"Terraphobic", secondo album per i
Dagon mantiene un passo cadenzato, direi pachidermico, anche se in realtà il tema lirico di questa formazione statunitense ha un'ambientazione marina ("Ocean Metal"), che già avevano proposto ai tempi del primo demo "Secrets of the Deep" (2005), e, in effetti, il loro nome lo hanno ripreso da una divinità mitologica che era affiorata dall'oceano ma sopratutto dall'universo orrorifico di H. P. Lovecraft.
E probabilmente la batteria di Jordan Batterbee deve essere stata registrata proprio sott'acqua, ovattata e non in grado di dare la spinta che meriterebbero le canzoni di "Terraphobic", composizioni che si incontrano a metà strada... vabbè... diciamo dove si incrociano le correnti marine di un Death Metal d'ispirazione scandinava (At The Gates, Dark Tranquility, In Flames...) e di un aggressivo Thrash dalle origini ottantiane, con quale risacca dalle reminescenze Black, più che altro a livello di vocals.
Dal maelstrom creato da tutti questi elementi nasce, infatti, l'opener "Cut to the Heart", dove è subito ben evidente l'influenza degli In Flames, sopratutto a livello di guitarwork, anche se il cantato di Randall Ladiski non ha poi molto in comune con Anders Fridén o Mikael Stanne, prediligendo il più delle volte un approccio decisamente gutturale, come avviene ad esempio su "Demons in the Dark". Mentre, a conferma di uno spettro di influenze piuttosto ampio, con la titletrack, tra le altre, tirano in ballo anche i Children of Bodom. Piacciono, e non poco, la ritmata e cattiva "To the Drums We Rise" ed l'articolata "The Last", entrambe caratterizzate da un'ottima prova collettiva ed individuale, mentre "Ocean Metal", soprattutto nel finale (un po' alla Dream Evil) è un più che evidente omaggio al Metal ottantiano.
Non cambieranno l'attuale scena Metal, ma riescono ad affrontarla in maniera più che sufficiente.
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