Che delusione. Tornano nel peggiore dei modi i Grave Digger, dopo un grande album quale "The Grave Digger" che abbandonava le solite idee da facili soldi della (pessima) trilogia storica e faceva un netto balzo indietro verso tempi di "The Reaper"; fu però un album non fortunato a livello di vendite, che scontentò indubbiamente chi aveva conosciuto e apprezzato i Grave Digger con il (per me) mediocre "Tunes of War" o con il pessimo "Knights of the Cross". Chris, sino a due anni fa così convinto del dietro-front musicale, fatti quattro conti in tasca, se ne è uscito oggi con questo "Rheingold", che è quanto di più lontano ci sia dal predecessore: tastiere, atmosfere epicheggianti, melodie facili e soluzioni già sentite.
Nell'ottobre 2001, Boltendahl mi disse di persona in un'intervista:
"Dopo "Tunes of war" la nostra etichetta ci ha fatto grosse pressioni dicendoci "Hey, è stato un successo, continuate su questa strada!"; noi rispondemmo: "Ok, faremo tre album, poi però basta". Sin dall'inizio i Grave Digger sono stati una vera heavy metal band, non una epic band; è solo questo che voglio mostrare ai fans: siamo una heavy metal band, punto e basta!".Bene, allora come spiegare una song quale "Rheingold", degna di un "Excalibur", oppure la smorfiosa "Murderer"? C'è poco da fare, questo "Rheingold" rappresenta il quarto capitolo dei Grave Digger più caramellosi, che dopo la bella e illusoria parentesi veramente heavy e retrò di "The Grave Digger" tornano sui passi di "Excalibur", unendo melodie ritrite ad un concept abusato (sulla saga mitologica dei Nibelunghi, splendidamente narrata nella tetralogia di Richard Wagner) perlopiù strapazzato da testi che non rendono per nulla giustizia al tema. Dalla povera e scadente "Maidens of War", anch'essa sulla falsa riga dell'album "Excalibur" (soliti riff, solite atmosfere, solite linee vocali), passando per l'altrettanto pedestre "Giants", si arriva all'apice della noia con "Twilight of the Gods", oltre sette minuti (!!!) di trivialità, che non si risollevano nemmeno quando il buon Manni si lancia in uno dei suoi soli, non tecnici, ma a mio avviso straordinari per gusto e pathos. Gli unici episodi salvabili del disco li trovo in "Sword", pezzo cadenzato atipico nel contesto del disco, e nella powereggiante "Liar" (se non fosse per il ritornello catchy).
So benissimo che questo disco farà sfaceli… un botto di vendite, ragazzini in estasi, recensioni entusiaste da 8 e passa; è vero che se avete apprezzato e conosciuto, come i più, la band ai tempi di "Tunes of War", questo potrà essere il disco che fa per voi, essendo un calcolato autoplagio di quel periodo. Chi invece, come me, ha conosciuto i Grave Digger con quel macigno del 1984 chiamato "Heavy Metal Breakdown" ed ha poi gioito nel 1993 per la strepitosa reunion con "The Reaper", non potrà oggi che storcere il naso dinnanzi ad un album così finto e cercato, mediocre e commerciale, proprio come quei tre dischi della trilogia che nulla avevano del sound grezzo che mi (ci) aveva fatto innamorare della band tedesca.
Una grandissima delusione, insomma, che lascia ancora più l'amaro in bocca ripensando a quanto mi disse Chris ai tempi dell'uscita di "The Grave Digger". Bah...
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