“Icon 3“ è un disco che, per il sottoscritto, arriva piuttosto inaspettato. Immaginavo
John Wetton e
Geoff Downes completamente assorbiti ed appagati dalla reunion degli Asia “originali”, tradottasi nella realizzazione di un lavoro pregevole come “Phoenix” e nell’impegno di un imponente ed apprezzato tour promozionale. Evidentemente il loro filone creativo non conosce pause, così come la loro difficilmente arginabile brama di comporre, suonare, comunicare.
E così eccoci qua, sorpresi e felici di commentare l’ennesimo gioiello di quella musica intensa, profonda, corposa, eppure anche così orecchiabile, enfatica, ma senza scadere nel cattivo gusto, divenuto ormai l’inconfondibile trademark dei nostri.
Con il fattivo contributo dei nuovi Dave Kilminster e Pete Riley, il consueto brillante apporto del violoncellista Hugh McDowell e le importanti “ospitate” di Andreas Wollenweider e di Anne-Marie Helder (Mostly Autumn, Karnataka), il terzo capitolo della saga “Icon”, si manifesta, infatti, con le sembianze di un imponente trattato di solennità e forza espressiva pressoché infallibile nell’ispirazione compositiva e nell’efficacia interpretativa, un settore, quest’ultimo, dove la parte del “leone” la svolge, ovviamente, la vibrante conduzione vocale di un magnifico John Wetton.
Ascoltare gli arrangiamenti tastieristici di Downes, poi, è una vera delizia per i sensi: “epici” o "pindarici", melodrammatici o pragmatici, i suoni che scaturiscono dai tasti d’avorio abilmente orchestrati dall’ex Buggles sono costantemente suggestivi ed equilibrati nella loro raffinata e stratificata diffusione.
Arrivati alle canzoni, diciamo che come di consueto viene privilegiato un approccio intimo e denso di pathos, con episodi come “Destiny” (vagamente a-la Queen!), “Green lights and blue skies” (con tanto di vocals effettate nel refrain!), “My life is in your hands”, la bellissima “Under the sky”, “Never thought I’d see you” (caratterizzata da una fascinosa linea melodica d’estrazione “adulta”) e la passionale e “liturgica” “Place in our time”, che ancora una volta mettono in campo un lirismo opulento capace di evocare sensazioni forti e toccare in profondità, ma non mancano nemmeno i momenti maggiormente dinamici e vivaci come l’opener “Twice the man I was”, “Sex, power and money” o ancora come “Don’t go out tonight”, che sarebbe perfetta per l’airplay se solo questo dimostrasse d’essere ancora in grado di distinguere la “fruibilità” di classe dalle dissolutezze commerciali.
Discorso a parte meritano “Raven” e “Anna’s kiss”: la prima, per la sua leggiadria romantica estrinsecata attraverso il duetto vocale Wetton / Helder e l’arpa di Wollenweider, la seconda (che vede nuovamente la presenza del famoso arpista svizzero), per la sua essenza di superba esposizione prog-rock dall’ambientazione sfarzosa, in grado di magnetizzare l’ascoltatore anche senza l’ausilio della laringe illuminata di Wetton.
In sede di commento finale, a voler essere proprio pignoli, se scandagliati veramente a fondo, i solchi digitali di “Icon 3” evidenziano anche una lieve velatura di “mestiere”, tuttavia, come anticipato, si tratta di una sensazione quasi impercettibile, per nulla idonea ad oscurare un’ispirazione ancora una volta assolutamente consistente e tangibile … e poi alzi la mano chi non vorrebbe avere una competenza e un retroterra “professionale” così scintillanti e sostanziosi da consentire un’eventuale minima forma di “auto-riciclaggio” artistico, peraltro praticamente priva di controindicazioni emozionali.
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