanese con Steven Wilson, in occasione della presentazione di una delle sue innumerevoli release è ormai una piacevole costante, resa possibile in maniera impeccabile dalla A Buzz Supreme.
In un elegante hotel, Steven - cortese e disponibile come suo solito - si sottopone alle domande degli "addetti ai lavori". A Grace for Drowning è il titolo della sua nuova, titanica impresa solista e questa è la storia della sua genesi.
Grace for Drowning è il tuo progetto finora più ambizioso, quando hai iniziato a svilupparlo e che tipo di evoluzione c’è stata da Insurgentes?
La radice di questo album è per me molto diversa da quella di Insurgentes, perché quello è stato un disco molto influenzato dal tipo di musica che si stava sviluppando attorno a me durante la mia adolescenza, ovvero negli anni Ottanta. Per cui Insurgentes è stato ispirato da gruppi come i Joy Division, Cure, Cocteau Twins, My Bloody Valentine, il tutto naturalmente filtrato attraverso la mia “mentalità progressive”; per quello penso che l’album avesse un taglio più alternativo. Questo disco invece è ispirato dalla musica che sono andato a riscoprire, quella di quando ero un ragazzino, sul finire degli anni Sessanta e primi Settanta, che poi sono i miei decenni preferiti in termini musicali; quindi le sonorità di Grace for Drowning provengono dal momento in cui la musica pop ha iniziato a mutare e a mescolarsi con il jazz e la classica, per creare il genere ormai noto come progressive rock. Questo è un aspetto molto importante perché finché non si è verificato, la musica è stata sempre radicata nel blues e nel R&B; quello che accade con la musica jazz, in particolare quando inizia a diventare parte del rock e del pop, è che i musicisti si liberano dello schema “canzone da tre minuti”, e iniziano ad aspirare a una qualità più alta e a una maggiore dimestichezza con il proprio strumento; alla fine la musica assume una connotazione più spirituale. Tutto questo mi ha colpito durante il mio lavoro di remix dei dischi dei King Crimson, perché ero talmente immerso in quei dischi, così assorbito dalle loro sonorità che la testa mi si è riempita della musica di quel periodo, e quindi nel momento in cui mi sono messo a registrare l’album, quello era esattamente il contesto musicale nel quale mi trovavo. Ecco dunque spiegata la differenza tra Grace for Drowning e Insurgentes: si tratta sostanzialmente di due epoche musicali diverse.
Inoltre, un’altra cosa per me importante riguardo a questo disco, della quale non mi sono subito reso conto, è l’importanza che il jazz aveva in passato, e il modo in cui a partire dagli anni Ottanta sia stato quasi cancellato dall’equazione. Se si guarda alle forme più note di musica progressive a partire dagli anni Ottanta, si avrà la musica neo-progressive, il metal prog… non c’è traccia di jazz in nessuna di queste. È come se fosse la parte dimenticata di ciò che rendeva speciali i primi gruppi progressive. Quindi in un certo senso, volevo riprendere quell’aspetto jazz dimenticato.
E ci sei perfettamente riuscito.
Lo spero. È un disco progressive, ma si tratta di un progressive rock che ha riabbracciato il jazz in quanto parte fondamentale dell’insieme; e penso che la combinazione di musica rock e jazz sia bellissima, adoro le sonorità dei miei tempi.
Praticamente fluttua tra il jazz e il prog, non ci sono dei pezzi propriamente orecchiabili. E penso che i fan della musica metal, stile Opeth, rimarranno shockati!
Beh anche gli Opeth hanno fatto un disco così, quindi i loro fan rimarranno sorpresi. È buffo perché sia io che Mikael siamo arrivati alla stessa conclusione; lui ha appena fatto un disco che volta totalmente le spalle alla musica metal, non credo che i fan si rendano conto di quanto si sia distaccato dal quel genere, ma d’altra parte lo dice lui stesso da qualche tempo. Non credo che i fan lo abbiano accettato, ma saranno costretti a farlo quando ascolteranno il disco. Abbiamo entrambi utilizzato la stessa ‘tavolozza sonora’, che attinge più alle tastiere che alle chitarre, in un certo senso; pianoforte, piano elettrico, hammond, organo, mellotron,
legni, clarinetti, sassofoni, flauti, in pratica la sensibilità jazz… c’è tutto questo anche nel nuovo disco degli Opeth. Per cui non sono il solo, credo ci sia la voglia di tornare a quegli anni d’oro della musica
Quando ho saputo che l’album sarebbe stato un doppio, o meglio, due dischi in uno, ho pensato a Ummagumma, che magari non è il paragone più adatto; però anche questo disco è un viaggio sonoro, in particolare con pezzi come la suite Raider II e i vari brani strumentali. Tu come la vedi?
Penso che tutti i miei dischi abbiano una cosa in comune, ovvero sono concepiti per essere un viaggio in musica, una linea temporale musicale, un’esperienza musicale. Non sono il tipo di persona che mette insieme dieci pezzi, penso sempre a come possono scorrere, al fluire dell’intero lavoro e l’impatto che i singoli brani possono avere una volta messi uno di seguito all’altro sull’album. Per cui non metti una ballad accanto ad un’altra ballad, ma questi semplici concetti, quasi ovvi, non sembrano più preoccupare la maggior parte della gente. Ed è per questo motivo che non trovo interessante la maggior parte della musica contemporanea, non offre questa sensazione di viaggio che avevano i grandi album degli anni Settanta. Quindi alla fine mi sono trovato con oltre 85 minuti di musica, quasi due ore di fatto, e parte di questo materiale sarà solo sulla special edition. Ma gli 85 minuti di musica che ho scelto per l’edizione normale di Grace for Drowning non volevo presentarli su un unico CD di lunga durata, penso che sarebbe stato troppo stancante. Per cui ho deciso di fare due CD di circa 40 minuti l’uno, perché credo fermamente che quella sia la durata ideale di un disco. Secondo me questo è anche il motivo per cui tanti album classici risalgono al periodo del vinile e non a quello del CD. Credo sia perché la soglia di attenzione della maggior parte delle persone sia di circa 40 minuti, anche se quando si tratta della musica più bella mai sentita, dopo 40 minuti si inizia a perdere la concentrazione. E in particolar modo, se la musica è abbastanza intensa, se non è musica semplice, richiede dell’impegno. Quindi sarebbe stato troppo chiedere a chiunque di mettersi ad ascoltare il mio disco per 80 minuti di fila, motivo per cui mi è venuta l’idea dei due album separati. In pratica sto dicendo alla gente: “Non ascoltateli entrambi di seguito, perché è veramente troppo”. C’è troppo materiale!
Il tuo lavoro di remix degli album dei King Crimson ha influenzato questo album...
Sì.
Sei stato anche ispirato da altre espressioni artistiche, come dei film o libri...?
Sì, per me il cinema è stato sempre stato tanto importante quanto la musica in termini di ispirazione, perché quando compongo penso sempre a delle immagini da associare alla musica. Ed è per questo che tanti pezzi finiscono con l’essere trasformati in film da Lasse Hoile, infatti appena finisco di scrivere un nuovo brano lo mando a Lasse e gli dico “ecco una nuova canzone, che tipo di immagini ti fa venire in mente?” e da lì iniziamo a confrontare le nostre idee tra suoni e musica… Voglio dire, per molte la mia musica è sempre stata associata al cinema, mi è stato detto spesso che sarebbe adatta per una colonna sonora, e sono d’accordo, ma sfortunatamente non mi è mai stato chiesto…
Beh, hai fatto il documentario di Insurgentes.
Sì, a parte quello. Ma voglio dire, mi piacerebbe fare la colonna sonora di un film di un grande registra e purtroppo non è ancora capitato, ma ho sempre pensato ai miei dischi come a dei film. Le canzoni sono come delle scene. Molta gente scrive musica buttando giù una canzone, poi un’altra che è praticamente una variazione della prima e poi ancora una che richiama le prime due e così mettono insieme un disco. Per quello sarebbe come un film in cui i protagonisti hanno sempre le stesse emozioni, tipo sono felici per tutta la durata del film, e non è molto interessante, no? Non è drammatico. Un grande film è fatto di contrasti tra le scene, in un dato momento i protagonisti sono felici, poi succede qualcosa di tragico e si sentono molto tristi e poi si arrabbiano e così via… questo è il modo in cui concepisco la musica ed il modo in cui sono strutturati i miei dischi. C’è della tristezza, seguita dalla depressione, dalla rabbia… ma d’altra parte la vita è così! Non abbiamo sempre lo stesso umore. È per questo che tanta musica moderna mi annoia, perché sembra trasmettere sempre un’unica emozione.
Prima ci hai parlato della decisione di fare due dischi separati. "Deform to from a Star" e "Like Dust I have Cleared from my eye" invece di un unico, lungo album, c’è però un concept che li collega o si tratta proprio di due entità separate?
No, non proprio. Intendi dal punto di vista dei testi?
Sì, anche…
No. La storia è nella musica, nel modo in cui fluisce. I testi sono… parlano di cose di cui ho già scritto in passato, tipo… i serial killer, la rottura di una relazione, e c’è un brano sulla depressione, "Remainder the Black Dog", insomma tutte tematiche che ho già trattato.
Quindi non c’è un vero filo conduttore…
Non da un punto di vista narrativo. Penso che questo album sia totalmente incentrato sulla musica, per quanto mi riguarda. Ho lavorato duramente sui testi, non sto dicendo di non esserne fiero, perché lo sono, ma questa volta non ho cercato di dare una tematica al disco.
In ogni caso sembra esserci molta più musica, rispetto alle parole!
Sì infatti, è prevalentemente un lavoro strumentale.
Hai coinvolto alcuni ospiti davvero interessanti, come Nic France, Steve Hackett, Robert Fripp… ci sono tutti?
Beh, posso darvi la formazione completa: i batteristi sono Nic France and Pat Mastellotto, i bassisti sono Tony Levin, Trey Gunn e Nick Beggs, i chitarristi siamo io, Steve Hackett, un tipo di nome Mike Outran che ha anche suonato la chitarra in stile jazz. Forse c’è anche Robert Fripp, non ve lo dico (ride), forse ha partecipato, o forse no.
I tastieristi siamo io e Jordan Rudess, che fa tutte le cose complicate al pianoforte, e Theo Travis ai flauti, sassofoni e ai legni.
Sono stati dei semplici session o li hai coinvolti nella stesura dei pezzi?
Entrambe le cose. Non avrei mai usato dei musicisti senza idee proprie e naturalmente il nocciolo della questione era quello di ricreare l’atmosfera jazz nella quale i musicisti trasmettono spontaneamente i loro sentimenti e le loro emozioni; quello era il mio obiettivo. Poi successivamente editavo le mie parti preferite, ma non troppo, perché non volevo che fosse perfetto.. volevo lasciare qualche imprecisione – no imprecisioni, è la parola sbagliata, perché non avrei lasciato nulla che non mi avesse pienamente soddisfatto, ma non volevo che suonasse troppo pulito e perfetto. Sul disco c’è un pezzo intitolato "Deform to Form a Star", e l’idea dietro quel titolo è che la perfezione è di fatto noiosa, e tanta musica moderna è talmente perfetta, è perfettamente intonata, perfettamente ritmata, tutto è editato alla perfezione, ma alla fine non rimane niente, non c’è più musica. E l’idea è che per rendere speciale qualcosa, questa deve avere qualche piccolo difetto. È come per le super modelle: non sono poi tanto sexy, sono troppo perfette. Una donna senza qualche difetto non è attraente. Penso che questa idea possa essere applicata a qualsiasi cosa, e in particolare alla musica. Pensate ai dischi dei Beatles, sono stonati, fuori tempo, il batterista accelera, rallenta, il pianoforte non è accordato con la chitarra… ma sono dei dischi fantastici, perché sono veri. Penso di aver cercato di ritrovare quegli aspetti, con questo disco.
Ci sarà anche un’edizione Deluxe di Grace for Drowning così come per Insurgentes? Che tipo di release possiamo aspettarci?
Oh sì. Ci sarà un CD bonus, un blue-ray, e lo stesso formato libro che abbiamo fatto per Insurgentes e The Incident, questa volta sarà di colore blu.
Il prossimo album dei PT sarà in qualche modo influenzato da questo tuo nuovo capolavoro?
Non lo so, ma so per certo che il prossimo disco dei PT sarà diverso dagli ultimi due o tre. Direi che ormai ci siamo un po’ stancati dell’aspetto metal, penso che abbiamo già detto quello c’era da dire. Adesso siamo più interessati a fare qualcosa di un po’ più atmosferico, orientato alla forma canzone. Ma a parte questo, non ci ho ancora pensato molto. Una cosa è certa però, sarebbe inutile fare un altro disco come The Incident o FOABP, quindi.. Credo che il prossimo sarà un po’ diverso.
Quando ci siamo visti durante il tour dei Blackfield, ci hai detto che non avresti fatto concerti per promuovere Grace For Drowning, come mai hai cambiato idea?
Ho cambiato idea perché il mio manager continuava a dirmi che dovevo farlo e poi ho pensato che la gente non avrebbe mai preso seriamente il mio progetto solista se non lo avessi mai portato dal vivo. Inoltre ho scoperto che c’erano alcuni musicisti disposti ad affiancarmi sul palco e mi sono detto, se quei ragazzi vogliono aiutarmi, allora forse possiamo farcela.
Parlando di questi musicisti (Theo Travis: flauto/sax, Aziz Ibrahim: chitarre, Gary Husband: tastiere, Nick Beggs: basso, Marco Minnemann: batteria), come li hai conosciuti e come li hai coinvolti?
Beh... Con Theo ci lavoro ormai da tanti anni. Nick Beggs suona sull’album; ho incontrato Nick tramite Steve Hackett, perché è il suo bassista. Marco Minnemann l’ho incontrato di recente a Los Angeles, lo stavo tenendo d’occhio, voglio dire, è un musicista straordinario e non avrei mai immaginato che uno come lui potesse desiderare di suonare con… me.
Perché tu sei un musicista talmente scarso…!
Rispetto a lui lo sono! Non voglio fare il falso modesto, perché lo so che loro sono dei musicisti straordinari, mentre io sono un bravo compositore. So fare cose che a quei ragazzi non riescono: so mettere insieme un disco. Quindi forse sottovaluto la dose di rispetto che quei musicisti hanno nei confronti del fatto che io sono capace di fare un disco, di creare un lavoro di questo tipo; perché è il genere di cosa che loro non farebbero, quindi credo questa collaborazione sia un bene per entrambi. Non vedono l’ora di essere coinvolti in un progetto alquanto ambizioso, musicalmente, e per me è uno straordinario onore suonare con quei ragazzi, voglio dire, suonare la mia musica. Non immaginate quando sia emozionante per me. Per cui ho proprio esaurito le scuse per non suonare dal vivo. Alla fine ho dovuto dire di sì, non avevo più motivi per rifiutare.
Hai anche detto che i concerti saranno piuttosto particolari, con parecchi filmati di Lasse Hoile; dove sono stati ripresi questi video e ne fai parte anche tu?
I video presenti sul blue-ray saranno delle performance, nel senso che ci sarò io che suono i pezzi e canto in playback. Le versioni che faremo vedere dal vivo saranno senza di me, le abbiamo ri-editate perché sarebbe stato strano vedermi sul palco e anche sui video… però questa volta ci siamo orientati su un tipo di video basato sulla performance, perché abbiamo trovato un modo di farlo che soddisfa entrambi; ho sempre pensato che quel genere di video fosse un po’ fasullo, ma siamo riusciti ad aggirare l’ostacolo, vedrete! Penso che ne uscirà presto uno in rete, sarà molto artistico e surreale.
Abbiamo anche visto le foto che Lasse ha messo su Facebook, scattate in Danimarca, in un qualche ‘sperduto luogo segreto’, come diceva la didascalia; in un’altra sembra che stai suonando vicino ad un enorme falò….
Okay, ho capito. Sono probabilmente dei fotogrammi tratti da uno dei video. Di fatto quello che sembra un falò è tratto dal video per la canzone intitolata Track One, è una cosa molto strana...ovviamente! I video di Lasse non possono che essere strani!
E la foto con i manichini?
Quella è tratta da Index, avete presente il libro intitolato "The Collector" di John Fowles? Ha anche ispirato un paio di film. È un libro degli anni Sessanta che parla di un tizio che colleziona le farfalle, anche Il Silenzio degli Innocenti secondo me ha attinto a questo libro. Questo tizio colleziona le farfalle, le uccide, le attacca su una tavola con dei chiodi e le incornicia per esporle; in pratica si relazione alle donne nello stesso modo. Quindi cattura e colleziona le donne e metaforicamente parlando le inchioda ad una tavola sotto vetro per poterle ammirare quando vuole. Index parla di questo individuo che non è in grado di provare empatia ma sente lo stesso il bisogno di far parte di una famiglia. Così nella foto in cui mi si vede con i manichini, in pratica io sono… l’assassino, con la mia ‘famiglia’, che naturalmente è finta, di plastica. E questo richiama il concept del libro "The Collector".
Visto che hai detto che questo tour sarà un grande evento, con tutti quei musicisti di rilievo che ti affiancheranno, sarà ripreso per un DVD?
Penso che non si possa fare altrimenti, no?! Anche perché non potrò suonare ovunque; se i concerti andranno bene, credo che sarà d’obbligo filmare almeno uno degli ultimi. Non vedo l’ora di partire con questo tour, e voglio fare una seconda tappa che potrebbe toccare il Messico, l’Italia, la costa Ovest... Quindi incrociate le dita affinché la prima tappa vada bene!
Ma certo che andrà bene!
Grazie per la fiducia! Vorrei esserne convinto anche io… ma sì, lo sono. Con quei musicisti e con il materiale di Lasse non si può sbagliare!
Questa è una domanda totalmente generica. Tu sei considerato il musicista che negli ultimi anni ha contribuito più di tutti a “risanare” la reputazione del prog, una sorta di “messia del prog”…
Chi sarebbe questa persona?
Sei tu.
Ah vuoi dire che sono visto così?
Okay. Beh è una cosa molto lusinghiera. Credo ci sia un sacco di gente che ha fatto parecchio per la musica progressive… Direi che Thom Yorke si merita un riconoscimento, anche Mikael Akerfeldt... Di sicuro io non ho mai fatto mistero del mio amore per il prog, forse c’è stato un periodo in cui non l’ho proprio dichiarato ai quattro venti perché era veramente fuori luogo, tipo verso la fine degli anni Novanta; ma sono molto contento di vedere che c’è stato un ritorno di quelle sonorità e ora è nuovamente accettato. Fa di nuovo parte della scena musicale creativa ed è fantastico; se questo è avvenuto anche grazie al mio contributo, ne sono davvero felice.
Bene, Steven, era l’ultima domanda, grazie mille per la tua disponibilità.
Di nulla, è stato un piacere.
Intervista realizzata in collaborazione con
Evaristo Salvi di
www.porcupinetree.ite Domizia Parri di
www.blackfield-epidemic.itUn ringraziamento a
Fabio Vergani di
A Buzz Supreme