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Tribazik sono londinesi e suonano crossover. I Tribazik sono andati in tour parecchie volte con i Killing Joke. “All blood is red” vede la presenza in veste di graditissimo ospite di Jaz Coleman.
Non è difficile intuire quale può essere il punto di riferimento artistico di quest’interessante terzetto, anche perché stiamo parlando di uno dei gruppi fondamentali del rock britannico, inserito a ragione nel filone new-wave, ma anticipatore del concetto stesso di “meltin’ pot” tra i generi, uno di quei capisaldi della musica (soprattutto con gli album “Killing Joke” e “Revelations” e tuttavia capace di piazzare colpi ad effetto anche con i dischi successivi, sebbene in una forma sicuramente più manierata e meno incisiva) la cui colossale influenza, sia nel suono che nell’approccio, non credo possa essere minimamente messa in discussione.
Insomma, se non ci fossero stati Jaz, Geordie, Youth, Ferguson e Raven (R.I.P.) forse non avremmo avuto Jane’s Addiction, Prong, Warrior Soul, Ministry, Nine Inch Nails e chissà quanti altri, compresi questi Tribazik, che dai loro illustri concittadini mutuano l’attitudine nell’unire punk e dark, dub e techno, percussioni tribali e riff metal, melodia pop e rumore, cerebralismo e fisicità, fabbrica e teatro, nonché il modo in cui, su tutto, si ergono voci cupe e sciamaniche di grande suggestione “apocalittica”.
Diciamo, dunque, che hanno imparato dai “migliori” (e frequentarli direttamente, come anticipato, deve aver contribuito) e lo hanno fatto nel modo giusto, aggiungendo alla saggia devozione per i “maestri” e per alcuni dei loro più validi allievi (Prong, Ministry, The Young Gods, i pattern ritmici dei Therapy?), taluni influssi supplementari relativi a ciò che la musica “alternativa” ha saputo offrire nei tempi più recenti (compresa qualche vaga reminiscenza nu-metal) e pure una discreta aliquota di facoltà proprie nella gestione di tutti gli impulsi creativi, per un risultato non ancora completamente all’altezza di cotanta pletora di “luminari” ma assolutamente gradevole, coinvolgente e adeguatamente “magnetico” negli effetti emotivi.
Dieci composizioni globalmente piuttosto buone (mi piacciono particolarmente “Small are we”, l’irrefrenabile e inquieta “Smokescreen”, la malinconia rabbiosa di “Molten”, la potente “Paralyser”, e la cangiante e splendida “As if”, in un programma dove praticamente tutti i passi presentano spunti interessanti e godibili), caratterizzano il lavoro di una band che sfrondando qualche ingenuità, “asciugando” qualche prolissità (particolarmente evidente nella conclusiva “Speak through us”, in cui l’attenzione per la suggestiva struttura mantrica si stempera in un lungo finale a carattere “cosmic ambient” di difficile comprensione) e “osando” ancora di più, potrebbe davvero riservarci qualche grossa sorpresa.
Per il momento, “All blood is red” si lascia ascoltare con gran piacere, soprattutto da chi ha amato (e ama!) la genialità dello “Scherzo Che Uccide”. Produce Andy Gill dei Gang of Four.
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