Dispiace un po’ essere “severi” con Santi Rigolizio, un “paisà” emigrato in Australia nel 2003 per imparare l’inglese e per saggiare il livello di “hard-rockitudine” della terra dei canguri. Resosi conto che anche lì punk, rap e grunge la facevano da padroni, il nostro non si scoraggiò e continuò comunque a darsi da fare nell’affannosa ricerca di musicisti locali in grado di condividere le sue stesse passioni musicali, terminata con la conoscenza di Darren Grant, un singer dalle buone capacità vocali, stanco di cimentarsi esclusivamente nella riproduzione di comode cover-versions.
Da lì in avanti inizia una storia fatta d’appassionata stesura di un proprio repertorio, di non facile reperimento d’altri strumentisti con i quali portare avanti i propri “sogni di gloria”, quasi raggiunti (con una band denominata Mobstar) e poi sfumati, fino al trasferimento dell’irriducibile duo in Inghilterra, dove ha finalmente coronato il suo obiettivo: la conquista di un prestigioso contratto discografico (con la Escape Music) e l’uscita del primo disco degli
Eruption, nome scelto per questa nuova incarnazione del gruppo.
Ritornando alla “sofferta durezza” citata all’inizio di questa disamina, è purtroppo l’unica con la quale è possibile trattare questo “All screwed up”, un lavoro non completamente disprezzabile, ma ben lontano dall’eccellenza del settore.
Alimentati da una ricca e autorevole combriccola di maestri di “vita” (direi Van Halen, a cui verosimilmente si può far risalire pure il monicker della band, Dokken, Guns ‘n’ Roses, Aerosmith, Deep Purple, Kiss e AC/DC, soprattutto) nonché sostenuti da una più che dignitosa preparazione tecnica, i nostri danno inizio alla loro “eruzione”, rendendo gradevole omaggio alla tradizione britannica del rock duro attraverso i suoni classici di “Temple of love”, continuano l’attività andando a testare i vizi metropolitani dello street metal con la buona “Bad girls”, cominciano a perdere d’efficacia con la groovy ma abbastanza anonima “I wanna know”, recuperano una certa credibilità con l’hard bluesy di “Leopard” e di “Naive”, per poi ritornare a lambire l’oblio dell’apatia in “Natural high” e nella ballad “Nine year old child”, dove l’incremento di melodia non corrisponde ad un aumento risolutivo dell’attenzione, e finire con sprofondare nel baratro della banalità con “Purify” (vagamente “disarmonica” pure) e con la title-track (un funky-hard rappato piuttosto sterile), intervallate da una decente “Reflection”, in cui vengono interpretati con sufficiente verve i dogmi del class-metal californiano.
Siamo di fronte ad un debutto, a cui concedere, quindi, tutte le attenuanti “generiche” del caso, tuttavia è indispensabile, per poter competere “ad armi pari” con i protagonisti di un settore musicale sempre più agguerrito e di ottimo livello medio, che gli Eruption si migliorino prontamente in fase d’amalgama e di vitalità compositive.
Coraggio ragazzi, dopo tante “traversie”, non vorrete fermarvi qua … io faccio il tifo per Voi!
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