Il download gratuito colpisce i grandi nomi, figuriamoci l'effetto che può avere nell'ex tastierista di una band (IQ) che ha deciso di mettersi in proprio: deluso e in totale disaccordo con chi scarica o mette in rete musica ("
You're making increasingly difficult to make albums like this one", scrive nei credits), alla seconda prova solista
Orford decide di ritirarsi dalle scene chiamando a se un cast che non ha bisogno di presentazioni, tra ex compagni di viaggio (Chandler con il quale aveva fondato i Jadis, Mike Holmes, John Wetton, Steve Thorne) e garanzie di sicura professionalità (Nick D'Virgilio, Dave Meros, Dave Oberlè della gloriosa folk prog band Gryphon).
"Grand designs" è una grande opener, prog arioso molto melodico, pieno di tastiere e col basso di Meros sempre presente, ben cantato da Orford (che qui suona anche la chitarra) ispirato al new prog inglese immediato e corale dei Jadis con un pizzico di IQ nella parte centrale strumentale, 10 minuti che scorrono via senza troppa difficoltà lasciando il posto alla strumentale "Power and the speed" dove le tastiere contrastano l'eccellente lavoro alle chitarre di Gary Chandler e John Mitchell, il ritmo è molto sostenuto e ricorda ancora i Jadis, il lento "Ray of hope" è cantato magnificamente da David Longdon con il sottofondo del fretless bass di Meros e l'accompagnamento acustico ed elettrico delle chitarre di Orford, di tutt'altra pasta è fatto il rock battagliero di "Take it to the sun" inconfondibile nel cantato di John Wetton (anche al basso), quasi un brano estratto dai suoi lavori solisti, ancora un breve sfoggio di bravura di Orford al piano in tono classicheggiante ("Prelude") omaggiando un po' Rick Wakeman e Richard Clayderman, Orford si riprende il microfono in "The old road" melodic pomp rock dal refrain corale che sa molto di Asia (il basso è di Wetton) con flauti e violini a dare un leggero tocco di folk e la chitarra a 12 corde di Chandler che si alterna a quella di Mitchell, ancora Wetton alla voce nei 10 minuti del prog rock corale a ritmo sostenuto di "The time and the season", la chitarra di Chandler fa da padrone condivisa da un breve contributo dell'IQ Mike Holmes, brano grintoso reso più pacato solo nella parte centrale e perfetta sintonia con il drumming poderoso di D'Virgilio e le parti di Moog e tastiere di Orford che si ritaglia uno spazio personale nel gran finale alternandosi alla chitarra di Chandler. Messa forse volutamente alla fine della "Old road", "Endgame" è un lento malinconico molto simile nella melodia portante a "Ray of hope", e nel testo cantato da Longdon racchiude tutto il pessimismo di Orford sul futuro della musica ("
Taking the old road, leaving the download to claim our ground, and no one stopped and cried on the day the music died, their faces turn aside when they came to close us down..."), introdotto in modo simile a "Paintbox" dei Pendragon e rinvigorito nella seconda parte da un'impennata strumentale dall'inconfondibile chitarra di Mitchell a cui fa da appoggio Chandler e il drumming di D'Virgilio.
Disco variegato negli stili (anche se siamo sempre nell'ambito prog), mai troppo scontato seppur ricorra spesso a situazioni già sentite, "The old road" è il canto del cigno di un artista che lascerà un vuoto incolmabile nel new prog (che sarebbero "Awake and nervous" o "Subterranea" degli IQ senza il suo prezioso lavoro alle tastiere?), perciò, Martin vedi di ripensarci e speriamo che questo non sia un addio ma un breve arrivederci.
A presto, con o senza gli IQ.
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