Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:46 min.
Etichetta:Frontiers
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. FED BY STONES
  2. ALL-SOLUTIONS
  3. KNEW I WOULD
  4. KINGS FALL
  5. HEARTS ARE FREE
  6. THE KING OF IT ALL
  7. SING MY SONG
  8. SILENTLY CRAVING
  9. TRULY
  10. PAINTED
  11. SAD AS THE WORLD

Line up

  • Michael Kiske: vocals, guitars, keyboards
  • Karsten Nagel: drums
  • Fontaine Burnett: bass
  • Sandro Giampietro: solo guitars

Voto medio utenti

Può accadere che una nuova uscita, per quanto semplice e lineare musicalmente, possa essere comunque difficilissima da recensire? Sì, se l’autore in questione si chiama Michael Kiske, uno dei più grandi cantanti che il metal abbia mai avuto, e ora uno dei più grandi detrattori e rinnegatori di questo stesso genere. Ha abbandonato (o è stato cacciato?) gli Helloween nel lontano 1993, all’indomani di un album controverso come “Chameleon”, dopodiché si è progressivamente allontanato da questo mondo, salvo ricomparire sporadicamente per alcune collaborazioni di successo (ricordiamo soprattutto quella con i Gamma Ray di “Land of the free” nel 1995, e quelle, ben più celebri, con Tobias Sammet, tra il 2001 e il 2005).
Non c’è alcun dubbio: se oggi Kiske decidesse di ritornare all’ovile, realizzando quel disco che tutti sognano da lui, venderebbe sfracelli di copie e si riprenderebbe il suo trono a fianco dei vari Bruce Dickinson e Rob Halford… le ultime prove da studio hanno mostrato ampiamente che è ancora il migliore, che vi piaccia o no. Peccato solo per questa sua ostinazione a voler tagliare i ponti con un genere musicale che non solo lo ha sfamato per anni (e che continua a sfamarlo immagino, vogliamo scommettere su quanto gli fruttano i diritti d’autore dei due “Keepers”?), ma che ha fatto sognare generazioni di fans in tutto il mondo.
Non sta comunque a noi giudicare, e anche se le scelte artistiche del singer tedesco possono far storcere il naso ai più, e sembrino dettate più da un certo fanatismo ideologico che da un giudizio attento e ponderato, va lodata e apprezzata la volontà di perseguire un discorso musicale coerente con la propria visione del mondo, e certamente avaro di qualsiasi soddisfazione.
E in effetti in questi anni Kiske ha raccolto ben poco coi suoi progetti solisti: lavori di grande spessore per chi scrive (a parte il progetto “Supared”, che ho trovato scialbo e privo di mordente), ma quasi totalmente ignorati dal pubblico. E non è certo un caso che le luci della ribalta si siano accese per lui solo nel momento in cui ha prestato la sua meravigliosa voce all’Avantasia di Tobias Sammet e, più recentemente, al bellissimo “Place Vendome” di Dennis Ward, un disco molto hard rock oriented, che non a caso non lo ha soddisfatto pienamente (la famosa intervista che ha fatto incazzare il Graz!).
Oggi Kiske arriva su Frontiers Records per il suo terzo lavoro da solista, ed è esattamente il disco annunciato in questi mesi, un disco lontano dal metal e persino dal rock, un disco che è in tutto e per tutto quello che l’ex Helloween sente di essere in questo momento.
Già solo questo basterebbe a premiarlo: sarà spocchioso quanto si vuole, sarà un traditore, un bigotto, ma dare alle stampe un lavoro come questo fregandosene di tutto e di tutti, è indubbiamente un atto di coraggio….
Ok, a questo punto vi starete anche chiedendo com’è questo “Kiske”, visto che parlo da ore e non vi ho ancora detto nulla: come accennato in apertura, è un lavoro semplice, in cui le chitarre acustiche e le tastiere fungono da semplice e discreto accompagnamento per la voce meravigliosa di Michael, ancora una volta autore di una performance superlativa. Melodie ora malinconiche (“Fed by stones”, “Silently craving”, “King fall”), ora allegre e spensierate (“All-solutions”, “Sing my song”, “Hearts are free”), ma sempre all’insegna dell’essenzialità, lontane da ogni qualsivoglia sperimentazione e ricerca sonora. C’è Michael Kiske con la sua voce e basta, tutto il resto funge da semplice contorno: niente musicisti famosi (d’altronde è lui stesso che si è sobbarcato la maggior parte degli strumenti) solo un paio di amici a sostenerlo in questa sua confessione musicale.
Un po’ autobiografia, un po’ manifesto programmatico, “Kiske” non piacerà certamente a coloro che vedono nel biondo cantante unicamente l’autore di “We got the right” o “A little time” e che hanno rigettato “Pink bubbles go ape” (disco che riecheggia come un fantasma in alcuni episodi di questo nuovo lavoro). E probabilmente non piacerà neanche a molti dei più “open minded” e agli amanti della buona musica, perché le dieci canzoni di cui si compone, costantemente in bilico tra rock e pop da classifica riletto in chiave acustica, sono belle ma ben lungi da essere capolavori.
Resta il fatto che siamo di fronte ad un prodotto valido, non un capolavoro ripeto, ma comunque godibile dall’inizio alla fine e soprattutto sincero, cosa che di questi tempi non conta poco!
Detto questo, lasciatemi dire che anch’io sono tra quelli che sognano una reunion degli Helloween di “Keeper of the seven keys”: magari avverrà un giorno (le leggi del mercato sono spietate, si sa), ma non è il caso di farne una questione di vita o di morte.
Lasciamo che Michael Kiske trovi la sua dimensione ideale lontano da ciò per cui lo abbiamo sempre amato: date una chance a questo album, credo se lo meriti davvero…
Recensione a cura di Luca Franceschini

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