Secondo album per i
Meat Puppets, dal loro rientro sulle scene avvenuto pochi anni fa. Rispetto al lontano passato la loro musica si presenta più pulita e definita, meno sperimentale, con un distacco dalla matrice punkeggiante ed un forte avvicinamento a temi propriamente rock.
Rimane invece intatta l’atmosfera morbida e sognante dei brani, le linee vocali pigre e sonnolente, la leggera corrente psichedelica che attraversa tutto il lavoro. Il trio usa quasi sempre tonalità pastello per dipingere i propri scenari, sonorità gentili, soffuse, che talvolta ricordano sconfinati orizzonti bucolici e cantautorali. E’ il caso ad esempio del piacevole timbro country-pop della title-track e di “I’m not you”, dove il protagonista è un rustico mandolino.
Episodi dal taglio elettrico e rockeggiante se ne contano un paio, molto buoni, con la voce cantilenante e gli sprazzi di chitarra acida che possono ricordare vagamente QotSA o Masters of Reality. Il resto si divide tra dolci ballate, oniriche e malinconiche, vedi “Sapphire” e “Go to your head”, e canzoni di basso profilo come l’ordinaria pop-ballad “Rotten shame”, il placido duetto di piano ed acustica “Smoke” e la terribile marcetta infantile “The monkey and the snake”.
Un disco sufficiente per i Meat Puppets, che solo a tratti ritrovano i loro spunti migliori, ma dai contenuti particolari che interesseranno quasi esclusivamente i vecchi fans della formazione.
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