Nella vita si cambia, ci si evolve, e spesso non si viene compresi, anzi si rischia di rovinare anni di carriera, più o meno è questo quello che è successo ai
Saxon di fine anni 80.
Destiny porta a termine quel processo di “commercializzazione” iniziato nel corso del 1985 con
Innocence Is No Excuse (arduo anche parlare di commercializzazione viste le scarse vendite), con tutto il conseguente ammiccamento agli USA dell’Aor e dell’Hard Rock patinato da classifica. Che la band di
Biff Byford abbia scritto pagine immortali per tutto l’Heavy Metal nei primi anni 80 credo sia nella mente di tutti, che però debbano essere altrettanto rivalutati i loro dischi di fine decennio è una cosa che non tutti riescono a fare, spesso a causa di sterili pregiudizi infondati.
Destiny è per molti versi strano, soprattutto per gli standard dei Saxon, è sicuramente un album coraggioso che mette in risalto quello che è il loro aspetto più melodico e ruffiano, elementi che ad essere onesti non sono mai mancati nella loro musica, anche quando si mostravano al mondo come fieri e duri rappresentanti della N.W.O.B.H.M. Partendo dalla copertina non ci vuole molto ad intuire che l’aria è diversa, c’è qualcosa di più costruito e ragionato, che richiama magari ad un’atmosfera più rilassata, e il logo scritto per intero con un carattere tutto sommato semplice ne è la riprova. Tolta la
S gigante che compare in bella vista questo è il primo (e unico) disco in cui non compare lo storico logo, il famoso vento del cambiamento di cui sopra. Lo stupore è ancora più grande quando si scopre che la prima canzone in scaletta non è altro che
Ride Like The Wind, cover di Christopher Cross, cantante Pop in voga in quel periodo, ma ascoltando tutto l’album si fa anche fatica a capire che sia una cover, lo stile è piuttosto omogeneo e strizza l’occhio ad una continua ricerca della melodia di facile presa. Sullo stesso stile si fanno notare
Where The Lightning Strikes,
S.O.S. e
I Can't Wait Anymore, singolo da cui verrà estratto in seguito un videoclip da brivido, nel senso più negativo del termine. Le chitarre si smorzano per diventare cristalline e levigate, mai troppo invadenti nel loro disegnare linee melodiche vellutate e catchy, lo stesso discorso lo si può fare con un Biff Byford decisamente più marpione del solito. Le dosi massicce di Hard Rock e AOR fanno sicuramente la differenza, soprattutto con i primi dischi della loro carriera, quasi all’opposto stilistico. E’ difficile non farsi catturare dalla semplicità e dall’immediatezza di
Calm Before The Storm con quel suo giro di tastiera, magari oggi scontato e piatto, irresistibile però nel suo sprigionare tutta l’energia e la pacchianeria di quegli anni 80.
Destiny può essere catalogato come un disco Pop/Rock? Forse si, anzi magari fossero tutti così, oppure è soltanto un volgare tentativo di attraccare un carrozzone vincente che andava di moda negli USA in quel periodo? Anche qui la risposta forse è positiva, rimane però il fatto che brani graffianti come
Red Alert e
We Are Strong fanno riemergere un rabbia nei Saxon solo apparentemente sopita. Destiny non è un album Heavy Metal, semmai ci gira torno, ogni tanto sfiora questo genere, però se ne tiene lucidamente alla larga andando ad esplorare territori ben distanti per attitudine e impatto, ma questo non toglie che il contenuto abbia un risultato qualitativamente ottimo, con punte di eccellenza. Attualmente non è facile reperire Destiny, spulciando sulla rete e nei grossi siti di vendite online si possono trovare numerose versioni in vinile e MC, molto più difficilmente in cd. Ogni fan che si rispetti dei Saxon deve conoscere questo importante tassello della loro carriera, nel bene e nel male. Per quanto mi riguarda pur nella sua diversità anche in quel fatidico 1988 i Saxon sono riusciti ad esprimere con classe e genuinità la loro personale visione della musica. Da rivalutare, e da avere!