Un gruppo onesto. Si potrebbero definire così gli Alverg, band dedita in tutto e per tutto alla celebrazione della natura norvegese. Chiunque sia passato anche solo per qualche giorno in quelle terre ha potuto intuire quanta potenza ci sia nei fiordi e nelle altissime cascate, nelle distese di foreste e sulle montagne innevate... una forza che il trio ha saputo catturare e rendere musica in maniera più che sufficiente. Certo, c'è chi prima di loro l'ha fatto in modo ben più entusiasmante. Chi ha detto Ulver?!
Il dilemma è sempre il solito: quale interesse può suscitare un album come "Elde" che esce in ritardo minimo minimo di una quindicina d'anni? E perché dovremmo preferirne l'ascolto ai capolavori del passato che hanno già dimostrato di saper resistere egregiamente allo scorrere del tempo? Forse la voglia mai doma di ascoltare quelle sole melodie che sono in grado di trasmetterne il ricordo, di farsi rapire ancora da paesaggi degni più di un sogno che della banale realtà, di provare una volta di più a catturare quelle emozioni così sfaccettate da richiedere un'esplorazione a tutto tondo.
Peccato che "Elde" sia però alla resa dei conti un lavoro riuscito solo a metà. Da un lato bisogna rendere atto agli Alverg di aver saputo realizzare un'opera innanzitutto atmosferica, basata più su sensazioni ripetitive e ipnotiche che sull'aggressività propria di un certo tipo di black metal. L'utilizzo a sprazzi di un bel pianoforte, ad esempio, mi ha riportato con la mente ai tempi ormai lontanissimi in cui i Dimmu Borgir sapevano ancora far sognare i propri fan. Le chitarre, inoltre, compongono a tratti alcune splendide sovrapposizioni tra il sognante e il malinconico, tra le più belle che abbia mai sentito.
Il rovescio della medaglia è costituito però dallo scarso mordente di "Elde": le lunghe sezioni strumentali diventano presto monocorde e spingono l'ascoltatore verso uno stato di apatia dal quale risulta impossibile risollevarsi se non quando il disco smette di girare nel lettore. Non c'è vitalità, non c'è oscurità, non c'è carisma neanche dal punto di vista vocale: il tutto risulta solo un compitino ben svolto da uno scolaro diligente, ma nulla più.
Probabilmente il mio giudizio sarebbe ben diverso se mi trovassi su di una collina a guardare l'acqua ribollire nel fiordo. E' proprio questo il peggiore difetto dell'album: avere rappresentato perfettamente un quadro ma non essere stato in grado di trasmetterlo a chi non può osservarlo. La musica degli Alverg risulta troppo asciutta, algida, priva di quelle tonalità di colore che ricordo con così tanto piacere della Norvegia. In poche parole, un lavoro in bianco e nero.
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