I ricordi, si sa, sono spesso una “brutta bestia”, si rischia di filtrare gli eventi del passato attraverso una sorta di “lente” che enfatizza e trasfigura le circostanze e le varie esperienze vissute. Ecco che le cose belle diventano “strabilianti” e anche quelle brutte, mitigate dal trascorrere del tempo, pur incancellabili dalla memoria, spesso subiscono una “strana” operazione di rivalutazione.
Ehi, niente paura, non ho nessuna intenzione di propinarvi uno sterile esercizio di psicologia spicciola (e non possiedo le necessarie “credenziali” per farlo, comunque), ma questa riflessione è una di quelle che fatalmente emergono prepotentemente in questi periodi di continui ritorni artistici più o meno eccellenti, consigliando a chi si trovi a dover valutare il lavoro di tali “redivivi” della musica, di fare molta attenzione nell’attuare dei confronti, per le ragioni appena descritte, molto “pericolosi”.
Caso vuole che nel momento in cui apprendo della rentrèe dei
Balance, ed eccoci finalmente al soggetto di questa disamina, io sia in preda ad un attacco violentissimo di revival pomp/AOR, che mi fa affermare senza temere di incorrere in una sorta di distorsione emotivo-nostalgica, che “In from the count”, il secondo album dei nostri americani è
davvero un capolavoro del genere, degno di essere accostato alle cose migliori di mostri sacri come Angel, Styx, Magnum e Kansas, nonché di finire con Touch (semplicemente immensi … Mark torna con noi!), Le Roux, Spys, White Sister, Trillion, Roadmaster, Bystander e qualche altro, nella cerchia dei grandi “incompresi” del rock magniloquente, straripanti nel talento e non adeguatamente gratificati sotto il profilo commerciale.
Insomma, non si tratta di un albo di “culto” citato dagli addetti ai lavori solo per sfoggiare la propria enciclopedica cultura (perché a volte succede eh!), ma un esempio scintillante di gloria vera (recentemente ristampata e quindi agevolmente verificabile) e di conseguenza un precedente veramente temibile per il nuovo “Equilibrium”.
Diciamo subito che risentire la voce di Peppy Castro (di cui ricordiamo un CV che menziona Blue Magoos, Barnaby Bye e Wiggy Bits), la chitarra di Bob Kulick (Hooker, Meat Loaf, Kiss, Paul Stanley, Lou Reed, Skull, Blacktorne, …) e le tastiere di Doug Katsaros (collaboratore e arrangiatore per Rod Stewart, Cher, Bon Jovi, Sinead O’Connor e Aerosmith) è sempre un’enorme goduria per l’apparato cardio-uditivo, ma qui si va ben oltre, perché anche se tutto “ricorda” quasi inevitabilmente (alcuni brani sono stati scritti, a quanto mi risulta, proprio negli anni ’80) le atmosfere di quel caposaldo (e dell’ottimo debutto omonimo), siamo di fronte ad un’imponente dimostrazione di forza espressiva, per la quale non c’è benevolenza “passatista” che tenga, almeno se siete tra quelli che amano la tipica estetica del pomp, dove scintille prog si scontrano con l’hard rock e flirtano con dosi massicce d’ammaliante melodia “radiofonica”.
“Breathe”, “Old friends”, “What have you done”, “Winner takes all”, “Liar”, “Walk away” e “Forever”, innanzi tutto, e poi in ogni caso tutto il Cd nella sua avvincente globalità, riprende il filo del discorso bruscamente interrotto nel 1982, e dimostra che i Balance anche nel 2009 rimangono degli autentici campioni del settore, forgiati nell’aristocrazia dei suoni e degli arrangiamenti, senza perdere di vista l’imprescindibile energia.
In conclusione, però, non rimarrebbe che decidere se “Equilibrium” vale “In for the count” … posso dire che è sicuramente un suo degno successore, che le sensazioni che evoca sono della stessa pasta e che nonostante ciò forse manca ancora un pochino (un riff incontenibile come quello della title-track di quel disco, per esempio) per ambire ad una reale equipollenza di valore … ciò non toglie che il terzo album di questo “bilanciato” outfit sia splendido e meriti di prendere posto nello spazio delle discografie riservato alla “nobiltà” del rock, sperando, questa volta, che venga apprezzato come merita e che non diventi, tra una trentina d’anni, uno dei titoli dell’ennesima retrospettiva dedicata alle opere ingiustamente “dimenticate” dal music business che conta. Fatelo Vostro (assieme alle ristampe!), godete delle sue impressionanti qualità e contribuite pure a rendere un atto di “giustizia” musicale, l’unica tipologia di “terzo potere”, su cui purtroppo, la maggioranza di noi può in qualche modo intervenire.