L'appuntamento con "Italy’s Got Voices", al Rock ‘N Roll Arena di Romagnano Sesia, non solo ci ha dato la possibilità di assistere ad un ottimo concerto, ma pure l'occasione di scambiare due parole con alcuni dei protagonisti di "Destination Set to Nowhere", il nuovo album dei Vision Divine, già incensato in fase di recensione dal nostro Gianluca Grazioli.
Così, grazie anche all’intercessione di Pippo "Sbranf" Marino (ed è stato un piacere rivederti!) una nutrita, e direi ben assortita, task force di Metal.it ha scambiato due parole con dei disponibilissimi Fabio Lione ed Olaf Thorsen.
Ovviamente "Destination Set to Nowhere" è stato al centro delle nostre attenzioni e disquisizioni, ma si è parlato anche di altro...
Parliamo del concept dell’album…
Prende spunto dall’attuale situazione economica, politica e sociale. Un uomo costruisce un’astronave, che chiama L’Arca, su cui imbarca quelle persone che, come lui, credono nella possibilità di un mondo migliore e decidono di andar via alla ricerca di un nuovo pianeta su cui crearlo. Il giudizio implicito, quindi, è che la nostra situazione attuale sia irreversibile e non possiamo più correggere lo schifo che abbiamo creato. Ovviamente, ci teniamo a dirlo, non ci sono connotazioni politiche di parte, si tratta di una considerazione di livello generale. Il viaggio nello spazio dura un lungo tempo e culmina con il ritrovamento di una specie di Eden da poter ripopolare nel migliore dei modi possibili. Un’interpretazione parallela è quella di un viaggio all’interno di noi stessi. Il senso è che è inutile andare alla ricerca di un mondo nuovo, quando non conosciamo nemmeno noi stessi, perché, se abbiamo qualcosa di sbagliato dentro di noi, non ci vorrebbe molto a ricreare altrove lo stesso puttanaio che abbiamo fatto su questa terra. Non abbiamo più vent’anni, adesso siamo (o dovremmo essere) entrati in quella fase della maturità in cui si dovrebbe avvertire l’esigenza morale di dare un messaggio che vada oltre il puro divertimento rock’n roll.
La produzione, questa volta è davvero ottima e valorizza appieno la musica…
Abbiamo capito, forse, che chi fa da se fa per tre. Ci abbiamo speso molto tempo, curando ogni dettaglio nel modo giusto ed il risultato si sente. Il 90% dei fan e della critica hanno apprezzato il disco sia dal punto di vista del song writing che della produzione; questo ci rende doppiamente orgogliosi, per il fatto di aver curato tutto noi, anche se abbiamo dovuto triplicare gli sforzi. La scelta del produttore è fondamentale e questa volta, avendo un contratto importante come quello Edel, abbiamo voluto evitare ogni errore ed abbiamo preferito non affidarci ad uno a caso. Tolkki lo avevamo scelto, perché al di là dello stile dei suoi album, che non troviamo tanto simile a quello che facciamo noi, aveva dimostrato di avere le idee chiare su un certo tipo di prodotto.
Quali sono i problemi che avete avuto con lui?
Innanzitutto diciamo che non vuole essere assolutamente un attacco a Tolkki ma, evidentemente , non si è creata quella sinergia che si doveva creare; non ha fatto il lavoro che doveva fare e per il quale abbiamo pagato. Abbiamo registrato tre dischi e c’è stata un’escalation. Nel primo album, The Perfect Machine, Tolkki ha lavorato principalmente alle batterie poi si è ammalato e tutto il resto è stato curato da me (Thorsen N.d.A) e Stefanini . Riprendere il lavoro iniziato da un altro non è mai una buona cosa, quindi, visto il problema che c’è stato, non potevamo che essere soddisfatti del risultato finale e siamo tornati. Nel successivo The 25th Hour ha avuto la mano più presente dall’inizio alla fine: forse si poteva fare meglio, ma è anche un album molto complesso, che ha posto diversi problemi tecnici; quindi, anche qui, tutto sommato siamo soddisfatti. Per 9 Degrees West of the Moon Tolkki ha avuto in mano la produzione e preproduzione, ha fatto sia da tecnico del suono che da produttore artistico ed alcune scelte sono discutibili. Come chitarre, anche se non è il nostro suono, non ci dispiacciono; la nostra scelta iniziale era di un sound molto cupo, ma è stato cambiato. Quello che ha lasciato perplessi è stata la scelta di registrare tutti gli strumenti live, quindi dopo averli suonati solo una volta: batteria, basso e prima chitarra ritmica, aggiungendo poi la seconda chitarra su quello che già era stato registrato. I gruppi registravano così negli anni ‘70/primi anni ’80, ormai nel 2012 è difficilmente proponibile; l’orecchio è, volente o nolente, abituato ad un certo tipo di suoni. Questo approccio va bene solo per i concerti. A livello di arrangiamenti ci sono tastiere tagliate, non c’è una chitarra acustica in tutto il disco. Un aneddoto: nell’album c’è la cover dei Judas Priest, A Touch of Evil, pezzo che avevo già cantato tante volte e che, quindi, per fortuna sapevo bene. E’ stato registrato l’ultimo giorno di studio; l’ho cantato una volta, sono uscito dalla sala e Tolkki mi ha detto che avevamo finito, e che, era tutto lì. Gli ho spiegato che nel brano originale c’erano anche delle armonizzazioni, ma lui mi ha risposto che mi sbagliavo. In sette minuti la cover è stata registrata e tenuta come era venuta. Il risultato non è così scandaloso, ma, fra gli arrangiamenti poveri, la voce quasi in presa diretta, gli strumenti tagliati… sembra una torta con pochi ingredienti. Invece, compositivamente quell’album contiene alcuni dei più bei brani che abbiamo scritto: The Streets of Laudomia, Violet Loneliness, la stessa 9 Degrees West of the Moon. Molti ancora ci chiedono perché, dopo esserci resi conto di come stava venendo l’album, non abbiamo bloccato tutto ma questa è una domanda molto ingenua. Chi lavora nel settore sa che, una volta che hai messo in moto la macchina, attivando già distribuzione e pubblicità, fermarla è un bagno di sangue ed un salto nel buio che nove volte su dieci va a finire male. A quel punto dovresti soltanto fermare tutto, tornare a casa, ripianificare tutto e spendere esattamente il doppio e noi non siamo i Metallica, non abbiamo i soldi per permettercelo.
Cosa ne pensate della Edel?
E’ la scelta migliore che il gruppo poteva fare al momento. E’ un’etichetta immensa, che ha gruppi di valore assoluto, ed il fatto che siamo la prima band italiana a firmare con loro ci rende doppiamente orgogliosi. Il lavoro che stanno facendo è sicuramente molto buono; speriamo che questo rapporto continui proficuamente.
La copertina è molto bella. La scelta di cambiare logo e grafica è coraggiosa; è concomitante con il cambio di label…
Infatti è nata dalla Edel, noi ancora non avevamo le idee precise su cosa fare. La Edel ha dimostrato ancora una volta di essere un’etichetta che cura tutto, anche i dettagli e, una volta arrivato il master, hanno affrontato anche la grafica, facendosene carico. Ci hanno chiesto se ce la sentivamo di “far casino” e dare già dalla copertina un messaggio sul nuovo corso della band. Normalmente le copertine sono delle bellissime illustrazioni, che hanno un valore a sé e si perdono nel mare delle altre bellissime copertine che escono quotidianamente. Loro ci hanno proposto di dare un significato alla nostra. Il cambio non è tanto musicale (non crediamo che una band possa dall’oggi al domani reinventarsi musicalmente in maniera radicale, passando magari dal metal al rockabilly) ma di obiettivi. All’inizio eravamo restii ma poi parlandone ce ne siamo convinti ed ora ne siamo soddisfatti, la missione è stata compiuta perfettamente. La copertina è stata presentata in anteprima un paio di mesi prima dell’uscita del disco ed ha subito fatto parlare, il che è un bene; i commenti più comuni sono stati che ha un taglio cinematografico e moderno. La band, come il personaggio che abbandona la terra sull’astronave, ha abbandonato sia il logo che l’angelo… angelo che, comunque, continua ad esistere nei testi, perché in The Lighthouse arriva e fa trovare la strada per il nuovo pianeta agli occupanti dell’astronave.
Un po’ come nel telefilm Babilon…
Sì, è vero anche se era davvero una m…a di telefilm!
Anche voi, come diversi altri artisti, avete scelto non un classico best of ma di reinterpretare alcuni dei vostri brani più vecchi per il secondo cd presente nella versione limitata di Destination Set to Nowhere…
E’stata sempre la Edel a proporci di fare un’edizione limitata e quella di risuonare dei pezzi vecchi con il suono moderno di adesso è sembrata una scelta interessante sia per noi che per loro. Da notare che ce lo hanno chiesto quando abbiamo consegnato il master… quindi ci siamo ritrovati a registrare due dischi in poco più di un mese! Per noi sarebbe stato sicuramente più comodo e veloce scegliere una decina di pezzi dai dischi vecchi e rimasterizzarli ma non sarebbe stato ne un gran regalo ne molto corretto far pagare anche solo tre euro in più per una sorta di play list che ogni fan si può fare da solo su you tube. Nell’era di internet la tendenza delle band è di non presentare più i classici best of, perché i pezzi vecchi sono alla portata di chiunque gratuitamente. Il best of aveva senso vent’anni fa. Poi, siccome una caratteristica tutta italiana, ahimè, è il gossip sugli album in cui Fabio è dovuto andar via dalla band ed è entrato l’altro cantante, si genera anche la curiosità di ascoltare quei brani rifatti con una voce diversa (detto con una punta di simpatica malizia N.d.A).
A quando un dvd live?
Per ora lo teniamo da parte, perché va organizzato bene… Bisogna trovare il locale giusto e vogliamo avere anche più materiale.
Fabio, questa sera avremo sul palco tre grandi voci: Lione, Tiranti e Morby. Se aveste dovuto scegliere anche tre grandi chitarristi, chi avreste chiamato? Facciamo finta di non aver notato che con uno ci stiamo già parlando…
Beh, di sicuro uno sarebbe Thorsen… ahahah! Senza voler far torto a nessuno, scegliendo così su due piedi a metà fra amicizia e professionalità, direi Luca Turilli ed Enrico Paoli. Sarebbe bello suonare insieme sullo stesso palco ma, almeno per il momento, la vedo difficile!
Intervista di:
Sergio Rapetti, Laura Archini, Marco Aimasso