Più che una band… un One-Man-Band accompagnato da due chitarristi… il leader nonché quasi unico musicista Jean-Pierre Schenk scrive, canta e suona praticamente tutto a parte le chitarre.
Qualche perplessità sul genere dichiarato (progressive) l’ho avuta appena è terminata l’intro del primo brano.
Molto probabilmente gli svizzeri non hanno una padronanza dei generi musicali…
In ogni caso questo non mi ha fermato… più che prog, Dark lo definirei più vicino (ma non troppo) alla psicadelia in pieno stile Pink Floyd, con intenzioni abbastanza simili, ma con una brutta sequenza di suoni e arrangiamenti stile pop ed in piccoli momenti più o meno rock.
I brani sono tutti abbastanza lunghi ma restano per la loro interezza monotoni e privi di idee originali e accattivanti.
Una commistione di suoni secondo me poco ricercati e, a parte una ottima batteria, incastrati in studio tecnicamente bene ma con poco sentimento.
La prima (in verità, anche le successive…) sensazione dopo i primi due brani “Song For My Son” e “Fight Is Over” è stata quella di provare un certo impulso che mi portava ad interrompere l’ascolto! Ma non lo ho fatto… non esprimo mai il mio parere sulle prime impressioni o i primi scolti.
Il problema è comunque oggettivo, nonostante tutti gli ascolti che ho fatto il “pathos” non l’ho trovato.
Sembra che ogni brano contenuto in Dark sia alla ricerca di una identità che non si trova, se non nel ricordo del sound dei Pink Floyd, il ché non è proprio quello che, a parer mio, un artista dovrebbe fare… va bene puntare in alto ma per carità… non si può vivere all’ombra “musicale” di un albero talmente grande da non lasciarti nemmeno respirare.
Il culmine lo si può sentire in “I’m Waking Up” e “Knowing All I Do Is Worth Ending” che sembrano il malriuscito tentativo di far resuscitare un genere che, data la grandezza e la genialità dei creatori, non potrà mai più essere citato o suonato con eguale sentimento.
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