Gli inglesi
The Prophecy sono eredi della lunga tradizione britannica in fatto di doom, la qual cosa è ribadita dal presente “Into The Light”, terzo full-lenght della band.
Quando parlo di tradizione faccio riferimento alle varie scuole che la terra d’Albione ha generato, partendo dai Black Sabbath, passando per i Candlemass e My Dying Bride, per finire agli Anathema. C’è un po’ di tutto questo nel disco.
Un disco che non ha la proverbiale lentezza del doom, se non a sprazzi, le cui sonorità sono sospese a cavallo tra vecchio e nuovo, con riffs grassi e produzione moderna, con canzoni che spesso hanno una struttura settantiana, richiamando un certo filone progressivo di quegli anni, come ad esempio in”Beliefs Means Nothing”.
Ad arricchire la proposta è il doppio cantato, growls e clean vocals, il quale sa sempre sottolineare alla perfezione il mood del momento.
Le canzoni sono tutte mediamente lunghe, variegate, dinamiche, e possono essere divise in due categorie, ovvero troviamo pezzi più propriamente doom, con le caratteristiche di cui sopra, come nel trittico iniziale oppure in “All Is Lost”, e poi possiamo trovare pezzi lenti, dove prevalgono le clean vocals, dove non si disdegnano influenze più gotiche e arpeggi di chitarra acustica. È il caso delle stupende “Echoes”, “Waters Deep” e la conclusiva “Hope”. In questi pezzi la band raggiunge il proprio apice espressivo ed emozionale.
Questo disco ha il suo pregio maggior nell’essere completo, vario, capace di guardare alla tradizione con occhio moderno, mantenendo sempre un livello delle canzoni mediamente elevato. È doom rock d’alta scuola. Ad avercene di dischi così.
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