La nuova parentesi artistica dei
Lion's Share prosegue spedita con "Dark Hours", un album che si conferma in linea con il precedente "Emotional Coma", ottenendone gli stessi ottimi risultati, anzi lasciando trasparire una maggiore intensità e consistenza.
La formazione è, infatti, rimasta invariata, sempre incentrata sul leader storico Lars Chriss, accompagnato da Sampo Axelsson e da Patrik Johansson (meglio metterlo in chiaro subito: si conferma un grande interprete!), mentre alla batteria si sono alternati Richard Evensand (che già aveva suonato su "Emotional Coma") e Conny Pettersson (Anata); infine come ospite "a sorpresa" troviamo il chitarrista Michael Romeo, una collaborazione questa nata grazie al produttore del disco Jens Bogren, che aveva già lavorato proprio con i Symphony X (ma anche con Opeth, Amon Amarth, Paradise Lost...).
Appare subito interessante l'aspetto lirico del disco, con ogni canzone che va a gettare un'occhiata su alcuni dei (tanti... troppi!) momenti oscuri dell'umanità, come ad esempio la guerra Fredda, il Vietnam, Charlie Manson o Martin Luther King.
I ritmi sono elevati e l'attacco si fa subito frontale con la doppietta "Judas Must Die" (dall'animo priestiano) e "Phantom Rider" (tra King Diamond ed i Gamma Ray), non che la dinamica "Demon in Your Mind" sia da meno, ma un po' il lavoro alle tastiere ed un po' l'insistere sul refrain, donano al pezzo un approccio più melodico, mentre su "Heavy Cross to Bear" incappiamo in sonorità che non possono che richiamare quelle drammatiche ed intense tipiche del miglior Ronnie James Dio, sia da solista sia nei Black Sabbath (o come si "fanno chiamare" ora Heaven & Hell), territori dove Patrik Johansson eccelle. Dopo la quadrata "The Bottomless Pit", irrompe veloce e assassina la thrasheggiante "Full Metal Jacket" che lascia poi posto al pathos garantito da una "The Presidio 27" tra i cui chiaroscuri si esaltano sia la voce di Johansson sia chitarra di Lars Chriss. Ma i Lion's Share non hanno alcuna intenzione di addormentarsi e tengo alta la tensione con la cattiva e rocciosa "Barker Ranch", dove è ancora Lars Chriss a ritagliarsi un ruolo da primo piano, e sopratutto con la stupenda "Napalm Nights" che ha tutti gli ingredienti necessari ad una killer song e si segnala come il brano più rappresentativo dell'album. Anche per questo la rockeggiante, ma pur sempre robusta, "Space Scam" trova qualche difficoltà ad imporsi, cosa che riesce più facilmente al conclusivo ed oscuro mid-tempo "Behind the Curtain", che si gioca nuovamente la carta del pathos, calata in un contesto comunque decisamente heavy!
Sopra la media. E di molto!
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